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BARBARIE DI GOVERNO. Al netto delle dichiarazioni che dimenticheremo, al netto delle responsabilità che saranno verificate, c’è un problema centrale. Perché il primo a occuparsi dei naufraghi è il ministro dell’interno?
Per i «carichi residuali» operazioni di polizia

Il capo di Gabinetto fa carriera. Piantedosi è chiamato da Salvini al ministero dell’interno e ci resta con Lamorgese. Garantisce la continuità di un comportamento istituzionale che non è mutato nella sostanza almeno dai tempi di Minniti.

Cambia la punteggiatura, ma non il contenuto. Gli accordi con la Libia li votano (quasi) tutti. Quelli che prevedono il sostegno alla cosiddetta guardia costiera libica. E conosciamo (o dovremmo conoscere) le storie dei migranti che in Libia vengono carcerati e torturati. Gli uomini venduti come schiavi e le donne stuprate. Non sempre, ma spesso.

Ma perché il ministro dell’interno sta in prima linea quando si parla di migranti? Perché non quello degli esteri visto che provengono da terre oltre i confini? Persino il ministro della Sanità potrebbe interessarsene. In un paese civile dovrebbe essere lui a prendere la parola. Proprio un medico, Orlando Amodeo, lo dice poche ore dopo il naufragio che si poteva intervenire e provare a salvare i naufraghi.

Un’imbarcazione con circa 200 persone stipate è partita dalla Turchia. Donne, uomini e soprattutto tanti ragazzi e bambini che scappano dall’inferno dell’Iraq, Iran, Afghanistan e Siria. Non si fermano in Grecia dove rischiano il primo respingimento. Se passassero quello ne rischierebbero altri lungo i Balcani. Così puntano all’Italia. E dovrebbe essere una gioia che qualcuno ci consideri un paese democratico.

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Un aereo di Frontex li avvista e sostiene di aver subito avvisato le autorità italiane. L’imbarcazione è precaria, viene colpita da un’onda o sbatte contro qualcosa. Si rovescia, si spezza e finiscono tutti in acqua. Stanno a poche decine di metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro, interviene la Guardia di Finanza che fa subito dietrofront. Per le sue imbarcazioni il mare è troppo grosso.
Infatti la prima notizia è che non si poteva operare un salvataggio perché la tempesta lo impediva. Ma il medico Amodeo, che per anni ha salvato naufraghi in mare, lo dice subito in diretta televisiva che la Guardia Costiera può uscire anche in quelle condizioni.

Anche peggiori. Il ministro questurino Piantedosi lo redarguisce, quasi lo minaccia. Ma la dichiarazione è smentita pochi giorni dopo dal comandante della capitaneria di porto di Crotone, Vittorio Aloi. «A noi risulta che domenica il mare fosse forza 4, ma motovedette più grandi avrebbero potuto navigare anche con mare forza 8».

E allora perché s’è mossa la Finanza e non la Guardia Costiera? Il ministro competente è l’ex capo di Piantedosi. È Salvini e si occupa di infrastrutture e trasporti. Viene chiamato in causa mercoledì 1 marzo dalla neo segretaria del Pd Elly Schlein che menziona anche Giorgetti, ministro di economia e finanze, quello competente in merito alla Guardia di Finanza. Schlein chiede le dimissioni di Piantedosi anche solo per le dichiarazioni che appaiono subito scandalose.

Prima dice che i migranti non dovrebbero partire, che è da irresponsabili soprattutto per i genitori che portano i bambini. Poi si corregge e dice che andrà lui a prenderli direttamente nei loro paesi. Poi ne dice una più grossa. «Io non partirei se fossi disperato perché sono stato educato alla responsabilità». Lui resterebbe a battersi per il suo paese! E lo dice a Cutro, a pochi metri dalle decine di bare in fila dentro un palasport.

Al netto delle dichiarazioni che dimenticheremo, al netto delle responsabilità che saranno verificate, c’è un problema centrale. Perché il primo a occuparsi dei naufraghi è il ministro dell’interno?

Cerco una definizione ufficiale per capire il suo ruolo. La trovo nel primo articolo della legge 121/81. Leggo che «è responsabile della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica». Questo è il problema centrale. Tranne la breve esperienza dell’operazione Mare Nostrum, dai tempi di Maroni fino a i nostri governi la migrazione è un problema di ordine pubblico. Gli stranieri sono potenziali criminali che vengono a rubare e stuprare, altre volte sono indecorosi nullafacenti che campeggiano nelle piazze col telefono in mano. Insomma sono nemici, invasori.

