Si avvicina il 25 aprile, la festa della Liberazione, la primavera della nostra democrazia rinata dopo vent’anni di feroce dittatura mussoliniana, dopo una guerra scatenata dal nazifascismo. Una festa nazionale, popolare, fondativa che già nel primo decennio degli anni Duemila gli improbabili liberali berlusconiani volevano candeggiare dalle macchie comuniste ribattezzandola, non più festa non della Liberazione ma della Libertà. Poi bastò che il Cavaliere si arrotolasse attorno al collo il fazzoletto partigiano perché tutti apprezzassero il geniale spot e tirassero un sospiro di sollievo. Il maldestro tentativo revisionista non riuscì ma era solo rinviato.
La peggior destra europea, oggi al governo del paese, torna a battere quella strada. Meloni e i suoi sodali ci riprovano procedendo sul doppio binario di Patria e Famiglia. Vogliono tagliare le radici antifasciste della Repubblica, sfigurando la cultura costituzionale del paese. Vogliono ripulire dalle infiltrazioni moderniste i rapporti tra le persone cancellando i diritti civili, negando l’emancipazione sessuale di uomini e donne.
Questa destra, dobbiamo saperlo, procede con metodo, lucida intelligenza, tracotante sicumera. Come se la vittoria elettorale, il consenso popolare (piuttosto
Leggi tutto: Cancellano la nostra vera storia - di Norma Rangeri
Commenta (0 Commenti)SOLDI EUROPEI. Scaricabarile sui ritardi nei progetti per spendere i 220 miliardi. Ex premier furioso per gli attacchi. Schlein: hanno detto che erano pronti, non lo sono
Il segnale è eloquente e pessimo: intorno al Pnrr e ai suoi ritardi fioriscono solo accuse reciproche, oltre a un coro di sindaci e governatori che strepitano perché i soldi siano affidati a loro che saprebbero ben come spenderli. Ieri è stato il turno del primo cittadino di Roma Gualtieri: «Dateci 500 milioni e noi li mettiamo a terra entro giugno 2026». Repertorio.
Per l’opposizione è tutta colpa di questo governo incapace: «Hanno detto che erano pronti e pronti non sono», attacca Elly Schlein. L’addebito non è infondato: la governance articolata fra Chigi e il Mes funziona con dei limiti, i sistemi di controllo informatici sullo stato dei lavori dei vari ministeri devono ancora essere armonizzati, gli acconti del Mef alle aziende si limitano al 10% ed è poco. Però mettere all’indice un governo in carica da pochi mesi per vizi decennali è un bel po’ esagerato. Alcuni governanti se la prendono con l’esecutivo precedente, e anche qui qualcosa di vero c’è: i ritardi erano già certi nell’ultimo tratto del governo Draghi. Però finché è stato in carica quel governo non poteva che occuparsi della prima e di gran lunga più facile parte del Piano, le riforme, e quelle le ha completate in tempo. La premier, al telefono con un Draghi imbufalito per le accuse, se l’è presa con Bruxelles: per punire i sovranisti userebbe pesi e misure ben diversi da quelli che adoperava con Draghi. Al solito, non è solo retorica vittimista anche se il sovranismo c’entra fino a un certo punto. Il problema è che per comprensibili ragioni la Ue si fidava dell’ex presidente della Bce un migliaio di volte più di quanto si fidi del nuovo
Commenta (0 Commenti)IL CASO. Il rischio è stato denunciato dal presidente dell’Autorità anticorruzione Anac Giuseppe Busia: "Per le gare sotto 150 mila euro va benissimo il cugino o chi mi ha votato, si prenderà l'impresa più vicina, non quella che si comporta meglio". Cgil: "Ci saranno più cartelli, più corruzione e più precarietà". Salvini: "Con appalti veloci meno corruzione, e se la Cgil sciopera allora abbiamo fatto bene"
Sopralluogo di matteo Salvini ai cantieri del Villaggio Olimpico a Milano - LaPresse
Con il «Codice Salvini» gli appalti fino a 150 mila euro potrebbero andare «a un cugino o a chi ha votato». La battuta di Giuseppe Busia, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), ieri è stata efficace. «Si dice non consultate il mercato, scegliete l’impresa che volete – ha aggiunto – il che vuol dire che si prenderà l’impresa più vicina, quella che conosco, non quella che si comporta meglio». «Attenzione a spostare l’attenzione solo sul “fare in fretta”, che non può mai perdere di vista il ‘fare bene».
LA STRONCATURA dell’Anac è una buona introduzione alla «filosofia e all’impostazione culturale» – così l’ha definita ieri il ministro leghista alle infrastrutture e ai trasporti Matteo Salvini – del nuovo codice appalti da 229 articoli varato due giorni fa dal Consiglio dei ministri. «Chi si lamenta che sia un favore a corrotti e corruttori si sbaglia – ha detto Salvini – Non diffidiamo per partito preso delle imprese e dei sindaci. Un semplice avviso di garanzia in un paese civile non è una sentenza di condanna». Il «suo» codice appalti «scommette sul sistema industriale italiano». E alle proteste della Cgil ha risposto che «se sciopera allora significa che il nuovo codice è fatto bene».
