Il 24 marzo del 1944, l’eccidio nazifascista delle Fosse Ardeatine. Giorgia Meloni da Bruxelles: uccisi «solo perché italiani». Dimenticando che in gran parte furono scelti perché antifascisti, militari resistenti, politici ed ebrei. Tanti i non italiani tra le vittime. La protesta di Anpi e opposizioni
Il presidente Mattarella alle Fosse ardeatine - LaPresse
FOSSE ARDEATINE. Giorgio Leone Blumstein era nato nel 1895 a Leopoli, città dell’Ucraina. È morto il 24 marzo 1944., ammazzato alle Fosse Ardeatine. Non l’hanno ucciso perché era italiano. Non era italiano. […]
Giorgio Leone Blumstein era nato nel 1895 a Leopoli, città dell’Ucraina. È morto il 24 marzo 1944., ammazzato alle Fosse Ardeatine. Non l’hanno ucciso perché era italiano. Non era italiano. L’hanno ucciso perché era ebreo.
Blumstein non è un caso isolato. Gli stranieri uccisi alle Fosse Ardeatine sono una dozzina. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni (così vuole essere chiamata) vanta giustamente la sua origine alla Garbatella, quartiere popolare di Roma. La Garbatella è direttamente contigua alle Fosse Ardeatine. Chi è cresciuto lì non può non aver sentito parlare di che cosa è successo.
Le sue sorprendenti parole non sono frutto di ignoranza ma di inconfessata e tracotante vergogna. Non fu ucciso perché era italiano neanche il generale Simone Simoni,
cacciato da Mussolini perché si era permesso di dubitare dell’inevitabile vittoria delle armate nazifasciste. Non fu ucciso perché era italiano Celestino Frasca, colpevole soltanto di essersi trovato vicino via Rasella dopo l’azione partigiana. Non fu ucciso perché era italiano Bruno Bucci, colpevole di avere nascosto sotto il letto una copia di un giornale antifascista. Non è stato ucciso perché era italiano Pilo Albertelli, professore di filosofia, colpevole di avere combattuto anche con le armi contro i tedeschi occupanti e i loro servitori fascisti.
Come scrisse a suo tempo Vittorio Foa, sono stati uccisi per quello che erano, per dove si trovavano, per quello che avevano fatto: «Si uccidevano gli ebrei perché erano ebrei, non per quello che pensavano e facevano; si uccidevano gli antifascisti per quello che pensavano e facevano; si uccidevano uomini che non c’entravano per niente solo perché erano dei numeri da completare per eseguire l’ordine». In tribunale, Herbert Kappler, che aveva diretto il massacro, spiegò che secondo lui includere gli ebrei era stata una buona idea perché «se non avessi messo gli ebrei avrei dovuto aggiungere altre persone la cui colpevolezza era meno chiara»: in altre parole, gli ebrei erano colpevoli per definizione; gli altri (italiani o meno) no.
Infatti il comunicato tedesco affisso dopo la strage spiegava perché li avevano uccisi: non perché erano italiani ma perché ai loro occhi erano tutti «comunisti badogliani».
Quando l’italiano Guido Buffarini Guidi, ministro degli interni di quella che si era chiamata Repubblica sociale italiana, consegna ai nazisti la lista di una cinquantina di italiani da uccidere, non lo fa perché erano italiani. Lo fa precisamente perché, agli occhi del suo regime, erano tutto il contrario: nemici della patria, letteralmente «anti-italiani». Perché gli italiani non erano, non sono mai stati, una cosa sola. In un certo senso, questo tema degli «italiani vittime della barbarie tedesca», che risuona nei commenti odierni alla malaugurata uscita di Giorgia Meloni, rinvia a una narrazione della Resistenza, a lungo anche da parte antifascista, che ha cancellato le divisioni fra gli italiani (tanto che quando Claudio Pavone ricominciò a parlare di guerra civile molti furono come minimo disorientati).
Raccontare la Resistenza come sollevamento unitario di tutto il popolo italiano contro l’invasione nazista, o l’invasione nazista come crimine contro gli italiani in quanto tali significa assumere il popolo, o adesso «la nazione», come un tutto unitario, indistinto. La guerra civile significa invece che «il popolo», «il paese», «la nazione» sono entità conflittuali e divise – e continuano ad esserlo.
Quella di Giorgia Meloni è una reazione istintiva che maschera una sorta di afasia, ma che anche evoca l’ invereconda e ipocrita par condicio dell’anti-antifascismo contemporaneo, e ribadisce quel senso di vittimismo che accompagna tante narrazioni del nazionalismo italiano che si adopera a resuscitare (non a caso applica pedissequamente alle Fosse Ardeatine il mantra di destra sulle foibe – che come sappiamo non funziona davvero neanche per quel crimine lì). Ma le sue parole sono comunque preziose: ci aiutano a capire che le Fosse Ardeatine sono ancora una memoria insopportabile e vergognosa per gli eredi dei carnefici. Per generazioni, hanno sparso menzogne cercando di infangare i partigiani e giustificare i nazisti; adesso Meloni prova maldestramente a disinnescarla in nome dello ius sanguinis della nazione.
Il giornale clandestino trovato sotto il letto dagli assassini di Bruno Bucci si chiamava “Italia Libera”. Perché è vero, di Italia si trattava; ma l’aggettivo non è meno importante del nome – di che Italia parliamo? È vero, i partigiani e gli antifascisti erano italiani; i partigiani si definivano «patrioti» ben prima che di questa parola si impadronissero i fratelli d’Italia. Ma l’Italia che volevano, la patria a cui appartenevano, era un’altra