Domenica 26 febbraio 2023, prima dell’alba, a pochi metri dalla costa calabrese, si muovono i finanzieri, non i soccorritori.
Per il governo non hanno bisogno di aiuto, ma di controllo. Come trafficanti di sigarette, come oggetti in un container.
In fondo Piantedosi è quello che faceva scendere i migranti a singhiozzo da una nave che li aveva salvati. E definiva i naufraghi che stavano ancora a bordo con una parola tecnica, ricordate? Carico residuale

 
 
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L'ANALISI. Il voto dei tesserati, che ha premiato Bonaccini, non è affatto un microcosmo del consenso elettorale al partito, ma uno specchio deformante

Pd, una militanza da rifondare. Gli iscritti non sono il partito 

«Queste sì, che sono soddisfazioni!», come talvolta capita di esclamare. Nel caso di alcuni studiosi che si occupano di partiti (e mi ci metto anch’io), si può ben dire che l’esito delle primarie del Pd, alla luce soprattutto di alcuni stupefatti commenti, rappresenta una bella rivincita.

È davvero buffo che qualcuno scopra ora, con aria pensosa, che i gazebo hanno sconfessato gli iscritti. Oddio, come farà ora la povera Schlein a gestire questa situazione? Ma non ci era stato detto e predicato che oramai «il partito delle tessere» era un’anticaglia novecentesca? Che l’adesione al partito doveva essere leggera e il tratto identitario del Pd quello di essere «aperto» e «contendibile»?

È davvero singolare che adesso molti cadano dal pero e si preoccupino del destino degli iscritti. Per anni e anni ci è stato spiegato che era pura nostalgia pensare a un partito in cui avessero un senso espressioni come «radicamento territoriale», o «partecipazione» alla vita del partito («per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale»: articolo 49 della Costituzione); o che era faticoso e inutile, e costoso, tenere aperte le sezioni, quando oramai bastano i social.

Non solo: le regole che si era dato il Pd prevedevano espressamente la possibilità di questo divario: e lo si scopre ora, per fornire preoccupati (o interessati?) consigli a Elly Schlein?

Dopo anni in cui il ruolo degli iscritti è stato svilito e svalutato; dopo che è stato costruito un modello organizzativo in cui si davano gli stessi diritti a iscritti ed «elettori», sul punto cruciale (eleggere il segretario); dopo che vi è stata anche una trasandatezza assoluta nella gestione della macchina del partito, spesso appaltata ai potentati locali, dopo tutto ciò, ci si sorprende che vi sia stato un costante calo degli iscritti (salvo, solo ora, tornare ad attribuire gran valore agli iscritti residui)?

 

Guardiamo un po’ di dati, peraltro spesso opachi, non facilmente reperibili e approssimativi (il che la dice lunga, anche indirettamente, sullo stato del partito).

Nel 2008-9 erano 800 mila, 400 mila nel 2014-16; circa 380 mila nel 2019. Quest’anno sappiamo che hanno votato 150 mila iscritti, ma non è dato sapere la percentuale dei votanti sugli iscritti aventi diritto.

L’analisi però più interessante riguarda la distribuzione territoriale del voto: una semplice tabella ci mostra dei dati eloquenti. Mettiamo a confronto, per grandi aree geografiche, il rispettivo peso percentuale sul totale nazionale del voto degli iscritti, dei votanti alle primarie e dei voti al Pd del 25 settembre scorso.

Come si vede, tra gli iscritti metà hanno votato da Roma in giù; laddove, tra i votanti alle primarie si scende al 40%; mentre vengono da questi regioni il 34% dei voti al Pd. Inverso l’andamento per le regioni del Nord, più equilibrato l’apporto delle quattro (ex) regioni rosse. 

Ebbene, possiamo dire che l’universo degli iscritti che hanno votato a maggioranza Bonaccini non si può dire davvero rappresentativo del più ampio corpo elettorale del partito: non è un microcosmo ma uno specchio deformato. Basti pensare che in provincia di Modena hanno votato 2.290 iscritti e a Foggia 2.570. Alle primarie, poi, tanto per dare dei termini di raffronto, a Modena hanno votato oltre 25mila persone (11 volte in più) e a Foggia 12.326 (quasi cinque volte in più): cos’è più rappresentativo?