LE PRIME SCHERMAGLIE polemiche si sono concentrate sull’«appalto integrato»: l’affidamento della progettazione e dell’esecuzione dei lavori allo stesso operatore economico. È stato previsto il ricorso al subappalto a cascata e senza limite. Così aumenterà la precarietà dei lavoratori e si frammenterà il sistema. La tecnica era stata vietata in precedenza, ma è
Commenta (0 Commenti)ADDIO GIANNI. L'annuncio della famiglia affidato ai social: "Gianni Minà ci ha lasciato dopo una breve malattia cardiaca. Non è stato mai lasciato solo, ed è stato circondato dall’amore della sua famiglia e dei suoi amici più cari"
Gianni Minà nel corso della presentazione del suo libro "Così va il mondo" al centro sociale "Scugnizzo liberato", Napoli 31 maggio 2017 - ANSA/CESARE ABBATE
“Gianni Minà ci ha lasciato dopo una breve malattia cardiaca. Non è stato mai lasciato solo, ed è stato circondato dall’amore della sua famiglia e dei suoi amici più cari”. Così, su Facebook, la famiglia ha annunciato la morte del giornalista.
Nato a Torino, Minà ha iniziato la carriera giornalistica nel 1959 a Tuttosport, di cui fu poi direttore dal 1996 al 1998. Nel 1960 ha esordito alla RAI come collaboratore dei servizi sportivi per le Olimpiadi di Roma.
Nella sua carriera ha seguito otto mondiali di calcio e sette olimpiadi, oltre a decine di campionati mondiali di pugilato, fra cui quelli storici dell’epoca di Muhammad Ali.
Campione idealista e provocatorio
Una volta entrato in RAI, nel 1976, inizia a raccontare l’America Latina con una serie di reportage che caratterizzeranno tutta
Leggi tutto: È morto Gianni Minà
Commenta (0 Commenti)CRISI UCRAINA. Pure assolutamente convinti della necessità di una forza di sinistra alternativa in questa rovinosa crisi italiana, consideriamo l’avvento di Elly Schlein alla segreteria del Pd come una occasione importante per […]
Pure assolutamente convinti della necessità di una forza di sinistra alternativa in questa rovinosa crisi italiana, consideriamo l’avvento di Elly Schlein alla segreteria del Pd come una occasione importante per tutti per una opposizione in questo Paese precipitato nell’epoca dell’estrema destra al governo. Tuttavia accadono cose che è impossibile non sottolineare. Soprattutto in queste ore drammatiche, di fronte al discorso minaccioso di Putin che annuncia il dispiegamento di armi nucleari tattiche in Bielorussia, bontà sua dichiarando «nel rispetto del Trattato Start», come se la cosa non mettesse lo stesso il mondo nel terrore.
Parliamo di quello che è accaduto giovedì 23 scorso a Bruxelles alla riunione del Pse, le forze socialiste europee. Dove, e non è chiaro a quale titolo, insieme a Schlein, al premier spagnolo Sanchez e alla premier finlandese Marin e a tanti altri, ha partecipato Jens Stoltenberg, il segretario generale della Nato. La cosa è sorprendente per diversi ordini di motivi. Il primo è che nessuno dei presenti ha avuto a quanto pare niente a che ridire. Sarà stata una sorpresa per molti, oppure era invitato – ma ripetiamo, a che titolo visto che Stoltenberg è stato sì dirigente laburista norvegese ma fino al 2014? Oppure siamo di fronte alla strategia dell’«ospite ingrato»: dare la tribuna a quello che dovrebbe essere un avversario per essere legittimati?
Schlein a Bruxelles. Poi il nodo capigruppo
Oppure meglio ancora, un revival di memoria, annoverando la triste storia dei leader neoliberisti di sinistra Clinton, Blair e tanti altri che hanno avviato tutte le guerre sporche che
Leggi tutto: Il nodo scorsoio del riarmo - di Tommaso Di Francesco
Commenta (0 Commenti)Il 24 marzo del 1944, l’eccidio nazifascista delle Fosse Ardeatine. Giorgia Meloni da Bruxelles: uccisi «solo perché italiani». Dimenticando che in gran parte furono scelti perché antifascisti, militari resistenti, politici ed ebrei. Tanti i non italiani tra le vittime. La protesta di Anpi e opposizioni
Il presidente Mattarella alle Fosse ardeatine - LaPresse
FOSSE ARDEATINE. Giorgio Leone Blumstein era nato nel 1895 a Leopoli, città dell’Ucraina. È morto il 24 marzo 1944., ammazzato alle Fosse Ardeatine. Non l’hanno ucciso perché era italiano. Non era italiano. […]
Giorgio Leone Blumstein era nato nel 1895 a Leopoli, città dell’Ucraina. È morto il 24 marzo 1944., ammazzato alle Fosse Ardeatine. Non l’hanno ucciso perché era italiano. Non era italiano. L’hanno ucciso perché era ebreo.
Blumstein non è un caso isolato. Gli stranieri uccisi alle Fosse Ardeatine sono una dozzina. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni (così vuole essere chiamata) vanta giustamente la sua origine alla Garbatella, quartiere popolare di Roma. La Garbatella è direttamente contigua alle Fosse Ardeatine. Chi è cresciuto lì non può non aver sentito parlare di che cosa è successo.
Le sue sorprendenti parole non sono frutto di ignoranza ma di inconfessata e tracotante vergogna. Non fu ucciso perché era italiano neanche il generale Simone Simoni,
Leggi tutto: Italiani e non, il revisionismo di Giorgia Meloni - di Alessandro Portelli
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