Finisce di parlare Pierpaolo Bombardieri, segretario aggiunto della Uil, e il moderatore annuncia l’intervento del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini. E’ uno dei momenti più attesi della seconda giornata (ieri) della tre giorni dei democratici intitolata “Gli anni 20 del 2000, tutta un’altra storia”, che si conclude oggi, con l’intervento di Nicola Zingaretti, a Palazzo Re Enzo, nel cuore della Bologna medievale. Il leit motiv di tutti i discorsi che si susseguono sul palco della sala principale, piena come un uovo, è la rottura con il paradigma delle politiche fin qui condotte da un partito democratico che con fatica, autocriticamente, prova a ritrovare una sua identità dopo anni di sbornia neoliberale renziana. E da Catania, proprio mentre Landini si appresta ad iniziare il suo discorso, coraggioso e a tratti autocritico, arrivano le radiazioni di fondo della convention nazionale di Italia Viva, le parole della segretaria del nuovo “partito lavatrice” di Renzi, Teresa Bellanova: “Prendiamo a destra, a sinistra, al centro”. Prendiamo pure Mara Carfagna e Renata Polverini. Prendiamo tutto. Poco prima, Fabrizio Barca, dallo stesso palco da cui sta per prendere la parola Landini, applauditissimo, aveva lanciato un monito che sembra raccogliere il sentimento della platea bolognese: “Basta con la rotta neoliberista”. Mondi lontanissimi, Bologna e Catania, che si allontanano in espansione nello spazio-tempo della sinistra.
“Ringrazio Gianni (Cuperlo) e Nicola (Zingaretti) per l’opportunità che mi è data di intervenire oggi”, esordisce Landini. “Un’opportunità che voglio usare parlando con franchezza”. E in effetti, nei suoi 27 minuti di discorso, continuamente interrotti dagli applausi (ben 26), il segretario della Cgil, richiamerà più volte, criticamente e autocriticamente, le responsabilità della sinistra, nelle sue varie declinazioni storiche e organizzative, in quello che definisce “il disastro della precarietà del lavoro”. Un intervento, agli occhi dei più attenti osservatori, coraggioso, che non risparmia nessuno, nemmeno il sindacato.
IL BIENNIO ROSSO
“Sarò molto franco”, dice Landini. “Prima si diceva di individuare una parola per il futuro. Ebbene, potrà apparire banale che lo dica io, ovvio, ma mai come adesso penso che la parola sia lavoro. Come stanno oggi le persone che hanno bisogno di lavorare per vivere? E soprattutto qual è il contributo che si può dare per ricostruire una rappresentanza politica del lavoro? Siamo vicini al 2020. Nel secolo scorso questo stesso periodo è stato molto importante dal punto politico. Fu chiamato il Biennio Rosso, una fase molto importante di grandi lotte per l’emancipazione e per i diritti”.
IL LAVORO E LA COSTITUZIONE
“Il tema – continua Landini – non è semplicemente quello di avere un’attività che mi permetta di vivere perché oggi non permette neanche quello ma il tema è che se una persona non è libera nel lavoro, se non è in grado di potersi realizzare attraverso il lavoro, non può fare alcun progetto di vita, non può entrare in relazione positiva con gli altri. E non è un caso che la nostra Costituzione dica al primo punto che la Repubblica è fondata sul lavoro. E la Costituzione non è né comunista né socialista né democristiana. Semplicemente mette al centro il valore del lavoro, andando oltre la singola appartenenza politica”.
AUMENTA LO SFRUTTAMENTO
“Io credo – prosegue Landini – che si debba ripartire da quello che sta avvenendo oggi e cioè dal peggioramento secco delle condizioni di lavoro e soprattutto della libertà delle persone nel lavoro, anche nei settori apparentemente più evoluti. Prendete l’algoritmo: in realtà sta determinando in molti casi un aumento dello sfruttamento nel lavoro. Si pensi al controllo sul lavoro delle persone. Proviamo a riflettere su quello che succede ad Amazon, ma non solo. Ma in qualsiasi luogo di lavoro si vada, che sia un ospedale o un centro commerciale, un’azienda o un ente pubblico, si vedrà come persone che fanno lo stesso lavoro non hanno più gli stessi diritti e non hanno più le stesse tutele. E tu sei di fronte al fatto che in molti casi questo determina non la solidarietà ma la competizione tra le persone. Io una situazione così difficile tra le persone che per vivere hanno bisogno di lavorare, come adesso, non l’ho mai vista: quando fai un’assemblea, quando discuti in tanti luoghi di lavoro vedi che le persone anziché prendersela con chi le sfrutta, hanno paura di quello al loro fianco”.
