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Ambiente. La protesta di fronte alla Regione Emilia Romagna contro il progetto Eni a Ravenna

I cartelli davanti alla sede della Regione Emilia Romagna

 

«L’anidride carbonica non si mette sotto al tappeto, semplicemente bisogna smettere di produrla». Lo hanno detto forte e chiaro sotto all’ufficio di Stefano Bonaccini a Bologna gli attivisti della neonata Rete per l’emergenza climatica e ambientale dell’Emilia Romagna.

Di fronte ai palazzi della Regione si sono ritrovati ambientalisti, militanti di centri sociali, di ong e di associazioni come Greenpeace e Legambiente. La richiesta è semplice: l’Emilia-Romagna del presidente Bonaccini e della vicepresidente Elly Schlein deve dire chiaramente di non considerare compatibile con la svolta ecologica – promessa e sbandierata durante la campagna elettorale contro la Lega di Salvini – il progetto di Eni per creare a Ravenna il più grande centro al mondo di stoccaggio di anidride carbonica.

La tecnologia è la cosiddetta Ccs, la carbon capture and storage. Un sistema che punta a catturare il gas inquinante prima che esca dai camini degli impianti inquinanti di Enel, a incanalarlo in tubi, a portarlo fino a piattaforme destinate altrimenti ad una futura dismissione al largo della costa di Ravenna, e infine spararlo a 3 mila metri sotto il livello del suolo, in ex giacimenti di gas ormai esausti. Un «trucco», «un’operazione di greenwashing che evita ad Eni di passare alle energie rinnovabili come eolico o fotovoltaico», dicono gli attivisti che pongono un problema un più, quello delle risorse pubbliche.

Eni vorrebbe finanziare il Ccs di Ravenna accedendo tra l’altro ai fondi di quel Next Generation Eu che invece dovrebbero dare il via ad una vera transizione green. In linea quindi con gli obiettivi europei fissati giusto poche ore prima della manifestazione di ieri, e che prevedono una riduzione del 55% delle emissioni entro il 2030.

Per ora il progetto di Ravenna è stato però abbracciato pubblicamente dal presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, che ne ha festeggiato l’annuncio definendolo un esempio di «economia circolare, sviluppo e innovazione». I manifestanti hanno anche lanciato un appello pubblico contro il Ccs (qui il link), a firmare tra gli altri Friday For Future, la Campagna per il clima fuori dal fossile, i No Tap, il Forum Italiano Movimenti per l’acqua, i Medici per l’ambiente, i centri sociali bolognesi Tpo e Làbas e la rete Re:Common.

«Il progetto di Eni non ha niente di sostenibile – ha spiegato la consigliera regionale dei Verdi Silvia Zamboni – Finanziarlo con i fondi europei sarebbe una beffa per chi chiede sostenibilità vera e investimenti nelle energie rinnovabili e pulite». A esprimere «preoccupazione per un progetto che non ci piace» anche Igor Taruffi, capogruppo in Regione per Emilia-Romagna Coraggiosa, l’ala sinistra della coalizione di governo che ora prova a chiedere al Pd e a Bonaccini di «ridiscutere in modo radicale le politiche energetiche e ambientali».

Quella di ieri sotto il palazzo della giunta Bonaccini è stata però anche un chiaro segno di distanza tra movimenti e istituzioni regionali. «Ci saremo aspettati che ai grandi annunci seguissero i fatti, ma non è così», ha detto ad esempio Detjon Begaj, uno degli attivisti della rete. All’orizzonte c’è l’imminente presentazione del «Patto per il Lavoro e per il Clima», un documento che segnerà gli obiettivi della Regione per i prossimi anni. «Avremo la possibilità inedita di poter decidere assieme dove e come invenstire», ha detto ad agosto Bonaccini. Il rischio ora è che Bonaccini perda l’appoggio della maggior parte del fronte ambientalista. «Di quel che abbiamo chiesto, nulla di concreto è stato ad oggi recepito», hanno spiegato i manifestanti.