Taglio dei parlamentari. Il campo del Sì scricchiola e potrebbe crollare. Il Pd si è infilato in un vicolo cieco. E della nuova legge elettorale non si ha notizia né dei contenuti né dei tempi di discussione
La contesa referendaria si anima e non poco. Era partita quasi in sordina, al piccolo trotto, con i sostenitori del Sì fieri e tronfi, convinti di marciare verso un plebiscito a insegne spiegate. Ma le cose stanno andando molto diversamente. Dall’intervista di Bettini in poi si è aperta una voragine dentro il Pd, fino alle dichiarazioni di Zingaretti che scopre che il taglio dei parlamentari senza neppure il correttivo di una nuova legge elettorale è un pericolo democratico e una porta spalancata all’antiparlamentarismo populista. Alcuni hanno interpretato questa scomposta alzata di toni come un’astuta manovra per riuscire almeno a discutere e votare il «Brescellum» in un ramo del Parlamento. Ma si tratta di dietrologie buoniste del tutto infondate.
NON È SOLO una questione di tempi troppo stretti. Chi ha un minimo di esperienza parlamentare sa bene come sia scivoloso e comunque imprevedibile il terreno della discussione su nuove normative in campo elettorale, sia per quanto riguarda gli esiti, che possono arrivare a stravolgimenti del progetto originario se non addirittura a insabbiamenti più o meno definitivi, sia per la totale imprevedibilità della durata del percorso parlamentare. A meno che non si voglia ricorrere a manomissioni regolamentari e costituzionali. Così gli appelli a Conte per fare rispettare il patto di maggioranza come gli ultimatum di Zingaretti “in aula con chi ci sta” cadono in un totale vuoto di credibilità.
I renziani si sono sfilati da tempo, anche se non rinunciano ad usare la tattica del dondolio fra aperture e chiusure assolute. Forza Italia e Lega non sono propense a intese, avendo affidato alle imminenti regionali la prova della loro reale consistenza politico elettorale. Fratelli d’Italia coltiva e amministra la propria crescita di consensi nei sondaggi. Inoltre non manca molto alla riunione della Corte Costituzionale, convocata inusitatamente per il 12 agosto, che dovrà decidere su quattro ricorsi presentati contro le conseguenze negative che avrebbe il taglio dei parlamentari e l’election day.
IL «BRESCELLUM», dal canto suo, non sanerebbe affatto lo strappo alla rappresentanza politica e quindi alla democrazia. Non solo la soglia di accesso è troppo alta, il 5%, ma non vi è la possibilità da parte dei cittadini di scegliere gli eletti. Quindi le segreterie e i potentati dei partiti continuerebbero a farla da padroni. Si dice che vi sarebbe disponibilità ad abbassare la soglia fino al 3% per accontentare le forze minori, ovvero Italia Viva, ma a quel punto tanto varrebbe per i renziani tenersi l’attuale Rosatellum. Del resto, come ha sostenuto Massimo Villone su queste pagine, anche una legge elettorale proporzionale con recupero nazionale dei resti e la cancellazione della base regionale per l’elezione del Senato, offrirebbe solo una parziale riduzione del danno, ma non certo la ricucitura dello strappo costituzionale. Insomma il Pd si è infilato con sciagurata baldanza in un vicolo cieco da cui è impossibile uscire con piccole furbizie.
Il fatale errore iniziale è stato quello di scambiare una norma di rango costituzionale, quale è la modifica della composizione del parlamento, pilastro della democrazia rappresentativa, con una legge ordinaria, come è la legge elettorale, per quanto importante sia, con l’umiliante aggravante di non ottenere neppure quest’ultima nei tempi della celebrazione del referendum. La scelta di «tenerla bassa», di sfilarsi alla chetichella dalla contesa referendaria è una tattica artificiosa e debolissima. È vero che in parte è già in atto. Si fatica a incontrare comitati per il Sì non solo nei territori ma persino nei confronti televisivi, il che può creare grattacapi all’Agcom, come è già capitato all’inizio – subito abortito per effetto delle misure anticovid – della campagna referendaria quando il voto era stato fissato per il 29 marzo. Nelle feste estive del Pd pare che il Sì non troverà rappresentanza ufficiale.
MA SOPRATTUTTO cresce nel paese la scelta per il No. Si sono pronunciati in questo senso grandi organizzazioni di massa, quali l’Anpi e l’Arci, intellettuali influenti, da Mario Tronti ad Alberto Asor Rosa, a Massimo Cacciari, nonché esponenti del Pd e dirigenti storici del Pci come Emanuele Macaluso. Il segretario generale, Michele Schiavone, del Consiglio generale degli italiani all’estero non ha risparmiato critiche all’election day e al taglio dei parlamentari. Tra i 5stelle i dissensi si moltiplicano. È entrato nella contesa il mondo cattolico, da padre Bartolomeo Sorge che ha parlato di «Costituzione mutilata» a Bernard Scholz presidente del Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione.
Come è successo positivamente in passato, lo scontro referendario rivivifica la società civile e le sue istituzioni. Ed è il No a farlo. Poiché in un referendum costituzionale il quorum non esiste, l’astensione non ha alcun significato. Se si riconosce che il taglio del parlamento è un pericolo per la democrazia c’è un’unica possibilità: votare No. La partita è aperta, anzi apertissima.