Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

da "il Manifesto" del 10 gennaio 2020

Il referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari, se ci sarà, visto il balletto delle firme, sarà una trappola. Ci si chiederà di scegliere tra questo Parlamento umiliato e chi vuole ridurlo ancor peggio. E non avremo molto spazio per far valere le nostre ragioni.

È difficile infatti interloquire con chi ritiene che i problemi del parlamentarismo oggi si possano ridurre al numero dei suoi membri. Ci si attarderà a discutere con toni accesi e spreco di energie su questioni irrisorie, mentre si avverte l’urgenza assoluta di affrontare temi vitali per la democrazia parlamentare.

Così sentiremo politici irridenti sostenere le fatue ragioni della necessità di risparmiare sui costi della democrazia o la moralità di tagliare “poltrone”. I più sofisticati ricorderanno come queste motivazioni ripetute a suffragio della bontà della riforma sono false e rivelano anche una cattiva coscienza. Ma intanto ci avranno costretto a perdere tempo, mentre monta la marea.

Che i mali del Parlamento siano altri è ben noto a tutti, in primo luogo a chi, politici e giornalisti, si confronta sul nulla nei dibattiti televisivi. Eppure basterebbe che qualcuno affermasse ciò che è già evidente per smontare il castello di carte, basterebbe affermare che non sono i numeri a determinare la crisi del Parlamento, ben più complesso e profondo è il collasso nel quale siamo immersi. Basterebbe avere il coraggio di dire-il-vero (parresia), che è il modo migliore per il governo di sé e degli altri. Una lezione dimenticata.

E allora elenchiamoli alcuni dei veri problemi e cominciamo col dire che il Parlamento non è in crisi per un problema di numeri. Essi sono solo una variabile dipendente, che dovrebbero essere determinati con riferimento alle effettive funzioni esercitate. Questo è il vero problema del Parlamento italiano che ha perduto il suo ruolo autonomo nell’ambito del complessivo assetto dei poteri. Negli Stati Uniti il Senato è composto da 100 membri, il Inghilterra la Camera dei Comuni da 650, in Germania il Bundestag da oltre 700. La differenza con il Parlamento italiano è che in quei paesi la discussione parlamentare ha un suo rilievo, i singoli rappresentanti discutono, si assumono le responsabilità per cui sono stati eletti e poi, responsabilmente, votano. Non hanno vincoli di mandato, ma sanno bene che – oltre che al partito di appartenenza – dovranno rispondere politicamente agli elettori.

Basta pensare al ruolo determinante (anche dal punto di vista spettacolare) esercitato della Camera dei Comuni che in tutta la vicenda della Brexit ha dettato l’agenda, confrontandosi senza alcun timore reverenziale con il Governo. Per non dire del Congresso degli Stati Uniti (435 membri) che non ha avuto remore nel porre sotto accusa il Presidente eletto Trump, sospettato di avere abusato dei propri poteri. Non voglio generalizzare e so bene che i rapporti tra Parlamento e Governo sono diversi da paese a paese, dipendendo dalla forma di governo adottata e delle diverse tradizioni nazionali. Mi sembra però di poter tranquillamente affermare che nessuna democrazia occidentale si sia spinta così avanti nel processo di

Commenta (0 Commenti)

Protesta anti-Usa a Sana’a, Yemen, dopo l’uccisione di Soleimani

Scongiurato, il pericolo di escalation fra Usa e Iran? In ogni caso i movimenti per la pace si rianimano, dopo la debolezza dimostrata a partire dalle bombe Nato sulla Libia nel 2011. Il 25 gennaio sarà una giornata mondiale di protesta lanciata da molte organizzazioni statunitensi. Negli Usa sono in corso sit-in in diverse città anche in questi giorni.
Anche in Italia si scende finalmente in piazza.

10 GENNAIO. Vicenza, dalle 18,30 presidio dei No dal Molin e del Bocciodromo davanti alla caserma Ederle (e giovedì 16 assemblea nell’anniversario del sì all’ampliamento della base Usa in Italia, «un paese a completa disposizione»); Roma, l’Assemblea unitaria delle sinistre di opposizione e altri gruppi invitano al sit-in dalle 15,30 a piazza Barberini «contro la guerra, per la revoca del programma di acquisto degli F35, il ritiro delle truppe italiane dagli scenari di guerra, l’uscita dalla Nato». Pordenone, dalle ore 20, assemblea pubblica «Il Friuli non è una rampa di lancio», presso Casa del Popolo-Torre. Brescia, Potere al popolo organizza un presidio dalle 18 a piazza della Loggia: «No all’uso delle basi italiane per le guerre, no alle bombe atomiche in Italia, via dalla Nato».

