Palestina/Israele Hamas: ora seconda fase, lo dice l’accordo. Netanyahu temporeggia per poter riprendere la guerra. Unicef: aprite le porte della Striscia. Il primo iftar tra le macerie: lunghe tavolate di palestinesi da Rafah a Khan Younis
Khan Younis, la prima rottura del digiuno di Ramadan tra le macerie – Ap/Jehad Alshrafi
È scaduta ieri la prima fase del cessate il fuoco tra Israele e Hamas. I negoziatori sono rientrati con un nulla di fatto e non si ha idea di quando e se i colloqui riprenderanno. Le trattative per il secondo ciclo dovevano iniziare quasi un mese fa ma solo lo scorso giovedì Tel Aviv ha accettato di inviare una delegazione al Cairo.
Netanyahu vorrebbe estendere di 42 giorni la fase uno, Hamas ha respinto la proposta e intende entrare nella seconda, come stabilito, durante la quale tutti i 59 ostaggi (di cui probabilmente 24 ancora vivi) dovrebbero essere consegnati, i soldati si ritirerebbero da Gaza e il cessate il fuoco diverrebbe definitivo. P
er mettere pressione a Netanyahu e al suo governo, Hamas ha reso pubblico un video che mostra due fratelli, Eitan e Iar Horn, entrambi ostaggi a Gaza, salutarsi e abbracciarsi in lacrime prima del rilascio di uno di loro. Eitan è rimasto nella Striscia e nel filmato girato dal gruppo islamico chiede a Netanyahu di accettare la seconda fase dell’accordo e riportare tutti a casa: «Se hai un cuore, una coscienza anche piccola, firma, firma oggi».
L’UFFICIO del primo ministro ha accusato il gruppo islamico di «brutale propaganda». Manifestazioni si sono tenute ieri in tutto il Paese per chiedere di completare l’accordo. Hamas ha anche pubblicato un appello alla Lega araba, che si riunirà al Cairo il prossimo martedì, ribadendo il rifiuto di qualsiasi amministrazione non palestinese per la Striscia e della presenza straniera nell’enclave. Durante il vertice sarà presentato ufficialmente il piano arabo per la Gaza del dopoguerra, un’alternativa alla pulizia etnica proposta dal presidente Usa, Donald Trump.
Netanyahu, che già venerdì sera ha tenuto una serie di colloqui con ministri e membri dell’intelligence, ha iniziato un nuovo ciclo di consultazioni ieri sera, per discutere del futuro dei negoziati e di un’eventuale ripresa degli attacchi. A Gaza il Ramadan, il cui inizio è coinciso con la fine della tregua, è cominciato tra l’incertezza e i timori per ciò che potrà accadere. Centinaia di palestinesi hanno tenuto insieme il primo Iftar, il pasto serale che rompe il digiuno, con una lunghissima tavolata tra le macerie di Rafah.
Il ministero della salute palestinese ha fatto sapere che negli ultimi due giorni sono stati registrati ventitré decessi, di cui due persone uccise e ventuno corpi recuperati, aggiornando così il numero dei morti a 48.388. Saleem Oweis, portavoce di Unicef a Gaza, ha dichiarato che sei settimane dopo l’inizio del cessate il fuoco le necessità della popolazione restano enormi: «Riparo, cibo, acqua pulita, che non è ancora disponibile per molti».
Anche se la tregua ha permesso l’ingresso di beni sul mercato, ha aggiunto Oweis, «è tutto troppo costoso per la maggior parte di coloro che sono stati tagliati fuori da qualsiasi reddito negli ultimi 16 mesi. Tutto quello che dobbiamo fare è aprire le porte e far entrare tutto l’aiuto necessario, senza alcuna restrizione».
IN CISGIORDANIA, durante le ormai abituali violenze dei coloni per la festività religiosa dello Shabbat, un veicolo palestinese è stato incendiato a Silwad, nei pressi di Ramallah. Il sabato ebraico, momento rituale di riposo in cui dedicarsi alla famiglia e alla preghiera, è divenuto un appuntamento costante per i coloni, soprattutto per gli ultranazionalisti religiosi, che effettuano raid nei villaggi palestinesi, occupano terre, attaccano la popolazione residente e le proprietà.
Anche l’esercito non interrompe la sua operazione nella Cisgiordania occupata. Secondo diversi analisti l’attacco sta causando il più grande sfollamento di palestinesi dal 1967. L’agenzia di stampa Wafa fa sapere che tre bambini sono stati feriti a Beit Furik, a est di Nablus, dove l’esercito israeliano ha portato avanti, ieri, un violento raid. Anche Fawwar è stata presa d’assalto e diversi palestinesi sono stati arrestati e percossi.
I militari hanno ordinato invece alle persone rimaste nel campo profughi di Nur Shams di lasciare tutto e andare via, minacciando detonazioni su larga scala. Le ruspe hanno abbattuto varie case, costringendo gli abitanti a sfollare.
L’attacco israeliano in Cisgiordania, cominciato il 21 gennaio, ha causato almeno 55 morti e 40mila profughi. Mentre si moltiplicano gli appelli internazionali per proseguire il cessate il fuoco, il segretario di stato Usa Marco Rubio ha richiesto l’invio di altri 2,04 miliardi di dollari in munizioni e attrezzatura militare per Israele. Motivato da «ragioni di emergenza» e negli «interessi di sicurezza nazionale degli Stati uniti», il nuovo lotto verrà consegnato nel 2026 e comprende 35.529 bombe, 4.000 testate a penetrazione, materiale per i ricambi, supporto per il trasporto e altro ancora.