«CAMPO LARGO». Le ragioni alla base della «sinistra per procura» non sono incomprensibili: riformare il Pd dall’interno è come nuotare in una piscina di melassa, non esattamente semplice e fluido. I rischi, come detto, sono però enormi
Un incontro del Pd - Andrea Sabbadini
La «procura» è il negozio giuridico unilaterale con il quale una persona conferisce a un’altra, detta procuratore, il potere di rappresentarla in tutti gli atti giuridici o solo per un determinato negozio o atto. In pratica, conferendo la procura a qualcuno gli consenti di rappresentarti davanti ad altre persone. Dal linguaggio giuridico, il termine è entrato in questi giorni nella sfera pubblica quotidiana come conseguenza dell’invasione dell’Ucraina, definita da alcuni commentatori una «guerra per procura» degli Usa contro la Russia per il tramite, appunto, dell’Ucraina. Un’altra «procura» è in atto oggi nel panorama politico, questa volta a livello nazionale e fortunatamente senza morti, invasioni e distruzioni.
È, questa, una procura politica conferita dal Partito democratico ad alcune iniziative a esso legate, in un rapporto di autonomia e in una logica di coalizione a venire. Iniziative che caratterizzano il loro messaggio e i loro contenuti politici attraverso temi «rosso-verdi»: uguaglianza, giustizia sociale e ambientale, diritti, welfare. I temi economici e il conflitto sociale rimangono più ai margini, se non esclusi. Un progetto, per ora, senza nemici e che si caratterizza per un messaggio «a favore di».
È il progetto del «campo largo», a cui guarda con interesse Sinistra Italiana e ribadito da Enrico Letta al congresso di Art. 1, come testimoniato dallo scambio con Roberto Speranza: «Se si fa la sinistra che serve all’Italia e all’Europa, noi ci siamo», afferma il Segretario di Art. 1; «La mia intenzione è fare una sinistra vincente per il Paese», risponde il Segretario del Pd.
Nella stessa direzione si stanno muovendo anche il progetto di Elly Schlein, la «visione comune» fondata appunto sull’unione tra giustizia sociale e climatica, molto attenta ai diritti civili e alle questioni di genere. Iniziativa che raccoglie adesioni e consenso trasversali, da Alessandro Zan, alla deputata Rossella Muroni, all’europarlamentare Pier Francesco Majorino, fino a figure apprezzate come la consigliera regionale del Lazio Marta Bonafoni, la portavoce di Green Italia Annalisa Corrado e la consigliera regionale veneta Elena Ostanel.
Un campo largo, quindi, che guarda all’esistente e si fa parte attiva nel gemmare, creare e organizzare nuove piattaforme e reti capaci di intercettare nuove figure pubbliche, nuovi pezzi di ceto politico e nuovi contenuti. Le «Agorà democratiche» vanno nella stessa direzione, almeno per la selezione dei contenuti da portare «dentro» il Pd. Un partito ingessato dai veti interni e di corrente, che prova a intercettare la domanda di sinistra inevasa nel Paese attraverso la costruzione di una «sinistra per procura».
Le prossime amministrative di giugno saranno un primo test di questa strategia, non solo rispetto all’esito elettorale, quanto soprattutto in relazione alla tenuta dell’esperimento, alla sua reale capacità di creare vere nuove candidature. Il rischio dell’operazione «campo largo» – che non è priva di intelligenza tattica – è la mancanza di una prospettiva strategica solida. Di conseguenza, può ridursi a una semplice redistribuzione di qualche collegio elettorale, rischiare di perdersi in scambi bilaterali e di breve periodo, giustapporre contenuti e parole «che funzionano» senza dare forma a proposte politiche coerenti e conseguenti.
Le ragioni alla base della «sinistra per procura» non sono incomprensibili: riformare il Pd dall’interno è come nuotare in una piscina di melassa, non esattamente semplice e fluido. I rischi, come detto, sono però enormi. Soprattutto, si tratta di un’operazione che può essere facilmente messa in crisi dagli elettori potenziali e che si basa sulla combinazione tra credibilità delle persone coinvolte e capacità di mobilitazione diffusa. Si tratta di caratteristiche che il Pd ha sempre meno, come testimoniato dalle primarie di coalizione delle ultime elezioni amministrative.
Soprattutto, la costruzione di una «sinistra per procura» si limita al tentativo di intercettare la domanda di sinistra senza mettere in discussione né l’organizzazione del partito, né il suo modello di reclutamento e selezione del ceto politico, e neppure i meccanismi di costruzione dell’identità («chi siamo?») e dell’agenda politica («dove vogliamo andare?»). Sulle grandi questioni dirimenti, si pensi alla guerra in corso, in che modo può funzionare la «procura»?
Limiti, questi, che potrebbero essere messi in evidenza da una «sinistra senza procura», che si intesti direttamente l’onere della costruzione di un’offerta politica che metta al centro senza tabù i temi economici e le diseguaglianze a questi associate: giustizia fiscale, salario minimo, occupazione pubblica e welfare, transizione ecologica. Una coalizione plurale, ma che non deleghi ad altri il radicalismo necessario per affrontare le difficili sfide del nostro tempo.