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Questa estate, girando tra i banchetti del mercato settimanale della bella località balneare di Pollica-Acciaroli (SA), mi imbatto in un cartello su cui è scritto “reddito di cittadinanza” con sotto la foto della carta di credito PostePay utilizzata per ricevere e utilizzare il reddito mensile.

Incuriosito dall’insolito avviso, mi avvicino alla postazione di vendita che esponeva il cartello, un furgone con annessi espositori di abbigliamento, pantaloni, t-shirt, ecc. Chiedo al giovane commerciante ambulante cosa significava quell’avviso, lui mi risponde educato: “Noi vendiamo anche a chi acquista con la carta di credito, dottore, così cerchiamo di aumentare un po’ le vendite che sono modeste”.

“Beh – dico io – ma avete della roba discreta, non si vende?”. “Purtroppo poco – mi risponde serio il giovane – le cose non vanno bene, a stento copriamo i costi del carburante e di un pasto”. Acquisto due pantaloni bermuda corti, di buona fattura, 15 euro l’uno, totale 30 euro, veramente poco, mi rilascia regolare scontrino fiscale e lo saluto.

Certo, pensavo, a Bologna con 15 euro ci compro massimo due paia di calze, senz’altro non un buon pantalone ben rifinito, è il mercato bellezza! I prezzi si adattano al tenore di vita. Poi è chiaro che quella fabbrica che ha fatto i bermuda, forse ha pagato a nero i suoi dipendenti, oppure dichiara al fisco un terzo del fatturato o entrambe le cose. È il circuito maledetto della marginalità meridionale: precarietà ed evasione fiscale sono i presupposti di un’economia debole e stagnante.

Si sta facendo contro il reddito di cittadinanza una campagna demolitiva, da parte soprattutto della destra: Salvini e Meloni, ma a turno anche Forza Italia, non passa giorno che non ne chiedono l’abrogazione come se da questo derivassero tutti i mali del Paese. Gli fa buona compagnia il presidente di Confindustria Carlo Bonomi e la gran cassa di pressoché tutti i media mainstream.

Ha detto bene Pasquale Tridico, presidente dell’Inps: rispetto ad altre forme di evasione, che stiamo tutte perseguendo, quella del RdC è l’1%, non si alzano grida di sdegno “al ladro” quando scoviamo tremila aziende che hanno percepito indebitamente la cassa integrazione o quelli che hanno truffato per avere il bonus Covid (anche parlamentari).

Ora si dice che l’Italia va forte, sì ma quali sono i dati reali dell’economia? Il fatturato industriale cresce ma non ha ancora recuperato ciò che si è perso nei due anni precedenti e comunque venivamo da circa vent’anni di stagnazione con cadute anche nella recessione e perfino nella depressione: dopo la “big finance crisis” del 2008, la ripresa è stata molto debole, poi è arrivata la mazzata del Covid.

Soprattutto quel che di cui non si dice nulla, riguarda la struttura produttiva del Paese: lo squilibrio Nord Sud sta diminuendo o al contrario il divario si allarga? Si riduce la precarietà nel lavoro e si contrasta lo sfruttamento dei migranti? Si sta lavorando per migliorare la struttura dei trasporti collettivi? S’interviene sul dissesto idrogeologico e per ridurre le emissioni inquinanti? Sta aumentando il controllo di legalità per recuperare sull’evasione fiscale? Si sta provvedendo a ridurre il gap digitale, per cui abbiamo ancora vaste aree del paese dove c’è scarsa connessione?

Noi non abbiamo bisogno di crescita quantitativa, abbiamo bisogno di aumentare produttività e qualità, ma soprattutto di maggiore redistribuzione della ricchezza che al contrario si è finora sempre solo concentrata. Dicono che abbiamo un Draghi nel motore ma al momento sembra più un vapore che una turbina!

“O sazio nun crere a o riuno” è una frase molto nota a Napoli. Letteralmente significa: “Chi è sazio non crede a colui il quale è invece a digiuno”. Il Paese soffre e soffrono soprattutto i poveri, che esistono e non possono essere cacciati sotto il tappeto come si fa con la polvere, così come ci sono migliaia di lavoratori che non riescono col loro lavoro a vivere dignitosamente, poi la scuola, la sanità, i trasporti e tutti i servizi pubblici devono funzionare bene, altrimenti altro che locomotiva d’Europa, resteremo un ronzino ansimante. Buon Natale!

Questo articolo è stato pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 22 dicembre 2021