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Come armare la pace. Il salto è grande perché richiede la costruzione di una diversa concezione e assetto dei rapporti internazionali. Quanto ciò sia difficile è dimostrato anche dai tentativi di mediazione in atto.

Manifestazione pacifista a Milano

Manifestazione pacifista a Milano © LaPresse

Cosa si può fare per fermare la guerra? Come si può armare la pace? Il terrore di precipitare in un conflitto totale appartiene a tanta gente, agita le menti di innumerevoli persone, senza confini, cittadinanze, appartenenze di sorta. Altri subiscono passivamente la massiccia campagna bellicista che, in realtà, è parte del conflitto. Troppi restano chiusi in una sorta di fatalismo impotente.

Così la storia continua a passare sulle teste di tutti. Deliri di potenza, rivendicazioni di supposti primati, contrapposizioni di pretesi valori (da sempre meri vessilli per mandare a combattere), trame di “grandi tessitori”. Sono questi i comportamenti delle cosiddette super-potenze che pretendono di disegnare la geografia economica e politica di macro regioni del mondo.

Come fermarli? Come spiegare che l’età degli imperi è tramontata per sempre?
Essa è finita proprio perché le insaziabili brame dei gruppi di potere dominanti, economici, finanziari, politici, tecno-militari hanno provocato squilibri che

incombono minacciosi sul presente e prossimo futuro dell’umanità. A meno che non ci facciano precipitare subito nel baratro di una terza guerra mondiale, il riscaldamento globale, la concentrazione dell’aumento della popolazione mondiale nei Paesi più poveri, l’allargamento a forbice delle diseguaglianze sociali tra Stati più e meno sviluppati e all’interno sia degli uni che degli altri sono squilibri ormai divenuti insostenibili e tali da pregiudicare le stesse condizioni di sussistenza della specie.

Bandire la guerra e affrontare queste altre minacce impone una rapida e radicale inversione della insensata competizione internazionale transitata senza soluzione di continuità dal Novecento ad oggi. È questa la lezione storica squadernata sotto i nostri occhi da quanto sta accadendo in Ucraina. Non comprenderla e trarne le conseguenze sarebbe la colpa più grave.

Il salto è grande perché richiede la costruzione di una diversa concezione e assetto dei rapporti internazionali. Quanto ciò sia difficile è dimostrato anche dai tentativi di mediazione in atto. Le trattative dirette tra Russia e Ucraina non decollano per l’irrefrenabile aggressione russa e per la subordinazione ucraina all’espansionismo Usa e Nato, complice una Ue priva di autonomia. Ma pure le mediazioni proposte da altri, come il governo israeliano, la Cina e di nuovo la Turchia rischiano di arenarsi per il riaffiorare di logiche parziali, la messa in campo di obiettivi trasversi, il riproporsi di interessi contrastanti.

Ci si rende, allora, meglio conto di come ci troviamo di fronte a tutto una paradigma storico-politico che ha fatto il suo tempo, e perciò tanto più pericoloso. Un paradigma che è necessario superare del tutto se si vogliono, non dico risolvere, ma almeno affrontare i grandi problemi dai quali dipende il nostro futuro. Le loro interconnessioni e dimensioni globali eccedono nettamente i nazionalismi, gli imperialismi e tutte le chiusure che hanno costituito per troppo tempo le geometrie dell’organizzazione del potere.

Quei problemi non possono essere affrontati senza la precondizione della pace. E questa, come la possibilità di risolverli richiede la conversione ad un nuovo ordine internazionale, non solo multipolare, ma fondato su una cooperazione paritaria e solidale tra gli Stati. Tale è la sfida che abbiamo davanti.

Indubbiamente si tratta di un’impresa ardua perché contrasta, non solo con la gerarchia che caratterizza la geografia politica attuale, ma perché si colloca in una prospettiva completamente altra da quella competitiva ed antagonista che i gruppi dominanti nei diversi contesti storici hanno continuato a propagare nel passato e perseguono nel presente.

Per questa ragione la maieutica della pace richiede l’affermazione di una razionalità storica completamente diversa e capace di fondare un nuovo universalismo dei diritti che abbracci tutto il popolo-mondo.