Corsa alle armi Per quale Europa scendere in piazza? La domanda può apparire oziosa, considerata la brutalità dei tempi in cui viviamo. Una brutalità, oltretutto, in rapido deterioramento. Eppure, se – come scriveva […]
Per quale Europa scendere in piazza? La domanda può apparire oziosa, considerata la brutalità dei tempi in cui viviamo. Una brutalità, oltretutto, in rapido deterioramento. Eppure, se – come scriveva ieri Andrea Fabozzi – vogliamo evitare il rischio di un’iniziativa meramente autoconsolatoria, non si può non chiedersi quale Europa sia quella che immaginiamo debba porsi in alternativa agli Stati uniti di Trump, Vance e Musk.
Non è necessario richiamarsi al Manifesto di Ventotene per guardare all’Europa odierna con un senso di profondo disagio. Quella che abbiamo innanzi è un’Europa che, in tre anni di guerra alle proprie porte, non è stata in grado di articolare il minimo discorso di pace. Non un’iniziativa diplomatica, non un tentativo di individuare una via d’uscita non violenta. Hanno aperto tavoli di trattativa autocrati come Erdogan e bin Salman. L’Europa no. L’Europa si è data per obiettivo la sconfitta militare della Russia, il crollo della sua economia, la fine politica e personale di Putin. E, ora, a guerra persa, non sa reagire diversamente che progettando di armarsi fino ai denti, derogando, per le spese militari, a quelle medesime regole che per le scuole e gli ospedali ha sempre proclamato inderogabili. Con l’aggravante di un riarmo che non varrebbe, nemmeno in prospettiva, a conquistare una reale autonomia strategica, dal momento che sarebbe realizzato in condizioni di completa sudditanza tecnologica nei confronti degli Stati uniti.
Quantomeno – si dirà – l’Europa non ha ceduto sul piano dei valori. Tra l’aggressore e l’aggredito ha scelto senza tentennamenti, dimostrando di saper stare dalla parte giusta. È fin troppo facile replicare che in Medio Oriente l’Europa ha fatto la scelta opposta: dalla parte del carnefice, contro la vittima, sino alla soglia della plausibilità del genocidio. “Dal fiume al mare” è la realtà dei fatti: solo che è la realtà imposta da Israele. Quel che i palestinesi nemmeno possono dire, gli israeliani possono fare. È questa la giustizia dell’Europa? Farsi scudo dei valori quando conviene, ignorarli quando non conviene? I valori o valgono o non valgono. E se non valgono per alcuni, non valgono per nessuno: divengono il velo d’ipocrisia dietro cui nascondere l’interesse.
D’altro canto, gli Stati europei che si ergono a difensori dell’aggredito ucraino non hanno avuto scrupolo a farsi essi stessi aggressori in anni recentissimi: in Iraq, in Afghanistan, in Siria, in Libia. E quando, dopo aver raso al suolo quei Paesi, ampie fasce di popolazioni si sono mosse alla ricerca di una vita decente, l’Europa ha reagito alzando muri e affidando la propria “sicurezza esterna” ad aguzzini e torturatori conclamati.
Ora è in vista la negazione di un diritto umano centrale nell’ordinamento internazionale successivo alla seconda guerra mondiale: il diritto d’asilo, che la Commissione chiede alla Corte di Giustizia di negare senza nemmeno il fastidio di dover cambiare la normativa in materia. Sicuri saranno i Paesi che i governi europei proclameranno tali; e, in attesa di esservi ricondotti, gli esseri umani in fuga dalle persecuzioni saranno detenuti in campi collocati al di fuori dai confini dell’Europa, là dove persino il diritto alla difesa non potrà essere pienamente esercitato.
Quanto alle politiche interne destinate ai cittadini europei, nessun cedimento al dogma della società di mercato è concepibile. Lo Stato dev’essere ridotto ai minimi termini, perché il solo principio d’ordine sociale accettabile è quello della concorrenza economica: sia essa tra persone, aziende o territori. I cittadini sono ridotti a consumatori; e se lotta alla discriminazione vi dev’essere, è sempre per il medesimo motivo: evitare qualsivoglia distorsione alla regola aurea dell’assoluta libertà dei fattori produttivi (merci, servizi, capitali, persone). La moneta – con la connessa sottrazione del suo governo alla politica, e quindi al controllo democratico – rimane il cuore del sistema. Costi quel che costi. Anche la devastazione sociale di un intero Paese, come la tragedia inflitta alla Grecia dovrebbe ricordarci.
È dunque per l’Europa delle armi, dell’ingiustizia internazionale, dei muri, della moneta che dovremmo scendere in piazza? Per l’Europa, cioè, che, promuovendo le disuguaglianze e alimentando la violenza nelle relazioni internazionali, costruisce all’estrema destra neofascista un presente, e un futuro, di trionfi elettorali?
L’urgenza è la pace. Come insegnava Norberto Bobbio, il primo effetto della guerra è la riduzione della democrazia e dei diritti a formule vuote, di cui si può fare a meno. Il momento è drammatico ed è certamente positivo che ce ne sia consapevolezza, ma se davvero vogliamo dare forza alla bandiera dell’Europa, issiamo al suo fianco il vessillo della pace.