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Carlassare, “Incostituzionale l’invio di armamenti e italiani non favorevoli a intervento”

Lorenza Carlassare, professoressa emerita di Diritto costituzionale a Padova, risponde al telefono con una certezza a fare da premessa: “La Costituzione italiana è pacifista”. E poi: “La retorica bellicista, a giornali e reti unificati, è insopportabile. Quando non si parla della guerra ‘santa’, c’è il telefilm che santifica Zelensky”.
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Partiamo dall’artico lo 11, così bistrattato in queste settimane.
L’Italia ripudia la guerra: il verbo’ ripudia’, che nella prima bozza era ‘rinuncia’, è stato voluto dai Costituenti perché esprime un rifiuto assoluto della guerra, anche con un valore morale, non solo politico. C’è stata, nella votazione, quasi l’unanimità.
L’ispirazione pacifista della Costituzione dunque è nettissima, anche per come è formulata la seconda parte dell’art. 11 quando afferma che l’Italia ‘consente, in condizione di parità con gli altri Stati, le limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia frale nazioni’. In definitiva: la guerra difensiva è l’unica consentita, le controversie internazionali vanno risolte per via negoziale, una via in questo momento completamente assente; non esistono ragioni diverse dalla necessità di rispondere a un attacco armato sul proprio territorio che possano legittimare la guerra.
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A proposito dell’aumento delle spese militari, cosa pensa?
Che in Italia ci sono 5 milioni e mezzo di famiglie in povertà assoluta. E che prima di spendere soldi in armi dovremmo assicurarci di non venire meno agli obblighi di solidarietà sociale che impone la Costituzione.
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La vendita di armi a un Paese in guerra è consentita?
Assolutamente no. In passato, i giuristi “giustificazionisti” hanno tentato di salvare la partecipazione ai vari interventi armati travestiti da missioni di pace (per non dire della guerra nei Balcani, in cui siamo intervenuti direttamente) come adempimento di obblighi derivanti dalla adesione a “organizzazioni internazionali” con le “limitazioni” conseguenti, usando la seconda parte dell’articolo 11 contro la prima.
Ma non ci sono due parti divise: l’articolo 11 è una disposizione unitaria, che va letta nella sua unità. Aggiungo che i trattati sono subordinati all’articolo 11, non viceversa. La Corte costituzionale (sentenza 300/1984) ha chiarito che le “finalità” cui sono subordinate le limitazioni di sovranità sono quelle stabilite nell’articolo11, non le finalità proprie di un trattato che, anzi, “quando porta limitazioni alla sovranità, non può ricevere esecuzione nel paese se non corrisponde alle condizioni e alle finalità dettate dall’articolo 11″. Il discorso è importante anche perché il ripudio della guerra non vieta solo la partecipazione a conflitti armati, ma pure l’aiuto ai paesi in guerra: il commercio di armi con tali paesi è illegittimo. Ora tra l’altro non si tratta nemmeno più di armi per difendersi, ma armi, come ha detto Boris Johnson, “anche per colpire in territorio russo”.
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Il Parlamento ha convertito due decreti Ucraina e approvato una risoluzione che autorizza l’invio di armamenti in Ucraina con un decreto interministeriale fino al 31 dicembre, senza nuovi passaggi in aula. La partecipazione alla guerra non è materia di stretta competenza parlamentare?
Certamente. Ora, dopo la riunione di Ramstein, si parla di un salto di qualità degli armamenti da inviare in Ucraina.
La lista delle armi non è pubblica per ragioni di sicurezza, ma non ci sarà nemmeno una discussione sulle scelte del governo, sull’opportunità di partecipare all’escalation bellica. Gli italiani non sono favorevoli a una partecipazione dell’Italia alla guerra, e questo ce lo dicono i sondaggi. Non solo la posizione pacifista e costituzionale non ha spazio nel dibattito pubblico, ma il popolo non può nemmeno esprimersi attraverso i suoi rappresentanti. L’opacità delle scelte su un tema così importante è preoccupante, perché non è trasparente la linea del governo. In questa fase rispetto alle decisioni non è irrilevante nemmeno l’interesse dell’industria bellica, che fa soldi e trionfa in Borsa vendendo morte.

Il Fatto Quotidiano, 28 aprile 2022