Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

Medio Oriente Tra loro Nael Barghouti, prigioniero da 44 anni e 100 tra donne e bambini

Una grande bandiera palestinese è appesa a un edificio distrutto durante un cessate il fuoco tra Israele e Hamas, nel campo profughi di Jabaliya foto Mohammed Saber/Ansa Una grande bandiera palestinese appesa a un edificio distrutto durante un cessate il fuoco tra Israele e Hamas – Mohammed Saber/Ansa

Dopo 44 anni di carcere, Nael Barghouti ritrova mezza libertà: il prigioniero politico palestinese più «longevo» sarà deportato in Egitto. È stato arrestato nel 1978, a vent’anni, con l’accusa di aver ucciso un soldato israeliano e autista di bus, le prove sono rimaste secretate. Legato a Fatah, era stato condannato all’ergastolo. È uscito per appena tre anni, liberato nell’ambito del mega scambio del 2011 tra Israele e Hamas, l’«accordo Shalit». Come avviene spesso, è stato riarrestato nel 2014. A 67 anni, ha trascorso due terzi della sua vita in galera.

Il suo rilascio ieri non è stato uno tra gli altri per i palestinesi: la sua è la storia-simbolo di quel milione di persone che dal 1967 è passato per una cella israeliana, il 40% dei maschi palestinesi. Il rilascio in cambio dell’esilio, senza famiglia (Israele gli vieta di uscire dalla Cisgiordania), ha poi un peso a parte in un periodo in cui da Washington a Tel Aviv si fantastica di nuove pulizie etniche, a Gaza e in Cisgiordania, e sulla Striscia l’esercito israeliano fa piovere volantini che pianificano l’espulsione: «La mappa del mondo non cambierà se tutto il popolo di Gaza cesserà di esistere – si legge – Nessuno chiederà di voi. Nemmeno i paesi arabi che sono ora nostri alleati, ci forniscono soldi e armi mentre a voi mandano sudari…Chi vuole salvarsi prima che sia troppo tardi, noi siamo qui, fino alla fine dei tempi».

Barghouti è uno dei 602 palestinesi liberati ieri. Tra loro 50 ergastolani, 60 condannati a sentenze lunghe (47 erano stati rilasciati nel 2011, poi riarrestati), oltre 400 catturati a Gaza dopo il 7 ottobre e detenuti senza accuse, tra cui un centinaio di donne e bambini. 97 i palestinesi deportati all’estero. Il rilascio è stato rinviato fino a tarda sera (tardi per noi), in attesa – scrivevano i media israeliani – del gabinetto convocato dal premier Netanyahu. Nelle ore precedenti, come accaduto in tutti e sette i precedenti scambi, l’esercito israeliano ha fatto irruzione nelle case di molti detenuti per impedire i festeggiamenti.

Si è festeggiato a Tel Aviv per il ritorno di sei ostaggi, di cui due a Gaza dal 2014, il palestinese beduino Hisham Al-Sayed e l’ebreo etiope Abera Mengistu, entrati per errore nella Striscia. Liberati nell’ormai nota «cerimonia» di Hamas, stavolta a Nuseirat, anche quattro ostaggi del 7 ottobre: Tal Shoham, Eliya Cohen, Omer Shem Tov e Omer Wenkert.

Mentre si avvicina la fine della prima fase della tregua (il 1° marzo), Hamas insiste con la sua proposta, la liberazione di tutti gli ostaggi in cambio del cessate il fuoco permanente, ribadisce il portavoce delle Brigate al-Qassam, Hazem Qassem. Basem Naim, del politburo del movimento, accusando Netanyahu di «giochi sporchi per sabotare l’accordo», ha aggiunto: Hamas è pronto a «lasciare immediatamente il governo di Gaza e permettere un governo di unità palestinese o a un governo tecnico, purché deciso dai palestinesi». (chi.cru.)