11 GENNAIO. Roma, presidio di Statunitensi per la pace e la giustizia e Rete No War dalle 14,30 alle 16 a via Veneto angolo via Bissolati. A Milano manifestazione degli iraniani in Italia davanti alla stazione.

12 GENNAIO. Sigonella, dalle ore 14 alle 17 manifestazione regionale organizzata da Spazi sociali Catania e altri, con corteo «per chiudere la base militare e smantellare il Muos». Camp Darby (Pisa), alle 11 di fronte alla base Usa presidio «contro le aggressioni Usa in Medioriente, per la chiusura delle basi militari straniere in Italia». Napoli, presidio contro la guerra all’Iran, dalle 10,30 a largo Enrico Berlinguer organizzato da Rete contro la guerra e il militarismo e Santa Fede liberata.

Commenta (0 Commenti)

FACCIAMOCI VEDERE E SENTIRE: 

4 GENNAIO 2020, ore 17.30 di fronte al nostro bellissimo DUOMO!



FAENZA NON SI LEGA!

Vogliamo far trovare anche a Faenza un muro di sardine, in risposta a chi ha la presunzione di venire a liberarci.
Sardine significa rispetto, identità, partecipazione, testimonianza, per questo si è scelto il 4 pomeriggio per dire a voce forte che ci siamo e che per prima cosa abbiamo rispetto per la festa del 5, dei faentini che saranno alla Not de Bisó e dei tanti volontari che ne rendono possibile la realizzazione con il loro lavoro gratuito. Essere una sardina significa essere diverso da chi strumentalizza una festa di tutti per farne la propria passerella elettorale.

*Le sardine hanno un altro stile. Uno stile fondato sul rispetto, non sulla provocazione*.

Questo è solo l'ultimo dei milioni di motivi per gridare tutti insieme che
FAENZA NON SI LEGA!?￰゚ミ゚?￰゚フネ

Essere una sardina significa anche essere solidali?￰゚ミ゚!
Chiediamo a tutte le SARDINE FAENTINE di portare un pesce in scatola (meglio se ?) che raccoglieremo e doneremo alla Caritas di Faenza, la quale provvederà a distribuirlo ai più bisognosi.

Ma soprattutto, SIATECI! Con l'allegria e la gioia di scendere in una piazza meravigliosa per ricordare i valori VERI della nostra costituzione!

Portate amici, bimbi, parenti! Le sardine, più sono e più fanno paura agli squali ?￰゚ミ゚?

Confidiamo nel vostro aiuto, ma ne siamo certi, che anche in migliaia lasceremo una piazza pulitissima e senza alcun problema d'ordine, perché le sardine non sporcano il mare dove nuotano!!
Lo rendono solo più vario e colorato! ?￰゚フネ
Portate striscioni, sardine di cartone, e tutto quello che vi viene in mente per arricchire il nostro mare!

Ci vediamo sabato :)

https://www.facebook.com/events/581988539046662/

 

Commenta (0 Commenti)

Il ministro Boccia è in affanno. La legge-quadro non ha superato la verifica di maggioranza, mentre i governatori secessionisti vanno all’attacco. «Raccapricciante» dice Zaia, mentre Cirio dal Piemonte annuncia che si allineerà entro fine anno.

Il punto è che la proposta di Boccia è debole. E non solo perché giuridicamente inidonea – come ho già argomentato su queste pagine qui e qui – a porre argine alla bulimia di alcune regioni. È debole anche perché non coglie le coordinate di fondo delle questioni sul tappeto, per almeno quattro punti principali.

Il primo. A partire dalle pre-intese del 28 febbraio 2018 un lungo e talora aspro dibattito ha evidenziato una distribuzione di risorse pubbliche sperequata a danno del Sud, derivante da scelte politiche e indirizzi di governo. Le evidenze sono inconfutabili. Si è anche dimostrata in buona parte falsa e strumentale la rappresentazione di un Sud sprecone incapace quando non malavitoso dedito a succhiare il sangue del virtuoso ed efficiente Nord.

È chiaro che nessuno sconto si può o si potrà mai fare a malapolitica e malamministrazione ovunque si presentino. Ma è evidente che – resa manifesta la sperequazione – si pone la necessità di una distribuzione più equilibrata. La domanda è: la legge-quadro garantisce questo obiettivo, in settori cruciali come istruzione, sanità, trasporti e comunicazioni, servizi sociali? La risposta è no. Non bastano a tal fine i Lep, e la perequazione infrastrutturale come è prevista.

