Nel giorno della festa dei lavoratori i dati Istat certificano una perdita di 900 mila posti di lavoro dall’inizio della pandemia.
Sono donne e giovani i più colpiti. La battaglia dei settori più sfavoriti per avere diritti e tutele: dai rider agli addetti dello spettacolo ai migranti.
1° maggio. I problemi aperti dalla crisi del capitalismo, la stessa disoccupazione e la crescita enorme della popolazione inattiva si possono superare solo liberando la società da questo lavoro, che è il riflesso speculare, ma imposto con l’oppressione, del meccanismo di produzione e riproduzione del capitalismo
1° maggio. I problemi aperti dalla crisi del capitalismo, la stessa disoccupazione e la crescita enorme della popolazione inattiva si possono superare solo liberando la società da questo lavoro, che è il riflesso speculare, ma imposto con l’oppressione, del meccanismo di produzione e riproduzione del capitalismo
Il primo maggio dell’anno scorso pubblicammo un editoriale dal titolo «Contro il lavoro», «contro il lavoro – scrivevamo – per ciò che esso è e sempre sarà in una società capitalistica, in una società divisa in classi». Quell’articolo suscitò incomprensioni e molte reazioni negative: fummo accusati di luddismo, scarso rispetto delle forze produttive, marcusianesimo, pre o post marxismo a seconda delle letture dei nostri critici.
Quell’articolo aveva, forse, il torto di apparire un tantino ideologico. Ma, a un anno di distanza e con l’occhio più attento alla profondità dell’attuale crisi del capitalismo italiano, non verifichiamo forse che è proprio su questo lavoro che si incentra lo scontro di classe? Che questo lavoro è stato messo in questione dalle lotte operaie e che ora padroni e governo vogliono restaurarne la compiutezza, mentre gli operai vogliono rivoluzionarne la determinazione storica, cioè capitalistica?
È contro questo lavoro che si indirizzano le lotte alla organizzazione capitalistica del lavoro e quindi ai cottimi e ai ritmi, agli orari e ai turni, per l’ambiente e la salute, contro la determinazione padronale delle carriere e delle mansioni.
Ma oggi si verifica anche che i problemi aperti dalla crisi del capitalismo, la stessa disoccupazione e la crescita enorme della popolazione inattiva si possono superare solo liberando la società da questo lavoro. Questo lavoro è il riflesso speculare, ma imposto con l’oppressione, del meccanismo di produzione e riproduzione del capitalismo. Del meccanismo del profitto in fabbrica, dell’organizzazione del consenso e del mercato fuori fabbrica.
È attraverso questo lavoro che il meccanismo capitalistico genera le classi, la divisione tra gli uomini, un sistema piramidale di ineguaglianze. Un sistema generalizzato di diseguaglianza, che si riflette nella diversificazione della qualità dei beni che il capitalismo dà da consumare, nella diversificazione dei modi di vita che il capitalismo impone, nella gerarchizzazione, apparentemente razionale, di questa società.
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L'incontro. Bettini battezza l’alleanza. C’è anche Elly Schlein: «Dobbiamo unire le nostre lotte»
«Giuseppe, io vorrei che tu, Elly ed io…». Enrico Letta, in una inusuale veste lirica, utilizza un sonetto di Dante per descrivere la coalizione che dovrà sfidare Salvini e Meloni alle politiche. Perché, come dice il leader Pd, «una maggioranza come quella di Draghi è unica e irripetibili, non dovrà ripetersi mai più».
OSPITI VIA ZOOM DELL’AGORÀ di Goffredo Bettini, i due leder di Pd e M5S – più la giovane promessa della sinistra ecologista Elly Schlein e Massimiliano Smeriglio – discutono per oltre due ore del centrosinistra che verrà, e delle ricette con cui renderlo appetibile a un’Italia sempre più disuguale, rassegnata, impoverita. Bettini parla dei due «decolli paralleli» di Pd e M5S che «devono avere un obiettivo comune di unità a partire dalle comunali», e assegna i compiti: bisogna mantenere «connotazioni distinte per evitare sovrapposizioni».
