In molti pensiamo che ci possa essere un'altra qualità dello sviluppo: con l’uscita dai combustibili fossili, dove ambiente e lavoro non siano in contraddizione. A Ravenna, sulle trivelle, non è così
Ci era sembrato che, sulla questione trivellazioni, l’emendamento al decreto semplificazioni, fosse moderato e di buonsenso: un piano per la transizione energetica, che dovrebbe essere definito entro 18 mesi, nel frattempo una piccola moratoria ed un aumento dei canoni delle concessioni (che erano universalmente i più bassi). Questo, anche per controbilanciare e bloccare per il futuro, autorizzazioni per ricerche ed estrazioni in particolare in zone sensibili, concesse invece anche vicino a noi nelle zone di Lugo, Bagnacavallo, ecc.. In pratica cambia ben poco, il decreto non interessa le attività in essere, ma le nuove concessioni per la ricerca.
Le associazioni ambientaliste si sarebbero aspettate di più “Più che una moratoria un time out”.
Mentre la lobby dell’oil &gas (ROCA club, ENI, Confindustria Romagna, il consigliere regionale Bessi, loro paladino, ecc.) naturalmente sta tentando il massimo della drammatizzazione (anche con argomenti e dati improbabili) e paventa la perdita di migliaia di posti di lavoro, a Ravenna la politica che conta (dal Pd, alla Lega, a Forza Italia) si sdraia acriticamente su queste posizioni.
La lettera al Governo promossa dal Sindaco de Pascale è emblematica.
Solo Confesercenti, coerentemente con le perplessità manifestate in più sedi sulla convivenza turismo-trivellazioni/estrazioni, non ha sottoscritto il testo del manifesto.
Purtroppo anche i sindacati si sono semplicemente accodati a queste posizioni, senza avanzare alcuna rivendicazione alle aziende coinvolte, a partire da ENI, per una progressiva riconversione del settore; che è l’unica possibilità per salvaguardare professionalità e i posti di lavoro per il futuro.
Molto opportunamente Legambiente regionale sottolinea che la fine del fossile comunque ci sarà e riconvertire il settore è una necessità per il clima e per garantire posti di lavoro.
Se il settore teme la crisi si investa in rinnovabili. E chiede a ENI: Quanta energia green ha prodotto in Emilia Romagna?
La domanda è particolarmente pertinente, visti gli impegni presi con l'accordo di Parigi del 2015, e sviluppati nella bozza del Piano Energia e Clima, per accelerare la transizione energetica, che prevede al 2030, un 30% di energia rinnovabile sui consumi totali (oggi siamo a poco più del 18%).
Diversi settori imprenditoriali, tante aziende innovative, si stanno predisponendo per ridurre i consumi di combustibili fossili, per sviluppare l'efficienza energetica, per ridurre le emissioni, nei cicli produttivi, nei prodotti, nei trasporti.
Enel, soprattutto con Green Power, è ormai una delle aziende leader a livello mondiale nello sviluppo di fonti rinnovabili (purtroppo più all'estero che in Italia); ENI invece, nonostante la sua “pubblicità verde”, frena e continua a puntare solo sulle fonti fossili (da ultimo l'investimento di 3,3 Mld negli Emirati Arabi); eppure sono entrambe società controllate dallo Stato.
Sono questioni sulle quali la politica, ed in particolare le varie componenti della sinistra, e/o del centrosinistra, dovrebbero impegnarsi di più, superando vecchie impostazioni industrialiste e produttiviste, (importante l'intervento di Art.1 Non serve contrapporre ecologia e lavoro per un futuro sostenibile) perché l'idea di una società, più equa e solidale, deve comprendere un modello di sviluppo, e di uso delle risorse, sostenibile.