Il secondo. La pretesa di autonomia differenziata conclude il progressivo abbandono dell’obiettivo esplicitamente sancito in Costituzione fino alla riforma del Titolo V nel 2001 di ridurre il divario Nord-Sud. Ad esso si è sostituito un separatismo che investe sul divario al fine di consentire alla locomotiva del Nord di accelerare per agganciarsi alle economie forti dell’Europa. Si abbandona la centralità nello scacchiere euro-mediterraneo, che si assume come marginale e destinato a una progressiva irrilevanza. Il Sud diventa una palla al piede di chi può e vuole correre, e poco conta che sia una prospettiva di sostanziale subalternità per il paese tutto.

In questa chiave è utile una Italia di staterelli, che si auto-organizzano per inseguire – quelli che possono – le famigerate «catene del valore». Per questo bisogna frammentare tutto il frammentabile, dalle infrastrutture materiali come ferrovie, autostrade, porti, aeroporti, a quelle immateriali, come la scuola. La domanda è: la legge-quadro pone argine a questa deriva? La risposta è: no, per nulla. Prima e dopo la legge-quadro, tutto è regionalizzabile.

Il terzo. In vista di siffatti scenari politici generali la sede appropriata per elaborare una proposta solida non è ovviamente la trattativa bilaterale tra ministero e singole regioni. Ma non è nemmeno la conferenza stato-regioni, per l’ovvio sospetto che i governatori siano disposti a barattare il maggior potere comunque a loro derivante da una autonomia accresciuta con l’interesse dei cittadini che rappresentano.

L’unico luogo appropriato è l’aula parlamentare, per un dibattito senza rete. Lo garantisce la proposta Boccia? No. Anzi, punta alla sede ristretta delle commissioni e per di più per un parere mai vincolante, e persino solo eventuale.

Il quarto. L’obiettivo è una discussione basata su fatti e cifre, e non su stereotipi e luoghi comuni, volta a un nuovo patto per l’unità della Repubblica, basato su un riorientamento delle coordinate politiche e sulla convinzione di una comune utilità. A tal fine l’art. 116 Cost. va ricondotto alla sua natura di strumento per limitati adattamenti a specificità locali, sempre a dimensione regionale. Qui è il vero argine alle aspirazioni separatiste.

iversamente, diventa realistico lo scenario delineato dalla Svimez, in specie nel Rapporto 2019: un futuro di declino per il Nord, e di colonia emarginata per il Sud.

È difficile oggi dire se il raggiunto quorum per il taglio dei parlamentari inciderà sulla vita del governo e della legislatura. Di certo, nella legge-quadro non basta limare qualche parola qua e là, come pure risulta sia stato fatto nelle ultime versioni.

Per quel che vediamo, sono cambiamenti relativamente marginali. Vogliamo sperare che il ministro abbia il tempo di un ravvedimento operoso. Provaci ancora, Frank.

Commenta (0 Commenti)

Cento cene. Al Centro Costa di Bologna, nel piatto la partita per la regione

Un’affollata cena in sostegno del manifesto al “Centro Costa” di Bologna, di fronte alla Cineteca in cui, negli stessi momenti, avveniva la conferenza stampa di Ken Loach. Una cena particolarmente importante, dato il momento politico legato alle prossime elezioni in Emilia Romagna.

Poche ore prima l’Istituto Cattaneo aveva presentato un suo studio sulle intenzioni di voto per la Regione, evidenziando alcuni dei temi che interrogano la sinistra, non solo a livello locale.

La distanza tra le percezioni in ordine alla buona amministrazione del Partito democratico nelle aree urbane e quella invece di segno diverso espressa dai segmenti periferici che si sentono per certi versi abbandonati alla loro marginalità. Come le aree della montagna, le differenze generazionali tra conservatorismo degli anziani e voglia di cambiamento nei ragazzi, anche recentemente intercettate e rese plasticamente dal movimento delle Sardine, nato a Bologna, e via enumerando. Un insieme di riflessioni molto articolate, che però sfociano chiaramente sull’evidenza di una contendibilità della Regione da parte della destra, con circa mezzo milione di voti ancora ondeggianti.