I NUOVI MURI
“Ma non solo in Italia”, specifica Landini: “Negli ultimi vent’anni in Europa, in Francia, in Germania, in Spagna, noi siamo di fronte a una messa in discussione dei diritti senza precedenti, della centralità della finanza sull’economia. Abbiamo tutti pensato che con la caduta dei muri si sarebbe estesa la democrazia, ma la realtà è che l’unica cosa che oggi può liberamente circolare nel mondo senza vincoli sono i soldi mentre le persone non possono neanche più girare. Diciamo che è caduto il muro ma tanti altri ne sono stati costruiti”.
LA SINISTRA HA ESAURITO LA SUA SPINTA PROPULSIVA
Ma è alla sinistra che Landini riserva il passaggio più forte, quasi volesse dare una scossa: “E allora penso che le parole debbano tornare al loro vero significato. La dico grossa. Io penso che la sinistra nelle varie forme e culture politiche in cui si è espressa in Italia e in Europa, socialista, comunista socialdemocratica, ma anche la cultura cristiano sociale abbia esaurito la sua spinta propulsiva verso il cambiamento. E se vogliamo essere onesti con noi stessi occorre ammettere che queste culture, tutte, con gradi diversi, sono corresponsabili anche del disastro sociale che si è determinato nel mondo del lavoro. Per tanti di noi, anche per me, per la mia storia, per la mia esperienza, la parola sinistra, era la parola che tu potevi associare alla speranza di cambiamento. Ma se oggi prendiamo un giovane precario che era precario quando c’era il governo di centro-destra, poi era precario con il governo di centro-sinistra, poi è rimasto precario con il governo giallo-verde ed è ancora precario con il governo giallorosso, quale diversità dovrebbe vedere tra destra e sinistra se la politica cambia e lui rimane sempre precario. Come può pensare che la sinistra sia lo strumento per cambiare la propria condizione”. Applausi.
IL CORAGGIO DELL’AUTOCRITICA
Ma Landini continua con un passaggio che, rompendo gli schemi della retorica autoreferenziale, riguarda anche il sindacato: “Guardate che questo ragionamento – aggiunge Landini – non lo faccio come quello che vuole insegnare nulla agli altri, mi rendo conto che in parte è un tema che riguarda anche il sindacato: vorrei essere chiaro, non sono qui a spiegare che noi abbiamo capito tutto e qualcun altro non ha capito niente. Perché anche noi, anche il sindacato abbiamo capito in ritardo i disastri che avrebbe determinato la precarietà nel lavoro. Non a caso mi permetto di dire che una delle cose più importanti che la Cgil ha fatto in questi anni, e non l’ho fatta io che ancora non ero segretario (il riferimento è alla carta universale dei diritti e alla raccolta di firme – oltre tre milioni – contro il Jobs Act promosse durante la segreteria di Susanna Camusso ndr), è stato porre il tema che i diritti non possono essere legati al tipo di rapporto di lavoro che hai ma devono essere in capo alla persona a prescindere dal rapporto di lavoro”.
LA RIUNIFICAZIONE DELLE PERSONE
“E allora penso che il problema non è semplicemente riunificare la sinistra o riunire la sinistra, penso che c’è una cosa ancora più importante che è quella di riunificare socialmente le persone che lavorano e che non sono mai state tanto divise e contrapposte. E noi, come sindacato, abbiamo bisogno di lanciare con forza un’idea di ricostruzione di un’unità che non è una semplice somma, perché il processo di unità sindacale non lo fanno dei dirigenti illuminati se non c’è un processo che mette nelle condizioni le singole persone che lavorano di poter partecipare e di poter essere persone che decidono del loro futuro e del loro destino. E, consentitemi, questa domanda di partecipazione non la risolvi solo chiedendo alle persone di arrivare con la bandiera in tasca: le persone devono avere la possibilità di usare la testa, senza chiedere con chi stai, ma tu cosa pensi e che cosa vuoi fare per risolvere quel problema lì. La discussione tra di noi, anche al nostro interno, non deve essere una discussione di posizionamento, ma di quello che concretamente tu realizzi. Di questo abbiamo bisogno e a me sembra che questo sia il vero modo per ricostruire anche quella capacità di mobilitazione che può apparire persa. Sapendo che i valori fondamentali su cui noi siamo nati, e cioè l’antifascismo e l’antirazzismo, hanno la maggioranza del consenso in questo paese”.
Fortebraccio News