Anche nel movimento sindacale, non tutti sono solo a difesa dell'esistente, la riflessione è aperta, a questo proposito, riportiamo uno stralcio di una nota della Fiom nazionale:
La transizione energetica nei comparti metalmeccanici
...il nostro impegno coerente deve basarsi su ragioni di carattere generale, certo per contribuire alla lotta ai cambiamenti climatici, ma per farlo efficacemente, con il coinvolgimento dei lavoratori che vogliamo rappresentare – senza i quali non può realizzarsi una transizione giusta - dobbiamo riuscire a incrementare posti di lavoro qualificati nei settori innovativi, a fronte di altri posti che si perderanno in quelli tradizionali, per una complessiva innovazione del sistema produttivo che può e deve coniugarsi con le migliori esperienze della digitalizzazione e di “Impresa 4.0”.
Pensiamo agli impatti, sia dal punto di vista generale, che nei comparti metalmeccanici, di alcuni settori:
- dell’automotive e della mobilità, all’enorme impatto che avrà la progressiva sostituzione di mezzi a combustione interna con quella elettrica o ad altre propulsioni, sia per i mezzi privati che per il trasporto pubblico;
- alla progressiva riduzione dei combustibili fossili, con la fine dell’uso del carbone (di cui la SEN prevede la chiusura delle centrali a carbone, ancora funzionanti, entro il 2025); il restringimento dei settori delle estrazioni e della raffinazione e quindi le ricadute in quelli dell’oil & gas.
- al possibile, e necessario, grande sviluppo di tutte le fonti rinnovabili, a partire dal solare e dall’eolico (per il quale sarebbe necessario puntare su quello offshore), ma anche del biogas, della geotermia, ecc.;
- alle grandi opportunità per l’autoproduzione, e soprattutto per l’efficienza energetica in tutti i settori, a partire da Interventi radicali di efficientamento energetico per la riqualificazione spinta di interi edifici e quartieri (deep renovation).
Sono questioni complesse, sarebbe importante continuare a rifletterci: nel nostro piccolo, siamo a disposizione.
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Il 15 marzo è prevista una manifestazione contro il cambiamento climatico: gli studenti in prima fila per difendere l'ambiente
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Per raccontare un'altra storia sull'immigrazione, continua la riflessione:
Ero presente a comporre la catena umana che, anche a Faenza, ha testimoniato la volontà di inclusione, di accoglienza nei confronti dei migranti.
È stata una bella occasione ascoltare brani, testimonianze ed infine trovarci tutti a dare la mano a quelli, conosciuti o sconosciuti, con cui abbiamo condiviso l’esperienza.
Oggi, passata l’emozione, vorrei condividere questo pensiero; parto da una semplice esperienza; io e mia moglie conosciamo una coppia di amici; ogni tanto, non spesso, condividiamo una serata, una pizza, una passeggiata; loro lavorano entrambi nella sanità pubblica; ultimamente ci hanno detto di essere molto amareggiati dalla situazione che vivono sul lavoro; nei loro ambulatori sono presenti e vengono a richiedere interventi (a volte anche molto specialistici e costosi) in maggioranza stranieri; e questo porta i nostri amici ad esprimere una posizione di forte contrarietà ad ogni atteggiamento di accoglienza; questo perché ne segue un cattivo, pessimo servizio a chi qui a Faenza ci abita fin dalla nascita; sono rimasto molto stupito da queste loro espressioni (perché conosco questi amici come persone equilibrate e molto attente alle altre persone, al prossimo); questo mi porta a riflettere di più su questa nostra volontà di apertura ed inclusione agli altri.
Il governo, le forze politiche che hanno fatto del respingimento degli stranieri la loro bandiera hanno parlato alla nostra parte emotiva, alla nostra pancia; ma se reagiamo mettendoci sullo stesso piano, puntando alla sensibilità delle persone non credo che raggiungeremo buoni risultati.
