Anniversari. Da oggi a Genova una settimana di iniziative per i 20 anni dal controvertice e dall’uccisione di Carlo Giuliani
«Genova 2001 ci parla ancora della necessità della convergenza, della costruzione di un campo di forze per l’alternativa capace di contenere in modo non gerarchico tante e diverse identità, culture, provenienze, generi, generazioni, tematiche. A Genova 2021 vogliamo fare insieme un passo avanti in questa direzione. E crediamo che l’autunno debba vedere una prima grande mobilitazione nazionale di convergenza», scrivono le trenta organizzazioni che hanno promosso una settimana di iniziative di vario genere (assemblee, incontri, tavole rotonde, presentazioni di libri e altri eventi culturali) in occasione del ventennale del G8 nella città ligure.
I promotori – dalla Fiom-Cgil alla Comunità di San Benedetto al Porto di don Andrea Gallo, passando per Altreconomia e il Comitato verità e giustizia per Genova – fanno sapere di voler discutere in particolare di due questioni: «Il grave, accelerato e progressivo deterioramento dei diritti umani fondamentali, economici, sociali e culturali e la relazione tra l’uso della forza e delle armi da parte delle forze dell’ordine e la garanzia dell’ordine pubblico costituzionale». «Ci chiederemo se le rivendicazioni del movimento altermondialista del 2001 siano ancora attuali, cosa sia cambiato in questi vent’anni e se i movimenti sociali di oggi si riconoscano» in quello di ieri, proseguono. La gran parte dei giovani che hanno partecipato alle mobilitazioni dei Friday for future non erano neppure nati nel 2001, eppure paiono loro gli eredi più diretti di quella stagione, per le questioni che pongono. Ci saranno loro e ci sarà pure un ministro, quello delle Infrastrutture e mobilità sostenibili Enrico Giovannini, mentre all’epoca il governo Berlusconi era dall’altra parte della barricata, nella zona rossa protetta dalle inferriate e addobbata con limoni finti.
Si torna a Genova,
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COMUNICATO STAMPA CGIL CISL UIL DI RAVENNA
Hysa Bujar di 63 anni è morto questa mattina a causa di un infortunio sul lavoro che si è verificato presso il Centro Servizi dello stabilimento Marcegaglia di Ravenna.
Hysa lavorava per la cooperativa di facchinaggio Co.Fa.Ri. L’infortunio mortale sembra avere sinistre analogie con un altro infortunio mortale avvenuto in Marcegaglia nel 2014, dove trovò la morte Lorenzo Petronici.
Solo un anno fa, in IFA, un altro terminal ravennate, ha trovato la morte Franco Pirazzoli anche lui in un infortunio ancora da chiarire e sul quale sono aperte de indagini della magistratura.
Una scia di sangue che non si arresta, nonostante i MAI PIÙ.
Hysa lascia la moglie, 2 figli e i nipoti ai quali porgiamo le nostre condoglianze e la nostra promessa di fare ogni cosa sia in nostro potere perché la morte del proprio congiunto non sia vana.
CGIL CISL UIL, unitamente alla RSU Marcegaglia ed alle Categorie di tutti i lavoratori impegnati a qualsiasi titolo negli stabilimenti Marcegaglia di Ravenna hanno proclamato lo sciopero per tutti i turni di lavoro delle giornate del 15 e del 16 luglio.
Domani i lavoratori del porto di Ravenna si fermeranno per 24 ore e alle 12 le sirene del porto suoneranno in segno di protesta per queste morti e di solidarietà con la famiglia.
Durante l’incontro avvenuto nel primo pomeriggio con la direzione aziendale di Marcegaglia le rappresentanze sindacali, dopo un sopralluogo nel sito della tragedia, hanno ribadito problematiche inerenti le carenze di personale, gli spazi angusti di lavoro ed impegni orari eccessivamente prolungati per i lavoratori impegnati negli appalti.
Lasciamo alla magistratura il compito di accertare le responsabilità di ciò che è accaduto. Alla città, alle istituzioni, agli organismi di controllo ed alle associazioni di rappresentanza la responsabilità di uno sforzo straordinario per il consolidamento di un sistema che discrimini chi non è in grado di garantire i più alti standards di sicurezza.
In questo senso, il rinnovo del protocollo sulla sicurezza del porto, che prenderà avvio nei prossimi giorni, sarà l’occasione per misurare la reale volontà degli attori economici dell’ambito portuale per mettere al primo posto la sicurezza dei lavoratori.