«Ognuno deve arare i terreni a lui più congeniali», avverte, ricordando la necessità comune di «mettere in forma politica i conflitti sociali», di «ridurre le distanze tra alto e basso, tra inclusi ed esclusi». C’è, grazie anche alla spinta radicale di Biden negli Usa, una condivisone con Letta e Conte sulla necessità di superare i vecchi paradigmi del centrosinistra, la sbornia liberista, di recuperare una funzione sociale, di «tornare a occuparsi del popolo, dei precari, dei non garantiti», come ricorda Nadia Urbinati che dà atto al M5S di aver cercato di interpretare «le emozioni di rabbia e disperazione» degli strati popolari».
CONTE LA SEGUE NELLA CRITICA al «primato dell’economia sulla politica», assicura che «non partiamo da zero, abbiamo condiviso con Pd e sinistra l’esperienza sul campo del mio secondo governo», ricorda che su alcune tipiche distinzioni destra/sinistra (come progresso vs conservazioni o egualitarismo vs gerarchia) il M5S è stato storicamente più a sinistra che a destra, ma rilancia la vocazione «trasversale e popolare» del suo nuovo M5S. «Non lasceremo alla destra il tema dell’identità, delle tradizioni popolari, o il blocco sociale dei lavoratori autonomi».
Alla fine, dopo un black out della connessione internet (Bettini evoca ironicamente un «complotto» contro Giuseppi) torna per dire che «avrete un M5S rigenerato, che ci sarà, col suo Dna». La connessione cade ancora, Letta sorride: «Ha detto che il Movimento ci sarà, ottimo risultato». E Bettini: «Senza Casalino le piattaforme di Giuseppe non funzionano…».
Il leader Pd è il più esplicito nel disegnare un campo largo progressista, che ribattezza «Piazza Grande» in omaggio al suo predecessore Zingaretti. «Questa piazza si costruisce con empatia, innanzitutto tra di noi, tenendoci per mano. Gli italiani si fideranno solo se vedranno persone che si stimano, si vogliono bene, il contrario dell’odio che ha abitato tante volte nel centrosinistra».
UN MESSAGGIO QUASI prepolitico. Cui segue una riflessione sulla svolta di Biden: «I democratici Usa, e anche io, hanno creduto che bastasse investire sulla locomotiva e i vagoni avrebbero seguito. Invece i vagoni- in senso sociale e geografico- si sono staccati e ora bisogna modificare l’ordine delle cose, la locomotiva deve stare in fondo e spingere». Per Letta, dopo la «convergenza di azione» tra Pd e M5S avvenuta sotto il governo Conte, ora serve una «convergenza di pensiero». E assicura: «Noi ascolteremo con umiltà, il nostro non deve più essere un partito antipatico, ma che soffre e spera con le persone».
Le spine delle mancate alleanze alle comunali d’autunno sono un convitato scomodo, che rischia di appannare il pomeriggio di amorosi sensi. «Sarebbe un peccato se, rispetto alle amministrative, non si riuscisse a concordare alcuni passaggi insieme, anche se credo che i tempi non siano ancori maturi per poter varare un’alleanza a tutto tondo col Pd», aveva detto Conte in mattinata. «Le amministrative sono solo una tappa intermedia del percorso che deve portarci uniti alle politiche del 2023 per avere la maggioranza», risponde Letta.
SCHLEIN PROPONE: «Bisogna ricostruire un campo nel suo insieme, le singole ristrutturazioni dei partiti non bastano. Su lavoro, ambiente e disuguaglianze abbiamo idee comuni, i giovani ci chiedono di unire le lotte, una visione comune» A Renzi ci pensa Bettini. «Non dialogheremo con chi mette in discussione la nostra alleanze, con chi fa azioni di disturbo per rafforzare il suo orticello». Conte e Letta, entrambi cacciati da palazzo Chigi dal rottamatore, non hanno bisogno di aggiungere una virgola. Il ticket dei due ex premier verso il 2023 è partito.
Commenta (0 Commenti)50 anni. Il manifesto va oltre l’impegno informativo, è qualcosa di più di un semplice quotidiano. È una idea, una scuola, un sentimento, un cuore collettivo e pulsante
Allo scoccare del mezzo secolo, per quegli strani scherzi del tempo, succede che le infinite, piccole e grandi storie, che hanno attraversato gli anni, diventano Storia.
Così, un consueto compleanno può assumere un carattere speciale, un rilievo anche simbolico, a metà strada tra magica alchimia e concreta determinazione.
Con il passare del tempo, gli anni trascorsi al manifesto sono diventati via via sempre più preziosi. E mi sono resa conto che se il tempo consumava noi, che realizzavamo e facciamo ancora oggi il giornale, «lui» invece non invecchiava, perché in grado di rinnovarsi.