Non penso che dobbiamo limitarci a dire che al governo sono cattivi e bugiardi; io non mi sento né buono né buonista, ma mi ritengo un essere razionale; è con la ragione che dobbiamo parlare ai nostri concittadini; le informazioni che ci arrivano dicono chiaramente che questo fenomeno delle migrazioni non è limitato a pochi mesi, ma che caratterizzerà questi anni come fenomeno epocale; razionalmente non possiamo pensare di arginare spinte (legate alla guerra o alla povertà, causate dalla Francia, dagli USA o dal dittatore locale non importa…) che riguardano milioni di persone; dobbiamo quindi continuare a cercare strade concrete e serie per fare diventare l’inclusione una realtà; ma non possiamo accontentarci di una manifestazione; qualcuno ha detto “bella… eravamo tanti...” ; si, tanti da circondare i quattro lati di Piazza del Popolo, ma pur sempre un piccolo gruppo, una esigua minoranza; se vogliamo incidere sulle scelte della nostra città e del paese dobbiamo allargare il confronto, essere più disponibili con chi la pensa un po diverso da noi; dobbiamo puntare a convincere gli altri (partendo come sempre da chi abbiamo accanto) che la strada è quella di “costruire” ( relazioni, processi…..) e non chiudere o tagliare; e creare realtà non transitorie, effimere, ma “sostenibili”, nel suo significato più profondo cioè che siano in grado di durare a lungo nel tempo, anche per le generazioni future; e dobbiamo puntare ad essere una “maggioranza” che la pensa così. Proviamo ad allargare quel cerchio, quel perimetro che abbiamo realizzato attorno a Piazza del Popolo…..
Massimo Donati
Aria di stagnazione, anzi di recessione, lo spread è alto, la crescita sarà più bassa del previsto, mentre il deficit cresce... queste sono alcune parole chiave che sentiamo in televisione e leggiamo sui giornali, contrapposte a quelle del Governo, che afferma "...credo che un nuovo boom economico possa nascere..." naturalmente, come conseguenza della manovra approvata dalla maggioranza, che vede come punti forti la cosiddetta "quota 100" e il "reddito di cittadinanza".
Non è compito nostro esprimere giudizi compiuti sulle politiche economiche complessive: quelle del Governo e quelle degli altri soggetti economici, finanziari, imprenditoriali, che governano l'economia reale.
Siamo invece molto interessati a valutarne gli effetti reali, a partire dalle nostre realtà territoriali, e - ancor prima - a capire i giudizi e le aspettative soprattutto di: chi si trova in condizione di povertà; chi un lavoro non ce l'ha; o pur avendolo, in forma precaria e magari irregolare, è comunque un “lavoratore povero”; ma più in generale di chi vive del proprio lavoro, dipendente o in altre forme, per settori e aziende più strutturate, ma che potrebbero avere problemi di mercato, o compiere scelte di delocalizzazione, come già è successo in diverse occasioni.
Per questo, con i modesti mezzi di questo sito, vorremmo ascoltare e riportare i punti di vita in campo: dei sindacati, di rappresentati dei lavoratori, patronati, rappresentanti di associazioni imprenditoriali, centro per l'impiego, ecc., per capire le criticità dei nostri territori e valutare che impatto concreto potranno avere qui, misure come quota 100 per le pensioni, e il reddito di cittadinanza, per chi fosse sotto le soglie di povertà previste.
Ripetiamo, non è nostro compito valutare a priori queste misure – che indubbiamente hanno dei limiti, possono e debbono essere criticate – ma i problemi di chi, pur in età avanzata e con lavori gravosi, non riesce ad andare in pensione, sussistono; così come sono cresciute, assieme all'aumento delle diseguaglianze, situazioni di povertà e di esclusione sociale, che interessano giovani e adulti, immigrati e italiani, che necessitano di risposte concrete.
Non abbiamo dubbi che l'inclusione sociale, non può essere solo assistenza, e passa anche attraverso un coinvolgimento lavorativo, ma quali lavori - e quindi quale sviluppo - potrebbero essere disponibili nei nostri territori? Dato che non saranno i Centri per l'impiego o i “navigator” a crearli.
