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Scenari. L’unica europea ad avere ascolto sia da Washington che da Mosca (e Kiev) era Angela Merkel. I tempi di questa crisi sono stati scanditi da Putin e da Biden sul suo passo d’addio

Illustrazione

 

Una “grande” Nato, una piccola Europa e una Cina asso pigliatutto. Così ci avviciniamo, si spera, a un cessate il fuoco, almeno secondo il Financial Times che parla di un piano in 15 punti.

L’aspetto significativo è che la neutralità dell’Ucraina sarebbe garantita da Stati Uniti, Gran Bretagna e Turchia, tre Paesi Nato ma non membri dell’Unione europea. Insomma questa non è una battaglia per fare entrare più Europa nell’Ucraina ma casomai ancora più Nato, sia pure in forma di neutralità “mascherata”. Perché si capisce che l’Ucraina resterà terreno di provocazioni per un bel po’ di anni.

Questo è il punto critico della vicenda. La Nato avanza e l’Europa arretra. La Germania, accantonando decenni di antimilitarismo, poche ore dopo l’inizio del conflitto ha annunciato lo stanziamento di 100 miliardi per rafforzare la Bundesweher. La locomotiva d’Europa – 83 milioni di abitanti e per Pil quarta potenza del mondo – in prospettiva si rende autonoma da Bruxelles e lascia gli altri europei, con i loro discorsi sulla difesa, alla guida della Francia, unica potenza nucleare della Ue e membro del consiglio di sicurezza della Ue.

La decisione tedesca ribalta 77 anni di era postbellica, mette alla frusta Bruxelles e intende tenere a bada anche l’Est che con Paesi come la Polonia – che viola lo Stato di diritto e pretende il primato della sua legge su quella della Ue – dimostra di obbedire più agli Usa che a Bruxelles. E sono loro che vanno a Kiev assediata a rappresentare per primi l’Europa.

È vero che siamo ancora nella fase dove si sparano troppi missili e troppe parole per arrivare a una soluzione. Mentre troppi civili sono in pericolo e in fuga sotto le bombe. Ma è evidente che sia Putin che Zelensky devono salvare la faccia, salvarsi dalle loro insidie interne, dell’aggressore e dell’aggredito. Non è un’operazione semplice. Il primo è una volpe imperiale che ha fatto i conti sbagliati ed è finito nella trappola ucraina. Il secondo è un ex comico che si propone come Churchill e pensa di salvare il mondo (con la no-fly zone?). Con l’aiuto naturalmente dei media che per contrastare la propaganda di Putin ci fanno trangugiare anche la sua, come la strage dei civili a Donetsk del 14 marzo attribuita dai nostri giornali ai russi invece che ai missili ucraini.

Peggio ancora, in termini di ipocrisia o realpolitik, sono i loro amici e nemici. O meglio quelli che fingono di appartenere a una delle due categorie ma fanno i loro interessi. Gli americani, amici di Zelensky, lo accolgono al Congresso, virtualmente, con ovazioni da stadio. Ma Biden ha già detto e stradetto che non manda la Nato a fare la non fly zone per evitare la terza guerra mondiale. Gli ucraini dunque devono fare una guerra per procura con il braccio legato dietro alla schiena. Un po’ come i curdi siriani contro il Califfato, poi abbandonati dall’America di Trump al massacro della Turchia di Erdogan. La storia si ripete: la differenza è geografica e che ora il massacro lo abbiamo sotto gli occhi.

Gli europei quel che possono fare è accogliere in maniera umanitaria i profughi – come avrebbero dovuto fare sempre però. Quanto alle armi inviate a Kiev, anche dall’Italia, questa è davvero una amara barzelletta: la maggior parte stava già dentro prima della guerra e quella che vediamo è una sceneggiata a uso e consumo delle opinioni pubbliche continentali. Intanto l’Italia adegua il suo bilancio per la difesa di ben 13miliardi, alla faccia della crisi sociale anche da pandemia. L’Europa ha visto la crisi ucraina, prima del suo esplodere, come da un condominio di anziani.

Dell’Ucraina se ne occupano dai tempi della rivolta di EuroMaidan gli americani. Non gli europei. L’unica che avesse voce in capitolo sia con Washington che Mosca (e Kiev) era Angela Merkel. I tempi di questa crisi sono stati scanditi sia da Mosca che da Washington sul suo passo di addio. Su questo non ci sono dubbi. E chi perde di più è sicuramente l’Europa dove le sanzioni alla Russia rimbalzano facendo i danni maggiori. Sfido chiunque di quelli che oggi fanno le liste di proscrizione sui quotidiani italici a dire un mese fa che non bisognasse fare affari con Mosca e gli oligarchi. Gli oligarchi qui pagavano tutti: persino la nostra ambasciata a Mosca è stata restaurata con i loro soldi e nessuno ha avuto niente da ridire. Come nel 2011 a nessuno facevano schifo i soldi di Gheddafi. Che poi noi abbiamo allegramente bombardato con la Nato.

Quanto agli amici di Putin, il maggiore è la Cina. Mentre Israele e la Turchia – membro storico della Nato – agiscono da mediatori anche per difendere i loro interessi nazionali. Tanto è vero che non hanno imposto alcuna sanzione a Mosca: sono mediatori interessati e anche gli Usa stanno zitti e mosca. Come noi europei che continuiamo ad acquistare il gas russo, ovvero a finanziare la guerra di Putin, altrimenti dovremmo spegnere la luce.

La Cina è il più enigmatico degli alleati che Putin potesse trovare. Da questa crisi è la potenza che probabilmente uscirà meglio insieme gli Stati Uniti. I cinesi sono i maggiori partner commerciali dell’Ucraina e comprano gas e petrolio dalla Russia. Con il rublo in caduta libera i cinesi stanno negoziando quote delle società che producono energia e materie prime. Lo yuan è già entrato nelle imprese e nelle case russe come moneta di scambio internazionale. E venerdì scorso la Cina in un meeting con l’Unione economica euroasiatica (Russia, Kazakhstan. Bielorussia, Kirghizistan e Armenia) ha annunciato un nuovo sistema internazionale monetario e finanziario in alternativa al dollaro. Da Oriente, e non solo, L’Europa chi l’ha vista?