Ora, che compie 50 anni, ha poche rughe, è in forma, forte, tenace. Combattivo come il primo giorno, quel 28 aprile del 1971 che è ormai la data di una storia giornalistica così lunga da rendere il manifesto, tra i quotidiani nazionali, il più longevo dopo La Stampa e il Corriere della Sera.
Il suo intreccio di ideali vive nel cuore e nella mente di milioni di persone; una storia politica maturata nel 1969 con l’omonima Rivista e subito dopo con la nascita del gruppo extraparlamentare; una vicenda collettiva, di una comunità di donne, uomini, ragazze, ragazzi e esponenti della vecchia guardia, che ci sostengono nella indefessa convinzione che un mondo diverso sia possibile.
Cinquant’anni fa nessuno mai avrebbe immaginato che la grande corazzata del Pci sarebbe sprofondata e il fragile vascello del manifesto gli sarebbe sopravvissuto. Se questo è accaduto, verosimilmente è perché quel ramo, che si separava dal grande albero, già si predisponeva all’innesto, alla contaminazione feconda con l’onda d’urto travolgente del ‘68, coniando, con l’invenzione di un quotidiano, una nuova, originale forma della politica.
Fu un incontro di reciproco, ricambiato amore che, nonostante tutto, traguarda ora il mezzo secolo.
Arrivare fin qui è stato un laico miracolo: l’esistenza del manifesto è segnata da momenti duri, difficili, perfino traumatici. Non una, ma più volte, siamo stati sul punto di chiudere definitivamente la nostra avventura.
Certamente, come conseguenza della crisi della sinistra italiana – e mondiale – incapace di immergersi e nuotare nei cambiamenti ideologici, sociali, culturali, economici che hanno caratterizzato la fine del Ventesimo secolo e i primi venti anni dei Duemila; ma anche a causa di
Leggi tutto: il manifesto: Cinquanta splendide primavere - di Norma Rangeri
Commenta (0 Commenti)Movimenti. La protesta a piazza Montecitorio del movimento "Per la società della cura": «Il piano di ripresa e resilienza non cambia l’economia che ha prodotto la pandemia. Sono politiche economiche ispirate alle vecchie ricette di stimoli tipiche degli anni Novanta che non producono lavoro dignitoso né qualità della vita». Condanna dell'esautoramento del parlamento e della discussione pubblica sulle soluzioni contenute nel piano di oltre 330 pagine anche da parte dei deputati in piazza
Davanti alla Camera che ha ricevuto il piano del secolo, quello di «ripresa e resilienza» solo dopo le 14 per votarlo senza conoscere la versione definitiva in serata, ieri si è radunato un puzzle di movimenti, associazioni e sindacati che anima la rete «Per una società della cura». Insieme hanno redatto il «Recovery PlaNet» alternativo a quello che il 30 aprile il governo invierà alla Commissione Europea. Prossimi appuntamenti: a Roma per il Global Health Summit del 21 maggio e il ventennale del G8 di Genova.
«QUESTO MODO di fare politica la dice lunga sulla concezione della democrazia di questo governo – sostiene Marco Bersani di Attac – Il piano insegue i miti della crescita competitività e concorrenza con il presidente del consiglio Mario Draghi che spinge alla sua attuazione senza una discussione pubblica perché sostiene che ogni ritardo provoca perdite di vite umane. Farei presente che le 116 mila vittime sono la conseguenza di un modello di sviluppo che ha provocato la pandemia del Covid e che potrebbe produrne altre se non lo si cambia. Nel Pnrr non c’è un’alternativa a questo modello».
«SI STANNO AFFRONTANDO i problemi del mondo del 2021 come le pandemie e l’emergenza climatica con le politiche economiche degli anni novanta – sostiene Monica Di Sisto di Fair Watch – Pensano che gli investimenti si traducano in punti di Pil da portare a Bruxelles come un trofeo. Ma gran parte di quelli prospettati nel piano rispondono a politiche di stimolo che rischiano di finire in nulla se il mercato interno e il tessuto sociale sono impoveriti come oggi. Gli incentivi non si traducono in lavoro dignitoso e qualità della vita. La storia dell’altra crisi dovrebbe averlo dimostrato. E invece si procede nello stesso modo, più di prima. Abbiamo votato un parlamento perché esami il piano, altrimenti parliamo di ristrutturazione autocratica del paese».