Temi elaborati in uno dei brevi interventi che hanno animato la cena, nello specifico quello del Presidente del Cattaneo Piergiorgio Ardeni, anche collaboratore del manifesto, che ha preso spunto dall’animata discussione del suo tavolo, avvenuta nel più puro stile della militanza politica engagé: volti accalorati, brindisi al passato ed al futuro, vecchie divisioni che venivano rievocate in nome di nuove unità di fronte all’avversario comune. Chi scrive ha discretamente girato tra i tavoli, oltre che per assicurarsi che la cena fosse di gradimento dei commensali, cogliendo segmenti di vissuti che oggi, a cinquanta anni dalla strage di Pizza Fontana, hanno ancora un valore che va ben oltre la semplice testimonianza personale. Diversi ragazzi si sono infatti appassionati a queste storie, potendo così collegare il loro presente ad un passato che, per quanto recente, non era nella loro memoria.

Tra i convitati molti volti storici della sinistra bolognese, dallo psichiatra Gianni De Plato a Sergio Caserta, animatore del circolo del manifesto ed impegnato in una difficile campagna elettorale con la pattuglia di “Emilia Romagna Coraggiosa”. Difficile per una sinistra di alternativa che si trova a fronteggiare a livello locale, sia la critica al modello di sviluppo che il Pd ha prediletto negli ultimi anni, più vicino alle classi medie urbane e produttive che alle periferie, sia la necessità di arginare una destra che può seriamente aspirare alla vittoria. Tra gli altri collaboratori del giornale, Franco Farinelli, il geografo autore di diversi saggi accademici su una disciplina che ha sempre definito come tutt’uno con la filosofia, ed esponenti del pacifismo di matrice libertaria come Horst Wiedemann mediatore culturale già in tempi non sospetti.

Alla fine della serata il ringraziamento di Tommaso Di Francesco, che ha riassunto brevemente la fase che attraversa il giornale, sottolineando la prospettiva di inserire il sostegno alla testata nell’ambito di un impegno politico ed anche culturale orientato dalla necessità di dare voce a strumenti critici ancora in grado di saper leggere la complessità del mondo contemporaneo senza pericolose semplificazioni.

Commenta (0 Commenti)

Ho letto e riletto le parole dette dal senatore Taviani in un occasionale raduno democristiano, che confessano la verità sulla prima delle stragi che hanno insanguinato questo paese: la strage di Milano, capostipite di una lunga stagione di politica criminale, prima in ordine di tempo e seconda, dopo quella di Bologna, per crudeltà e numero di vittime.

Una verità tranquilla. Quella della bomba fu messa «con la copertura dei servizi segreti». Ci fu un errore di calcolo, non c’era l’intenzione di uccidere tutta quella gente. Ma quella bomba fu messa e fatta esplodere «con la copertura dei servizi segreti», organi dello Stato e strumenti del potere politico.

Dunque ora lo si può dire con semplicità, prendendo il caffè: quella fu una strage di Stato. Quei ragazzi estremisti che allora scandivano nelle piazze questo estremo giudizio avevano ragione. Loro non erano credibili, ma il senatore Taviani è un responsabile massimo della politica italiana e lui può essere creduto.

Questa è la nostra Patria, questi sono i suoi capi, questa la nostra storia recente. Per vent’anni ogni italiano è stato preso in giro da processi contro fantasmi, un anarchico vivo e un altro morto. Ora che la memoria è spenta, e il crimine ha premiato chi l’ha commesso, i colpevoli e i beneficiari possono anche farsi riconoscere. Tra qualche anno, in qualche festa amichevole, un altro capo di governo in pensione ci dirà che anche nella stazione di Bologna, come nella banca di Milano, la bomba fu messa «con la copertura dei servizi segreti».

E chi ha «coperto» i servizi segreti? Gli assassini sono tra noi, anzi sopra di noi, e lo dicono. Non è di per sé sorprendente e neppure nuovo, sebbene nessun altro paese dell’occidente europeo possa vantare qualcosa di simile. È sorprendente la tranquillità con cui ora ci vien detto. Possono farlo perché con l’arte del delitto politico, usando quelle bombe o similmente il brigatismo, hanno piegato e trasformato la democrazia italiana in un altro regime, nutrito di un moderno fascismo, nel quale siamo così immersi che non riusciamo a comprenderlo e a definirlo. E perciò alla loro tranquillità fa riscontro la nostra.

Mostruoso è una brutta parola, ma non so definire altrimenti tutto questo. Mostruoso ma secondario e irrilevante, e mostruoso per questo più ancora che per il sangue versato. Oggi nessuno si sognerebbe di fare su questo una campagna elettorale. Hanno vinto e sotto accusa non sono loro, siamo noi, è la sinistra italiana e quanto di essa bene o male resiste.
(il manifesto 28/ 2/ ’92)

Commenta (0 Commenti)