Il lungo tavolo tra le macerie e le case distrutte di Gaza: le immagini dell’Iftar per il primo giorno di Ramadan
Nonostante la distruzione, il numero delle vittime e la devastazione, nonostante la fragilità della tregua tra Hamas e Israele, da tempo si sente parlare del day after, ovvero Gaza il giorno dopo, da chi sarà governata e in quale modo.
Con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca tutte le ipotesi precedentemente circolate sono finite nel nulla.
Il presidente Usa ha lanciato un’idea molto pericolosa non solo per Gaza ma per la sicurezza nazionale dell’intero mondo arabo, per non parlare della causa del popolo palestinese. Pubblicamente quasi tutto il mondo arabo e soprattutto i paesi interessati (l’Egitto e la Giordania)
hanno dichiarato la loro contrarietà al progetto, in primis a deportare i palestinesi. In questi contesti è giusto ricordare: fidarsi bene, non fidarsi è meglio.
L’idea del presidente Trump è un’idea mista di carattere politico ma anche affaristico, perché molti osservatori internazionali mettono in evidenza la recente scoperta dei giacimenti di gas a Gaza che valgono oltre 62 miliardi di dollari, oltre certamente agli aspetti immobiliari.
Il fatto eclatante e molto preoccupante non è la proposta del presidente Usa, che ha provato nel suo mandato precedente a liquidare la causa palestinese, quanto la reazione dell’intera comunità internazionale che si è affidata ai comunicati e alle dichiarazioni a mezzo stampa.
Il mondo arabo e con esso l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) hanno attraversato vari periodi critici, di spaccatura, di divisione, ma anche di instabilità: basti pensare alle varie guerre con Israele, l’invasione del Libano da parte di Israele, l’invasione e la
distruzione dell’Iraq. Il contesto attuale della regione è completamente diverso e l’equilibrio geopolitico a livello mondiale è in stato di trasformazione, per cui il mondo arabo e l’Olp si trovano ad affrontare scelte complesse per salvaguardare la loro sicurezza nazionale e il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione.
Ciò che è evidente è che si discute di chi potrebbe governare Gaza senza coinvolgere i diretti interessati, ovvero i palestinesi o meglio dire chi li rappresenta, cioè l’Olp in quanto unico e legittimo rappresentante del popolo palestinese. Oggi ci sono voci che si alzano anche in campo palestinese, e non solo, che cercano di mettere in discussione questo riconoscimento e ruolo dell’Olp. A tal proposito vorrei ricordare che l’Olp ha avuto questo riconoscimento e ruolo nella riunione della Lega Araba svoltasi a Rabat in Marocco nel lontano 1974. Una decisione molto importante che ha dato l’opportunità allo stesso Olp non solo di rappresentare e parlare al nome del popolo palestinese, ma anche, come conseguenza di questa decisione, l’Olp ha avuto un seggio in qualità di Osservatore alle Nazioni Unite.
In questi 51 anni l’Olp non solo ha conservato viva la causa ma ha anche stipulato i famosi accordi di Oslo che hanno dato vita all’Autorità Nazionale Palestinese.
Nessuno nega la debolezza attuale dell’Olp, ma questo non autorizza nessuno a creare un soggetto alternativo perché significherebbe pescare nell’acqua torbida.
Prima di parlare del giorno dopo a Gaza sarebbe più coerente e più realistico consolidare la fragile tregua e trasformarla in un cessate il fuoco permanente e fine della guerra, permettendo l’ingresso degli aiuti umanitari per la popolazione. Per poi elaborare un vero ed effettivo percorso con tempi precisi e certi per la nascita dello Stato palestinese, secondo il diritto e la legalità internazionale.
Parlare del giorno dopo a Gaza nei salotti e nelle cancellerie internazionali senza interpellare e coinvolgere i diretti interessati, che stanno lottando da circa cento anni per la loro libertà, non è altro che un’ipocrisia politica.
L’Unione europea sta facendo tutto il possibile per avere un posto al tavolo delle trattative tra gli Usa e la Russia per il processo di pace in Ucraina: come può pretendere questo diritto e contemporaneamente non riconoscere il diritto del popolo palestinese a partecipare
attivamente al giorno dopo? Come intende gestire un territorio così devastato?
Dopo circa cento anni di lotta, con tutto ciò che ha comportato in termini di lutti, devastazioni e distruzioni, il periodo dei mandati, del vecchio e nuovo colonialismo è finito e non può in nessun modo ritornare. Il popolo palestinese è in grado di autogovernarsi da solo, certamente deve superare la questione della divisione interna, che spesso viene strumentalizzata dai soggetti interni ed esterni.
Infine, credo che i movimenti politici palestinesi - quelli laici che fanno parte dell’Olp e quelli di matrice religiosa - abbiano il diritto ed il dovere di trovare un denominatore comune e di essere al livello della loro responsabilità, perché la posta in gioco è la stessa causa
palestinese.