«QUELLA CHE SI VOTA in queste ore è una grande spartizione di risorse che quasi tutti i partiti stanno aspettando da mesi e li ha rapidamente convinti a imbarcarsi in un governo di destra-centro-sinistra, un’“ammucchiata” senza precedenti in Italia e in Europa- ha detto Piero Bernocchi (Cobas) – Senza un reddito di base, beni comuni come scuola e ricerca, trasporti e sanità sottratti al mercato non ci sarà nessuna transizione».
ANCHE SULLA SANITÀ è il piano è stato giudicato insufficiente. «La sofferenza usata per altre esigenze economiche per fare ripartire il modello di sviluppo che è alla base di queste pandemie – ha detto intervenendo online Vittorio Agnoletto di Medicina Democratica e della campagna “Nessun profitto sulla pandemia” – Abbiamo bisogno di cambiare il paradigma della sanità, di assumere medici e infermieri, una medicina territoriale, strutture ospedaliere intermedie, i Lea devono essere garantiti da un servizio pubblico e di un’azienda sanitaria pubblica a livello europeo. Altrimenti alla prossima pandemia rincorreremo le multinazionali per avere altri vaccini».
CRITICHE sono state rivolte da Rossella Muroni (Verdi) al la visione estrattivistica delle politiche energetiche, alla politica di transizione alle energie rinnovabili non democratica e non priva di problemi sull’idrogeno; sulle grandi opere e sui commissariamenti. «C’è un deficit di partecipazione democratica – ha detto in piazza Stefano Fassina (LeU) che ha votato la fiducia al governo -La storia non finisce oggi, le leggi delega passeranno in parlamento e i progetti vanno definiti, è importante continuare la mobilitazione». «Voterò contro questo scandalo – ha detto Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana) in piazza- Il governo precedente è caduto perché aveva permesso la partecipazione al piano. Ora il Parlamento lo discute a scatola chiusa».
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Giuseppe De Rita sostiene che il 25 aprile è una festa che non ha più senso. Cosa avrà voluto dire? E’ necessario chiedercelo. Non ho dubbi che De Rita sia antifascista.
Quindi? E’ la constatazione di un sociologo che legge la realtà e la interpreta? Ma da un sociologo della sua fama ci si aspettano descrizione e analisi.
Non flash che assomigliano a battute amare. Per non dire irritate.
Il 25 aprile non ha più senso. Per chi?
Per chi ne conosce il significato, ha un doppio senso. Per i fascisti e gli eredi politici del fascismo, di sfumature varie, ha un senso negativo, da cancellare. Il senso della sconfitta.
Per chi proviene, in prima persona o per storia familiare, dall’antifascismo militante, è una festa imprescindibile nel suo enorme valore.
Il valore della libertà. La libertà, diceva Piero Calamandrei, che ha il valore dell’aria. Ne conosci veramente il valore quando l’aria viene meno.
Per gli afascisti, gli indifferenti rispetto ad ogni questione civile che non li riguardi in prima persona, è un giorno come un altro, salvo il godere di una giornata di riposo.
Gli indifferenti. Quelli che Antonio Gramsci detestava. Il tarlo che rode dall’interno ogni democrazia, un tarlo pericoloso perché silenzioso e invisibile. A volte, si vede il marciume quando è troppo tardi.
Il 25 aprile divide, o non dice più niente a nessuno, quindi mettiamoci una pietra sopra? Divide ancora? Perché?
Non c’è una sola festa, e non solo in Italia, che sia vissuta allo stesso modo, felice o infelice che sia.
Anche il 14 luglio, in Francia, non ha lo stesso valore in ogni ambito e per ogni persona. Ma nessun francese ignora cosa accadde il 14 luglio del 1789.
Il 4 luglio, negli USA, è festa molto sentita. Chi ne gioisce va dai radical democratici ai sovranisti, con spirito opposto. Ma nessuno, negli USA, dice che è una festa priva di significato.
La generazione italiana giovane non conosce il significato del 25 aprile? Tutta la gioventù? Strana generalizzazione. Questo sarebbe un vero e grande guaio, e non solo per il 25 aprile.
La vera e drammatica questione è che la conoscenza della storia è merce rara, nel nostro paese. Nei piani bassi e nei piani alti.
