Guerra in Ucraina. Dissensi nel M5S, da Conte sì «sofferto». Il dem Majorino: errore aumentare le spese militari
Manifestazione pacifista © LaPresse
Via libera della Camera al decreto Ucraina, compreso il contestato capitolo dell’invio di armi italiane, che vede contrario tutto l’arcipelago di sinistra, i verdi e gli ex grillini di Alternativa e crea più di un problema dentro il M5S e il Pd. Il decreto passa con 367 favorevoli, 25 contrari e 5 astenuti (a favore anche Fdi).
A colpire sono i 231 assenti, di cui solo 78 giustificati in quanto in missione. Tra questi ingiustificati 22 sono di Forza Italia, 37 della Lega, 28 di M5S, 21 del Pd, 23 del Misto. I dem con 69 presenti su 97 deputati totali, registra la più alta percentuale di presenza con il 71%.
I NO SONO PIÙ O MENO gli stessi che mercoledì si erano opposti all’odg della Lega (collegato al decreto e firmato da tutti i partiti di maggioranza) che impegna il governo a portare dall’1,5 al 2% del pil le spese militari entro il 2024: un aumento da 25 a 38 miliardi chiesto
a gran voce dal ministro della Difesa Guerini (Pd). Ieri si sono opposti gli ex grillini di Alternativa, Nicola Fratoianni di Sinistra italiana, le deputate di ManifestA (che fanno riferimento a Rifondazione e Pap) e i verdi.
Quattro i no dai partiti di maggioranza: Gabriele Lorenzoni ed Enrica Segneri (M5S) e Matteo Dell’Osso e Veronica Giannone di Forza Italia. Tutti di maggioranza i 5 astenuti: il nuovo arrivato nel Pd Erasmo Palazzotto (ex Leu), Stefano Fassina (Leu), Nicola Grimaldi e Davide Serritella (M5S), e il renziano Gianfranco Librandi. Sì dall’ex ministro Delrio, che mercoledì si era astenuto (unico nel Pd) sulle spese militari. «Fornire armi ad un Paese belligerante, che non appartiene all’Ue e alla Nato, significa spedire l’Italia dritta in un conflitto bellico, in contrasto con l’articolo 11», l’affondo di Jessica Costanzo di Alternativa.
NEI 5 STELLE IL MALESSERE è diffuso. «Oggi c’è un pensiero unico dove chi osa ragionare in maniera critica, viene criminalizzato e etichettato come putiniano. Io non voterò a favore di questo decreto, perchè accanto agli aiuti umanitari prevede l’invio di armi letali», ha detto in aula Lorenzoni. «Nessuno nega l’invasione da parte della Russia, ma non voglio scivolare in un manicheismo tra buoni e cattivi legittimando una terza guerra mondiale», gli fa eco Segneri. Dal Senato si fa sentire l’ex ministro Danilo Toninelli, che si dice «totalmente contrario all’aumento degli armamenti in Italia». E ricorda: «Come M5S abbiamo sempre combattuto per ridurre gli enormi costi che l’Italia sostiene per armamenti ed eserciti».
Conte, che mercoledì non aveva condiviso il sì all’odg sulle spese militari, cerca di tenersi in equilibrio tra le due fazioni che si combattono nel Movimento: «Non mi ha entusiasmato quell’odg, ma rispetta un impegno che l’Italia ha preso nel 2014 in un vertice della Nato. Diciamo che per me le priorità sono la benzina e le bollette». E ancora: «Gli aiuti militari per noi sono il passaggio più sofferto e delicato. Ma servono ad esercitare il diritto alla difesa». E tuttavia i nodi restano, tanto che Conte è costretto a ribadire: «Sulla vicenda ucraina non abbiamo mai tentennato».
IN CASA PD È FORTE il dissenso dell’eurodeputato Pierfrancesco Majorino, in queste ore in missione al confine tra Polonia e Ucraina: «Considero sbagliatissima la scelta di votare a favore dell’aumento delle spese militari. Una difesa comune europea non può coincidere con la corsa agli armamenti». A disagio anche l’ex presidente della Camera Laura Boldrini, che pure ieri ha votato a favore del decreto: «No all’invio di armi: per la pace serve che tutti i leader mondiali, in una azione politica comune, mettano Putin spalle al muro. Sì all’invio di aiuti e all’assistenza in Italia ai rifugiati ucraini».
Resta fermo sul no anche il segretario della Cgil Landini: «Non blocchi la guerra inviando armi». Durissimo l’ex sindaco di Napoli de Magistris: «Il governo subalterno ai signori della guerra ci sta portando ogni giorno di più verso il baratro e la terza guerra mondiale».
IN ATTESA DELL’INTERVENTO del presidente ucraino Zelensky, che il 22 marzo si collegherà in videoconferenza con la Camera (presenti anche i senatori e Draghi), tra le fila del M5S non mancano i dubbi. Segneri avverte: «Non ne vedo il bisogno, non credo che il Parlamento italiano debba sovraesporsi in questo modo». E Lorenzoni rincara: «Di certo non aiuterebbe una de-escalation».