CGIL CISL UIL
M.Melandri R.Baroncelli C.Sama
Ravenna 15 luglio 2021
Ravenna, 15 luglio 2021 - Tragico infortunio questa mattina allo stabilimento Marcegaglia di via Baiona. Nell'incidente sul lavoro è morto un operaio di 63 anni, dipendente di una ditta esterna.
Erano circa le 9.10 quando il lavoratore è rimasto schiacciato da un coil, una grande bobina per vari impieghi. Immediatamente è scattato l'allarme con l'arrivo sul posto dei sanitari del 118 con un'ambulanza e un'auto con medico a bordo. Nel luogo dell'infortunio sono arrivati anche i carabinieri e i tecnici della Medicina del lavoro dell'Ausl Romagna.
Subito è arrivata la reazione dei sindacati di categoria Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil che hanno proclamato 8 ore di sciopero per tutta la giornata di oggi per tutti i turni di lavoro. In una nota si legge: "Stamattina un terribile incidente ha colpito un lavoratore di una ditta esterna al Cs. Non si può continuare a lavorare dopo un fatto di tale gravità". Inoltre i sindacati chiedono che "Rsu e Rls vengano convocati immediatamente per capire le dinamiche dell'accaduto".
Il vuoto affluente. Con l’«occasione» della pandemia proprio nulla dovrebbe tornare come prima, e il lavoro dovrebbe essere garantito e sottratto alle logiche del mercato
Con le finestre aperte nelle sere d’estate ecco che arriva l’urlo lancinante: «Chi ha fatto palo». Dunque torna la stagione fantozziana sospesa tra subalternità, disperante comicità della diffusa solitudine, il tutto dentro un vuoto affluente dove il «palo» altro non è che la realtà mancante, la rete segnata che non viene…ma basta il palo per entrare nella magnificenza della verità televisiva. Si dirà che il goal poi è arrivato e arriverà a soddisfare l’empito di massa. Ma il vuoto resta. È quello del presente e del futuro del Paese.
Dove, a pandemia non ancora finita, gli appetiti dei privati sulla sanità pubblica tornano all’arrembaggio; mentre dovrebbe esser chiaro una buona volta per tutte che siamo vivi e salvi solo perché nonostante tutto è rimasto in piedi, grazie a lotte dimenticate, il servizio sanitario pubblico; e invece nei sistemi sanitari differenziati, quelli regionali – il modello Lombardia p.s. -, è un corri corri a spartirsi l’immensa torta che si prepara. Dov’è il misfatto? Che i privati nella sanità esistono quasi esclusivamente solo grazie ai finanziamenti pubblici sottratti alla salute collettiva.
E il vuoto resta sulle condizioni di sfruttamento del lavoro. Nei quattro giorni seguenti alla firma dell’accordo sullo sblocco dei licenziamenti, con tanto di « avviso comune» e «raccomandazioni», due aziende, una di Assolombarda e l’altra una multinazionale, hanno licenziato via mail 150 persone nel primo caso, 422 nel secondo.
Confindustria licenzia appena può. Tanto la «penale» sarà il soccorso integrativo dello Stato. Ormai il salario dei lavoratori è di fatto pagato dalla collettività anche per sostenere – questo è il paradosso – l’esistenza della proprietà privata dei mezzi di produzione. Eppure in piena pandemia 20 milioni di persone hanno continuato a lavorare ogni giorno, in presenza e/o in telelavoro da più di un anno e mezzo. Meriterebbero riconoscimenti, invece sono minacciati dal «ritorno alla normalità», la nuova ideologia che sostiene gli interessi del finanz-capitalismo e che è il pane quotidiano dell’onnivoro governo di tutti, il governo Draghi, che rappresenta una rendita di posizione della destra: dalla residua Fi, alla sovranista Lega fino all’estrema destra di Fd’I che infatti fa – premiata – l’opposizione di sua maestà. E che dire della rendita di Matteo Renzi che,
Leggi tutto: Chi ha fatto palo? - di Tommaso Di Francesco
Commenta (0 Commenti)Firenze. La multinazionale inglese dà il benservito via mail alle 422 tute blu fiorentine di Campi Bisenzio. I sindacati: intervenga il governo
Licenziati in 422 con una mail arrivata sulla loro pec, meccanismo consentito dal jobs act, le operaie e gli operai della Gkn Driveline di Campi Bisenzio sono entrati comunque nello stabilimento di componentistica auto che i padroni inglesi di Melrose vogliono chiudere, e dal primo pomeriggio di ieri sono in assemblea permanente, prendendo la decisione di presidiare la fabbrica giorno e notte. Anche fuori dai cancelli è stato subito organizzato un presidio di solidarietà, sempre più partecipato via via che la notizia veniva data da radio e tv locali e rimbalzava sui social. Furibondi i sindacati, Fiom Cgil in testa, ed esterrefatto l’intero arco delle forze politiche toscane, da Potere al popolo e Rifondazione comunista, che hanno sempre seguito e appoggiato le vertenze delle combattive tute blu Gkn, a Sinistra italiana, 5 Stelle e Pd, fino a Lega e Fratelli d’Italia.