Che esperienza trarre dal funzionamento, sperimentato finora nelle nostre zone, di strumenti analoghi, come il Reddito di Inclusione (REI) e ancora prima, in Emilia Romagna, del Reddito di Solidarietà (RES) ?
Si apre un terreno di azione che dovrebbe interessare tutti i soggetti in campo, a partire dalle Amministrazioni locali, attraverso i servizi sociali, ma anche da tante altre realtà sociali, sindacali, economiche e imprenditoriali, e non solo dal volontariato.
Noi, tenteremo di fare la nostra piccola parte, per sviluppare questo confronto.
La Redazione di Qds
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Per raccontare un'altra storia sull'immigrazione
Di immigrazione si parla soprattutto per i naufragi e i morti in mare di richiedenti asilo; per le implicazioni incostituzionali del “decreto sicurezza”; per le (per noi) insopportabili affermazioni di Salvini su “aiutiamoli a casa loro” o “i porti resteranno chiusi”. Ma la realtà è anche un'altra.
Nel nostro territorio si stanno svolgendo, anche in questi giorni, diverse iniziative:
che tentano di allargare lo sguardo sulla reale incidenza delle migrazioni, per capire di più su una realtà che non presenta situazioni di emergenza ma si integra, cambiandolo, il nostro contesto, sociale, culturale, produttivo.
Questa realtà può produrre anche alcune situazioni di criticità (che vanno conosciute e affrontate), ma porta anche benefici, contribuisce al normale funzionamento delle nostre comunità.
Vorremmo continuare questa riflessione anche sollecitando contributi, che pubblicheremo puntualmente.
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I dati che seguono sono tratti dal Rapporto 2018 dell'Osservatorio regionale sul fenomeno migratorio
Cittadini stranieri residenti nella provincia di Ravenna
al 1° gennaio 2018 sono 47.791, pari al 12,2% della popolazione complessiva, valore percentuale appena superiore alla media regionale del 12,1% e che pone Ravenna al quarto posto per incidenza fra le nove province emiliano-romagnole.
Gli stranieri residenti nella provincia sono quasi quadruplicati in un quindicennio. In valori assoluti, nel periodo 2003-2018 la popolazione residente complessiva è cresciuta di neanche 35mila persone, mentre i residenti stranieri sono aumentati di 35.780 unità.
Ciò significa che la crescita della popolazione della provincia in questi quindici anni è interamente imputabile alla componente straniera e che senza tale contributo demografico la provincia avrebbe registrato una marcata contrazione del numero di residenti.
Distribuzione territoriale
Nel dettaglio dei distretti socio-sanitari si trovano situazioni abbastanza diversificate all’interno della provincia. Si rileva infatti un’incidenza più elevata per il distretto di Lugo (12,7%), quello di Ravenna (12,0%) e quello di Faenza (11,9%) risultano sotto la media provinciale.
Cittadini stranieri residenti, distinti per genere e incidenza percentuale sul totale popolazione residente.
Dati per distretto socio-sanitario della provincia di Ravenna al 1° gennaio 2018
Distretto |
maschi |
femmine |
totale |
% femmine |
% sul tot. popolazione |
Minori residenti |
% minori sul totale stranieri |
Lugo 6.327 6.750 13.077 51,6 12,7 2.781 21,3 |
|||||||
Faenza 5.222 5.333 10.555 50,5 11,9 2.193 20,8 |
|||||||
Ravenna 11.697 12.462 24.159 51,6 12,0 4.333 17,9 |
|||||||
Provincia 23.246 24.545 47.791 51,4 12,2 9.307 19,5 |
Fonte: Elaborazione su dati Statistica self-service della Regione Emilia-Romagna.
Caratteristiche dei cittadini stranieri residenti
Genere ed età
per l’insieme degli stranieri residenti nella provincia si conferma, così come a livello medio regionale, una prevalenza femminile: le donne straniere residenti sono il 51,4% del totale (in Emilia-Romagna il 53,1%).