Che conclusioni trarne? Non certo che Elly Schlein debba snobbare questi iscritti. Ma deve essere ben consapevole che hanno caratteristiche peculiari e limitate: semplicemente non sono il partito (o tutto il partito). E magari partire da qui per proporre linee di riforma, nell’organizzazione e nelle procedure democratiche interne, che possano tornare a dare un valore e un senso all’adesione al partito e tornare a far aumentare il numero degli iscritti.

Altri sono i problemi con cui Elly Schlein deve misurarsi. E una questione pare emergere dal dibattito: come farà Elly Schlein a tenere unito il partito?

Sembra che le possibili alternative siano due: o la nuova segretaria rimane fedele alle sue promesse di radicalità e nettezza delle posizioni, e allora il partito si sfascia, o cerca di tenere insieme tutto, e allora il partito forse regge (ma poi quanto chiara e attrattiva sarà la sua posizione?).

È una falsa alternativa. Costruire la coesione del partito non significa annacquare la linea, rendendola infine incoerente e incomprensibile: significa arrivare ad una decisione sulla base di un percorso di discussione e di confronto quanto più ampio possibile, che dia voce e spazio a tutte le posizioni, che tenga conto delle idee di tutti, ma che alla fine valuti quale sia la tesi prevalente e quella da sostenere nel dibattito pubblico.

È un processo democratico e inclusivo quello che soltanto può dare legittimità ad una decisione e che la può rendere accettabile anche a coloro che non la condividono. Responsabilità di una vera leadership non è tagliare il nodo di Gordio, e costringere tutti o all’ubbidienza o alla rottura, ma coinvolgere saperi e opinioni, esperienze e competenze: dare un senso davvero all’idea di un partito che valorizzi l’intelligenza e la saggezza collettiva.

Per questo, tra i compiti più urgenti che ha di fronte Elly Schlein vi è anche quello di modificare radicalmente il modo di discutere e di decidere del partito. Se ne riparlerà

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INTERVISTA. Parla il dirigente nazionale dell'organizzazione, tra gli organizzatori della fiaccolata contro la disumanità ieri sera nelle vie di Crotone. «Presenteremo un esposto in Procura per accertare se vi sia stato o meno l’omesso soccorso»

Sestito (Arci): «Una commissione d’inchiesta per chiarire. Il ministro si dimetta» Filippo Sestito

Dirigente nazionale dell’Arci, Filippo Sestito è stato tra gli organizzatori della fiaccolata contro la disumanità ieri sera nelle vie di Crotone.
Il ministro Piantedosi nella sua visita lampo a Crotone non ha risposto alle domande sui soccorsi. La Capitaneria di porto da ieri è in silenzio stampa.

Cosa chiedete al governo?

Semplicemente la verità: cosa è successo dall’avvistamento del barcone dei migranti avvenuto ad opera di un aereo Frontex alle 22 circa di sabato notte fino al momento del naufragio? Perché una vedetta della Guardia di Finanza è uscita e poi è rientrata senza, a quanto ci è dato sapere, aver allertato nessuna delle altre autorità che dispone dei mezzi necessari per soccorrere i migranti in balìa delle acque, come già successo tante altre volte davanti alle coste crotonesi? È stato ufficialmente aperto un evento Sar? Quanti e quali mezzi della Guardia Costiera potevano intervenire e perché non sono intervenuti? In più il silenzio stampa della Capitaneria di Porto lascia intendere che vi sia un interesse da parte del Ministro competente a non comunicare all’esterno le notizie e le informazioni in suo possesso. Chiediamo inoltre al Ministro cosa sia successo in tutte quelle ore trascorse dall’avvistamento al naufragio e se è vero che una telefonata fatta con un cellulare internazionale dal caicco ormai alla deriva verso le secche antistanti la costa di Steccato di Cutro sia stata effettuata intorno alle 4 del mattino di domenica ai carabinieri di Crotone che, precipitandosi sul posto, si sono immediatamente gettati in mare salvando alcuni naufraghi.

Al manifesto la Croce rossa ha ricordato il soccorso e lo sbarco di novembre 2021 al porto di Crotone. Anche allora le condizioni meteo erano “proibitive”. Malgrado ciò la procedura fu impeccabile e le motovedette della Guardia costiera allora si mossero. C’è qualcosa che non torna?