Gelata anche la Confindustria fiorentina, che di fronte alla procedura di licenziamento collettivo «aperta in totale autonomia da Gkn Driveline», spiega che «non aveva avuto alcuna informazione», prendendo le distanze dalle modalità utilizzate. Solo Carlo Bonomi, leader di Confindustria nazionale, l’ha presa larga, cercando di difendere l’ «avviso comune» sottoscritto con il governo e i sindacati confederali. «Chi vuole strumentalizzare questi argomenti vuole solo fare polemiche. L’avviso comune prevede una raccomandazione a usare tutti gli strumenti disponibili, e le aziende che stanno procedendo a chiusure potevano licenziare anche prima, perché la cessazione di attività era una delle clausole esimenti anche in presenza del blocco dei licenziamenti».
Come nel caso dei 152 lavoratori e lavoratrici della brianzola Gianetti, le tute blu della Gkn si sono trovati all’improvviso senza più un impiego, dopo aver regolarmente fatto il loro turno fino alla notte precedente. «Un comportamento vigliacco, senza rispetto per le persone e per il territorio – annota la solitamente moderata Fim Cisl – una modalità banditesca che condanniamo senza appello. Proprio questa mattina l’azienda aveva messo tutti i lavoratori in Par (permesso annuo retribuito) collettivo in vista del ferie estive, e in fabbrica non c’era nessuno. Da informazioni che abbiamo raccolto pare che l’azienda voglia delocalizzare, cosa che non ha nessuna logica visto che poco tempo fa sono stati effettuati importanti investimenti in macchinari e automatizzazione dello stabilimento».
Invece poco prima dell’alba sono stati portati via i server e i software necessari alla produzione di semiassi per diverse case automobilistiche tra cui Fca e Volkswagen, e al mattino i primi operai accorsi si sono trovati davanti non le abituali guardie giurate ma dei buttafuori, che comunque nulla hanno potuto di fronte a centinaia di lavoratori entrati comunque nella «loro» fabbrica. «Questa è come casa mia – ha spiegato una tuta blu davanti alle telecamere del Tg3 toscano – è da 27 anni che lavoro qui. E da qui non me ne vado». Dello stesso avviso i delegati sindacali della Fiom in fabbrica: «Non accetteremo licenziamenti – spiega Andrea Brunetti – né alcuna riduzione dei livelli occupazionali». «Siamo l’ennesimo caso di chiusura a tradimento – aggiunge Dario Salvetti – e ci chiediamo quanto dovranno andare avanti storie del genere».
I 41 sindaci della ex provincia di Firenze da oggi saranno a turno in presidio davanti ai cancelli, seguiti con ogni probabilità da quelli pratesi. «Il governo deve intervenire – osserva il presidente toscano Eugenio Giani – questo è un caso nazionale». Ma non sarà una vertenza facile: quando nel marzo 2018 il «buco» di 1,6 miliardi di euro accumulato da Gkn nel fondo pensionistico dei suoi dipendenti convinse gli azionisti ad accettare l’offerta da circa 9 miliardi del gruppo Melrose, specializzato nell’acquisizione e nel risanamento di aziende in difficoltà per poi rivenderle intere o a «spezzatino», intervenne il governo, preoccupato per il settore aerospazio di Gkn. Ma non per quello dell’automotive, tanto che lo scorso anno, in piena pandemia, Melrose a Birmingham ha mandato a casa 185 lavoratori su 600. Senza ricorrere agli ammortizzatori sociali, pur previsti dall’esecutivo inglese in casi del genere.
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