Gli stranieri residenti in provincia hanno un’età media di 34,7 anni (32,4 se si considerano i soli uomini),
mentre quella degli italiani è di 48,2 anni (46,7 per i soli uomini).
Al 1° gennaio 2018, nella provincia di Ravenna, il 16,6% dei residenti di 0-14 anni è costituito da cittadini stranieri (non necessariamente nati all’estero).
Un’incidenza elevata si registra anche con riferimento alle classi di età comprese fra i 15 e i 24 anni (16,2%) e, ancor più, in quella successiva dei 25-34enni (26,6%).
I paesi di cittadinanza
I cittadini stranieri di paesi Ue sono 15.945 (di cui, la netta maggioranza, oltre 12.200, costituita da rumeni) e rappresentano un terzo (33,4%) degli stranieri residenti.
La seconda comunità più rilevante è quella albanese, con 7.268 residenti (15,2%), seguita al terzo posto dal Marocco (10,0%) e poi dal Senegal con il 5,4%.
Se si calcola l’incidenza dei soli cittadini extra-Ue sul totale della popolazione residente nella provincia di Ravenna si giunge al 1° gennaio 2018 a un tasso dell’8,1%.
Cittadini stranieri e mercato del lavoro
Nel 2017 in Emilia-Romagna i cittadini stranieri occupati sono quasi 255.800, pari al 13% degli occupati (più del loro peso demografico, 12,1%).
Ma vi sono anche molti disoccupati, gli stranieri sono il 27,4% del totale dei disoccupati.
Dal 2008 ad oggi la crisi ha pesato: disoccupati stranieri +177%, italiani + 98%.
Gli occupati nei vari settori economici (nel 2017)
Italiani S tranieri
Agricoltura 3,7 6,6
Industria in senso stretto 25,7 24,1
Costruzioni 5,0 7,2
Servizi 65,6 62,1
di cui lavoro domestico 0,6 17,9
Totale 100% 100%
N. (in migliaia) 1.717 253
Secondo i dati dell'Osservatorio sul lavoro domestico Inps nel 2017
i lavoratori domestici stranieri in Emilia-Romagna sono circa 63.600, l'83,4 del totale degli occupati nel settore.
Per quanto riguarda le retribuzioni, a parità di ore lavorate, gli stranieri (in particolare le straniere, che sono più del 90% del totale) hanno retribuzioni più basse.
Il lavoro autonomo e l'imprenditoria
Al 31 dicembre 2017 i cittadini stranieri titolari di imprese attive, in Emilia-Romagna, sono oltre 38.600, pari al 16,7% del totale delle imprese attive (In Italia sono il 14,4%).
Queste imprese sono concentrate: nelle costruzioni per il 40% (in Italia il 25,5%); nel commercio al dettaglio e all'ingrosso il 26,1% (in Italia 40,8%).
L'87,3% dei titolari di impresa sono cittadini non UE. Come paesi di provenienza prevalgono: Cina 12,1%; Marocco 12%; Albania 12,6%.
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Lutti in Europa
Jan Palach, Praga, gennaio 1969
Pawel Adamowicz, Danzica, gennaio 2019
Senza dimenticare
Rosa Luxemburg, Berlino, gennaio 1919
In questi giorni si oscilla - oscillo - fra dolore, sconcerto e vergogna.