Non c’è solo il soccorso del novembre 2021, anche nel gennaio 2015 una nave mercantile alla deriva e senza equipaggio a circa 80 miglia dalle coste crotonesi con quasi 400 migranti a bordo venne soccorsa nonostante condizioni marine avverse, con l’impiego di elicotteri dell’aeronautica militare, personale medico, soccorritori e mezzi della Guardia Costiera. In questo caso invece, senza nessun dubbio, c’è qualcosa che non torna. Lo testimoniano tutti coloro che nei mesi scorsi e negli anni precedenti hanno partecipato alle operazioni di soccorso anche con condizioni marine molto peggiori. Il fatto poi che la Guardia Costiera non avrebbe ricevuto nessuna comunicazione per attivarsi è segno evidente che, con molta probabilità, il Ministero degli Interni e quello delle Infrastrutture guidato da Salvini abbiano agito come un tutt’uno. Del resto, per quanto riguarda i soccorsi in mare, gli sbarchi e tutte le altre attività relative alla prima accoglienza, le professionalità e l’esperienza del personale italiano sono ad altissimi livelli.

In conclusione, sulla base della vostra esperienza pensate che si potevano salvare i 200 migranti di Smirne o perlomeno provarci. E quali passi pensate di intraprendere per far emergere la verità?

Innanzitutto, per fare in modo che quanto avvenuto non resti solamente una sterile polemica politica, presenteremo nei prossimi giorni un esposto alla Procura di Crotone per accertare se in questa vicenda vi sia stato o meno l’omesso soccorso. Chiederemo, inoltre, a tutti i parlamentari, a partire da quelli calabresi, di istituire una Commissione di inchiesta da affidare all’opposizione, per maggiore trasparenza, volta ad individuare le eventuali responsabilità della catena di comando inter-istituzionale. Nelle prossime ore lanceremo anche una manifestazione nazionale, da svolgersi a Crotone, contro la disumanità al potere. Nel frattempo sarebbe opportuno che il Ministro Piantedosi si dimettesse dal suo incarico perché, ora dopo ora, sembra prendere corpo l’ipotesi che la strage dei migranti avvenuta davanti le coste crotonesi sia strage di Stato

 

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PRIMARIE. Intervista a Mario Ricciardi, direttore della Rivista del Mulino

«Il contrappasso del gazebo in un partito tutto da ricostruire»

Dell’elezione di Elly Schlein e delle sfide che la attendono parliamo con Mario Ricciardi, che insegna filosofia del diritto all’Università Statale di Milano ed è direttore la rivista del Mulino.

Partiamo dallo strumento delle primarie: il voto di domenica ne conferma l’efficacia?
È un meccanismo che nacque come risposta a un problema contingente. Poi ci si innamorò dell’idea, anche se col passare de tempo ci si rese conto che gli effetti negativi erano maggiori di quelli positivi. Ma nessuno ha avuto il coraggio di tornare indietro perché, come si dice, le primarie sono «una festa della democrazia».

Il voto del cosiddetto «popolo dei gazebo» ha sconfessato quello degli iscritti.
È chiaro che creare le condizioni di uno scontro tra iscritti e simpatizzanti non è l’ideale. È un sistema che introduce un potenziale conflitto, mentre il partito dovrebbe fare sintesi, leggere la realtà sociale e gli orientamenti dei possibili elettori senza ricorrere a meccanismi di questo tipo.

Lei sostiene che l’assunto tacito, almeno alle origini delle primarie all’italiana, fosse che la mobilitazione dell’opinione pubblica fosse necessaria per bilanciare gli istinti socialisteggianti dell’apparato proveniente dal Partito comunista.
Quando sono state introdotte le primarie, nel 2005, si avvertiva ancora la cultura di origine in un partito che stava facendo una sua transizione che voleva approdare a un’identità post-comunista e post-socialista. Questa operazione incontrava delle resistenze, erano trasformazioni sofferte di fronte alle quali si opponeva una resistenza spesso passiva. Il meccanismo delle primarie scardinava questa dinamica. Dietro c’era l’idea che stessimo entrando in una fase nuova e che l’opinione pubblica non potesse che essere che illuminata: il mito della società civile.

Ora siamo di fronte a un contrappasso: questa volta dall’esterno è arrivata la spinta verso la candidata considerata più di sinistra.
Probabilmente molti che non avevano votato Pd negli ultimi tempi ma che si considerano di sinistra si sono visti un candidato sostenuto da molti ex renziani che nello stile sembrava riprodurre modalità che ricordavano quelle di Renzi: l’uomo del fare, il pragmatismo contro la sinistra da salotto, la retorica di chi si sporca le mani.