Credo che De Rita dovrebbe preoccuparsi di un paese che ha pochi parlamentari che conoscono la nostra storia, Costituzione compresa.
E che il primo vulnus alla nostra Repubblica, sia stato, poco dopo il suo inizio, il mettere molta polvere sotto il tappeto.
Molti fascisti, anche criminali, nei ministeri, nell’esercito, nella magistratura, nella scuola. L’armadio della vergogna docet.
Non sono soltanto i giovani che conoscono poco la storia. Pochi sanno che i nodi individuati dal Risorgimento democratico non sono stati sciolti. Neppure Giolitti lo ha fatto. Che la prima guerra mondiale ha sconvolto il mondo, e non solo l’Italia. Che il fascismo sembrò la risposta che, andando per le spicce, metteva ordine.
De Rita ridicolizza gli uomini del CLN che, a Liberazione compiuta, sfilano in giacca e cravatta. Ma dietro di loro c’era tanta gioventù armata. Di questo non parla, De Rita. Come dovevano sfilare, i rappresentanti del CLN, con fucili spianati? La nostra non fu solo una Resistenza armata di armi. Ci furono tante altre buone armi, se proprio vogliamo usare la parola armi. Quelle del pensiero, della politica, dell’etica civile, opposte a quella del regime. Claudio Pavone lo ha spiegato in modo magistrale. E molte donne storiche hanno spiegato il significato liberatorio, per le donne, della Resistenza delle donne antifasciste. Una per tutte, Anna Rossi-Doria.
Gli uomini del CLN, sfilando così vestiti, vollero significare che la gioventù antifascista armata aveva consentito loro di ritornare a una vita civile finalmente senza armi. In pace, con abiti in borghese, che non vuole dire abiti borghesi, come De Rita dovrebbe sapere. Gli uomini del CLN comprendevano bene il significato dei simboli, esperti di semiotica più di De Rita.
La nostra gioventù, quella che studia, quella civilmente impegnata, nel volontariato, nell’ambientalismo, per i diritti civili e sociali, non sa cosa significhi il 25 aprile? De Rita non conosce questa gioventù.
E’ una gioventù innamorata della Resistenza, del 25 aprile, di Bella Ciao.
La gioventù a cui mi riferisco è tutta la gioventù? Certamente no. Forse sono in maggior numero gli indifferenti? Non lo escludo.
C’è anche una gioventù fascista o neofascista?
C’è, si vede, si sente. Non si nasconde. E’ rumorosa. E’ di numero superiore alla gioventù antifascista, impegnata quotidianamente per l’attuazione della Costituzione, molto più di quanto non facciano molti parlamentari?
Non credo. Ma sono modi di essere giovani su fronti opposti, non c’è retorica di necessaria riconciliazione che tenga. Piero Calamandrei disse che la patria era stata uccisa dal fascismo e che l’antifascismo l’avrebbe fatta rinascere. Recentemente Maurizio Viroli ci ha ricordato una espressione di Norberto Bobbio, che sceglieva le parole con cura. L’antifascismo deve essere intransigente e sprezzante. Sprezzante? Certo, perché privo di valore, da disprezzare. E, aggiungeva Viroli, noi antifascisti siamo in difficoltà, se pensiamo di dovere comprendere e perdonare. Comprendere nell’accezione della comprensione storica dei fatti, premesse, contesti, conseguenze? Certamente. Ma comprensivi come con un fanciullo che, per inesperienza, ha sbagliato? Sicuramente no.
Perdonare? Impossibile. Altri totalitarismi hanno compiuto altri disastri? Non è l’alibi per perdonare.
Nessuna tragedia della storia va perdonata. Il perdono non è una categoria della storia e della politica.
Con questi pensieri andrò, fra poche ore, alla cerimonia del 25 aprile.
Ben sapendo che il 25 aprile, e la nostra Costituzione, sono ancora poco onorati.
E che avrebbero meritato, e meritano, molto più, e meglio, di quanto il popolo italiano e i sui rappresentanti abbiano fino ad oggi fatto.
Maria Paola Patuelli
25 aprile 2021
Commenta (0 Commenti)Ci siamo auto-invitati al 25 aprile in Piazza.
Alle ore 11.15 canteremo DALLE BELLE CITTÀ e intoneremo un BELLA CIAO da cantare tutti assieme!!
VENITE A CANTARE PER LA LIBERTÀ!!