Guido Crainz, la settimana scorsa, ha dato voce al dolore di chi – non saremo una moltitudine, ma ci siamo – nel cinquantesimo anniversario del sacrifico di Jan Palach - 16 gennaio 1969 - trova insopportabile che sia la destra europea, la peggiore, quella che disprezza i diritti, tutti, senza distinzione alcuna, che siano civili o sociali - Orban docet – a proporsi come erede di Palach. Questa destra! Qualcuno di loro vede nell’esempio di Jan qualcosa che li riguarda? Morire invocando libertà e giustizia? Potrebbe farlo solo chi, come l’opposizione sociale e civile in queste settimane a Budapest, o come le donne in sommossa per difendere la loro dignità, a Varsavia, si oppone a quei governi, sempre più neri. Non possono sentirsi eredi di Jan i neri amici di Orban, di Salvini e i nemici della vittima di ieri, Pawel Adamowicz, lui sì erede di Jan. Danzica, città simbolo di guerra - i primi colpi della seconda guerra mondiale sparati a pochi chilometri dalla città - e di rinascita, con l’epopea di Solidarność. Danzica, città meravigliosa, aveva un grande sindaco, da venti anni in difesa dei diritti civili e sociali, città divenuta, dopo tanti orrori della storia, luogo di solidarietà e di accoglienza, in una Polonia governata invece dal partito di Kaczynsky, capofila del gruppo “sovranista” detto di Visegrad. Pawel andava in tutt’altra direzione e la sua città era con lui. Forte, coraggioso, aggredito e ucciso mentre pronunciava parole di solidarietà. Si sta costituendo una internazionale nera? Sembra che sia così. Bisognerà al più presto connettere le forze, che ci sono, e dare gambe a una internazionale della giustizia, dell’uguaglianza, della solidarietà. Ogni impresa necessita di simboli. Li abbiamo. Jan Palach, ieri, Pawel Adamowicz, oggi. In Italia, il piccolo sindaco combattente di Riace, Mimmo Lucano, i genitori di Lodi che sostengono la mensa per tutt* i bambini. E mille altre storie.
Noi giovani comunisti italiani, allora, il 16 gennaio del 1969, ci sentimmo sorelle e fratelli di Jan Palach. Soffrimmo per il suo sacrificio, ma non abbiamo avuto dubbi. Lui, e noi, con quei carri armati dell’URSS non avevamo nulla a che spartire. E due mesi dopo la sua morte andammo a Praga, a rendergli omaggio. Una mano anonima aveva posto un cartello che copriva il toponimo antico, rinominando la piazza con il nome di Jan. Ora, dal 1989, la piazza si chiama Jan Palach. Un ritardo di venti anni, venti anni perduti nella storia d’Europa. Perdita che continua a pesare. Ma che non può stravolgere l’oggi e i suoi simboli. E non può trasformare il bianco in nero. I “sovranisti” si tengano lontano da Palach, e dalla sua storia. Vi immaginate una Europa che indietreggia verso un caos di piccole egoiste nazioni? C’è da tremare.
E, in questi giorni tristi, per noi, in Italia, si aggiunge la vergogna. Il “sovranista” ministro degli Interni va ad accogliere vestito da militare un delinquente sedicente rivoluzionario. Mancava solo il mitra. E aggiunge che il delinquente deve “marcire in galera”. Ignoranza totale della nostra Costituzione. Si rilegga, Salvini, il compito che la nostra Costituzione affida al carcere. Siamo di fronte a una vergogna nazionale. La vergogna è la sua, non la nostra. Rivoluzionario chi? Il delinquente fuggitivo? Il ministro? In realtà, è il ministro di un governo che alcuni suoi componenti hanno recentemente definito “rivoluzionario”. Stanno stracciando in molti punti quei diritti civili e umani che Palach chiedeva e che la nostra Costituzione impone. In effetti potrebbe essere una rivoluzione, ma all’incontrario.
Un altro lutto antico i presenti giorni ci ricordano. Gennaio 1919. Berlino. Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, trucidati. Loro sicuramente rivoluzionari. Con eccessi di speranze. Non di delitti. Fiduciosi, fino alla fine, che socialismo, libertà e giustizia fossero facce della stessa medaglia.
A proposito di Europa. Juncker dice che con la Grecia l’Europa ha sbagliato. Gli chiedo, da europeista convinta, come sono. Adesso lo dici?
Maria Paola Patuelli
16 gennaio 2019
Date che si rincorrono
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