Eppure Bonaccini viene proprio dal Pci, a differenza di Schlein…
Bonaccini forse non è quello che ha cercato di apparire. Ha fatto una campagna sbagliata fidandosi troppo di alcuni opinionisti e finendo per spaventare gli elettori di sinistra. Schlein era perfetta per questi altri: in questa contrapposizione lei rappresentava quella di sinistra, quindi è stata vista come una speranza di cambiamento.

Ma la sua vittoria ha stupito molti.
Ha ragione quando dice: «Non ci hanno visto arrivare». C’è stato talmente disinteresse da buona parte della stampa sul fatto che un partito che aveva perso una parte dei suoi voti e che di fronte all’impoverimento del ceto medio non fosse riuscito a fare politiche contro le disuguaglianze. Nessuno sembrava essersi reso conto di questo problema.

Quale sfida si trova di fronte la nuova segretaria?
Ha tre quarti della stampa contro. In questi giorni sono arrivati alla mancanza di rispetto: la trattano come una ragazzina, le spiegano il mondo, le dicono quello che deve fare. Sarebbe
inconcepibile in altri paesi. Non sarà facile reggere tutto questo.

In effetti dalle nostre parti si continua a parlare di Terza Via, di blairismo come se fossero fenomeni ancora in auge, ma è una bolla solo italiana. Come se lo spiega?
Sono in difficoltà nel trovare una spiegazione. Non sono mai stato comunista, provengo da una cultura liberal-progressista all’interno della quale ci sono stati ripensamenti molto profondi, da prima della crisi finanziaria del 2008. Il primo evento traumatico furono le guerre in Medio Oriente, l’idea di esportare la democrazia abbracciata da Blair produsse effetti disastrosi. Su tutto questo, sul modello economico, sulla giustizia sociale, si è aperta una discussione che dura da due decenni e che dopo la crisi finanziaria è diventata importante, penso ai contributi di Stigliz, Sandel, Piketty. L’Italia sembra totalmente isolata da questo dibattito: lo ignora o cerca di ridicolizzarlo. Per capire il motivo servirebbe un antropologo.

Schlein dovrà portare quelli che l’hanno sostenuta «da fuori» nel partito o costruire un modello aperto ai non iscritti?
Se hai un partito che funziona e che fa il partito il dialogo con la società è più costante e profondo di quello che si affida alle primarie. Negli anni della «fine della storia» abbiamo immaginato che si potesse fare a meno dei partiti e che servissero comitati elettorali. Non dico si debba tornare ai partiti dei primi del Novecento, ma servono partiti che hanno radici nella società. Il Labour ha profonde radici sociali che nascono dal rapporto coi sindacati, circoli, associazioni, think tank che elaborano le idee… Tutto ciò è necessario. È difficile farlo in un paese in cui abbiamo abolito il finanziamento ai partiti. Ma Schlein dovrà provarci

 

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MEDITERRANEO. Da decenni scriviamo contro ogni guerra e, di conseguenza, a favore di ogni salvezza e accoglimento per chi dalla guerra fugge in cerca di una nuova possibilità di vita. Così, […]

 I soccorsi al lavoro sul luogo della tragedia - Lapressse

Da decenni scriviamo contro ogni guerra e, di conseguenza, a favore di ogni salvezza e accoglimento per chi dalla guerra fugge in cerca di una nuova possibilità di vita. Così, di fronte all’«ultima» strage a mare di migranti viviamo uno sconforto di rabbia e impotenza che ci fa dire che, ormai, scrivere è solo epigrafe. Di fronte all’evidenza delle responsabilità, sarebbe bastato un silenzio pietoso per gridare l’umanità sepolta nei cimiteri marini del Mediterraneo.
Invece no. Stavolta c’è un governo che straparla, giustifica e colpevolizza senza vergogna le vittime, e così facendo è come se rivendicasse, come un monito necessario, la strage di Cutro di persone annegate a cento metri dalla riva, dove il numero dei morti senza nome cresce di ora in ora.

«Non strumentalizzate questi morti» ha gridato nervosa la presidente del Consiglio Giorgia Meloni: possibile che non comprenda che con queste parole tradisce un malcelato senso di colpa? E poi c’è il barbaro in giacca e cravatta Piantedosi, che ripete convinto la sua litania funebre anche sul luogo del relitto: «L’unica cosa che va affermata è che non devono partire». Ma da dove partono e perché gli uomini, le donne e i bambini naufragati a Cutro? Sono partiti da Smirne, da quella Turchia riempita di miliardi di euro proprio perché bloccasse gli arrivi in Europa di centinaia di migliaia di esseri umani.

Spesso intrappolati senza scampo nell’inferno della rotta balcanica; dalla Turchia dell’ atlantico Erdogan ora alle prese con il disastro del terremoto e della marea

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Intervista al sociologo Domenico De Masi

 Domenico De Masi - LaPresse

Professor Domenico De Masi, come interpreta questa irruzione dei non iscritti che ribalta il risultato finale delle primarie del Pd?
Si capisce che l’iscrizione al partito era diventata una selezione di persone che in molti casi amavano lo status quo, agivano all’interno di un luogo che si autoperpetuava, era autoreferenziale, non usciva da una visione circoscritta del partito. C’è stata in effetti questa irruzione di gente come me, che non ho mai votato Pd ma sempre per forze a sinistra del Pd. Eppure sono andato a votare. Al gazebo dove ho votato io almeno quattro sulle sette alle ultime elezioni non avevano votato ma speravano in un cambiamento. Ed è lampante come i due candidati in campo fossero due idealtipi diversi.

Cosa l’ha convinta di Elly Schlein?
Mi piace la sua parte global. Mi ci riconosco: anche io ho studiato in Francia e ho la cittadinanza a Rio De Janeiro. Tutto ciò è antitetico a Meloni. Ci siamo scandalizzati perché Putin l’altro giorno ha criticato il fatto che l’Occidente ammetta le nozze gay, ma si tratta della stessa cosa che stigmatizza Meloni!

Che difficoltà incontrerà la nuova segretaria?
La cultura conservatrice sta pure dentro il Pd. Non vedo cosa ci sia di sinistra in Franceschini o in Bersani, che ha fatto le privatizzazioni. Vede, abbiamo avuto un periodo storico importantissimo, i dieci anni tra il 1991 e il 2001, che sono stati la cartina tornasole. Quel periodo va ancora studiato. Ci furono nove governi, dei quali tre di centrosinistra: quelli retti da Amato, Prodi e D’Alema. Le cose più di destra le fecero. Il neoliberismo nasce da Von Hayek e Von Mises, viene costruita come ideologia per arginare il socialismo: la prima cosa da fare secondo loro erano le privatizzazioni. Dentro il Pd ci sono ancora persone che sono figlie di quell’equivoco. Non lo fecero per perfidia, lo fecero perché non avevano capito che quello che veniva dall’America in quel caso non era modernità o progresso.

Parlando del M5S lei ha sempre sottolineato la necessità di un’organizzazione efficace. Schlein riuscirà a impossessarsi di quella del Pd?
Quando si sceglie un nuovo amministratore delegato ci sono i cosiddetti tagliatori di testa, ci si rivolge a società che fanno veri e propri esami ai candidati. Se si potesse fare così anche per i segretari di partito bisognerebbe accertare la loro capacità organizzativa e quella formativa. L’organizzazione serve a gestire quelli che stanno dentro, l’azione pedagogica si rivolge a quelli che stanno fuori. L’organizzazione politica richiede un’ideologia: organizzo un partito e formo gli uomini sulla base del mio modello di società. Se facessimo come i tagliatori di teste, che vanno per competenze e per consenso, dovremmo accertare se Schlein sa cos’è un modello di società di sinistra, se conosce i principi e le tecniche dell’organizzazione e della formazione. Se possiede un modello di sinistra. Questo lo vedremo, anche se come me altri l’hanno votata per questo.

Il M5S avrà un problema di concorrenza con il Pd della segreteria Schlein?
Il Pd in questi anni si è radicato nella borghesia, adesso c’è il pericolo che quella parte sia tentata da Calenda. Io ritenevo che le tre sinistre dovessero dividersi i compiti e i referenti sociali: il Pd alla borghesia, il M5S al proletariato e del sottoproletariato e la sinistra come voi e come me avrebbe dovuto pensare alla dimensione più movimentista. Il quadro ora si ingarbuglia, Schlein vuole occuparsi anche del disagio sociale dunque pesca nella riserva di caccia del M5S. Prima potevano essere tre regioni che diventano un continente, ora serve arriva a un accordo programmatico tra il M5S di Conte Pd di Schlein. Oppure pescano nello stesso silos: se aumenta una rischia di diminuire l’altra

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