La denuncia delle condizioni dei braccianti nel VII rapporto Agromafie e caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto. Il racconto in video di Bilongo, Kaur, Mininni, Re David
Braccianti stranieri nei campi
“La filiera dell’illegalità mortifica il lavoro, toglie dignità alle donne e agli uomini che con il loro impegno quotidiano mandano avanti il Paese. E a essere sbagliato è lo stesso modello di sviluppo, che va cambiato. Lo sfruttamento e il caporalato non interessano solo il settore primario, sono una pratica costante in tanti settori produttivi”.
Delinea un quadro preciso dei problemi che affliggono il settore dell’agricoltura Giovanni Mininni, segretario generale Flai Cgil, alla presentazione del settimo rapporto Agromafie e caporalato realizzato dall’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai, a Roma il 4 dicembre. E aggiunge: “Ci sono troppi pochi controlli, sono cresciuti solo dopo l’eco che ha avuto nel Paese il terribile omicidio di Satnam Singh. Le imprese che si nutrono dell’illegalità non devono essere aiutate, distorcono il mercato e penalizzano gravemente le imprese virtuose”.
Le ispezioni sono poche, pochissime, e invece sono un fattore determinante: in quelle che sono seguite all’omicidio dell’operaio agricolo Satnam Singh, tre diverse operazioni delle forze dell’ordine il 3 luglio, il 25 luglio e nei primi 10 giorni di agosto 2024 in 1.377 aziende agricole, è emersa un’irregolarità che va dal 66 per cento della prima ispezione, al 57 per cento della seconda e al 53 per cento della terza.
“In due mesi sono state effettuate quasi la metà delle ispezioni fatte in tutto il 2023 - racconta Hardeep Kaur, segretaria generale Flai Latina -. Peccato però che non si sia dato seguito e si sia ritornati nell’ordinarietà delle ispezioni che sono solo il doppio, in un intero anno, di quelle compiute in tre azioni tra luglio e agosto. Da allora ci chiamano operai agricoli da tutta Italia, inviando anche la loro posizione e denunciando la stessa condizione di sfruttamento di Satnam”.
“Siamo davanti a una vera e propria emergenza che vede 200 mila lavoratrici e lavoratori irregolari nell’agricoltura italiana, con paghe da fame – afferma Jean René Bilongo, presidente dell’Osservatorio Placido Rizzotto -. Questo in un settore come quello dell’agroindustria, che pure vale 73,5 miliardi di euro, di cui circa la metà proprio nella produzione e raccolta di frutta, verdura e ortaggi destinati alle nostre tavole”.
Sul fronte dell’incontro domanda-offerta manca una risposta dello Stato, che da anni il sindacato invoca: il governo non ha all’ordine del giorno la questione di un collocamento pubblico che possa dare questo servizio non solo ai lavoratori ma anche alle imprese.
“Molto spesso questi i lavoratori entrano attraverso i flussi chiamati dalla aziende – denuncia Francesca Re David, segretaria confederale Cgil -. Le aziende spariscono un secondo dopo e i lavoratori senza un contratto entrano in clandestinità. Noi abbiamo chiesto che venga riconosciuto un permesso per ricerca di lavoro, l’esistenza sul territorio e che qualcuno controlli il rapporto tra la quantità di terra lavorata e la quantità di braccia e teste necessarie per fare quel lavoro”.
“La filiera dell’illegalità mortifica il lavoro, toglie dignità alle donne e agli uomini che con il loro impegno quotidiano mandano avanti il Paese. E a essere sbagliato è lo stesso modello di sviluppo, che va cambiato. Lo sfruttamento e il caporalato non interessano solo il settore primario, sono una pratica costante in tanti settori produttivi”.
Delinea un quadro preciso dei problemi che affliggono il settore dell’agricoltura Giovanni Mininni, segretario generale Flai Cgil, alla presentazione del settimo rapporto Agromafie e caporalato realizzato dall’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai, a Roma il 4 dicembre. E aggiunge: “Ci sono troppi pochi controlli, sono cresciuti solo dopo l’eco che ha avuto nel Paese il terribile omicidio di Satnam Singh. Le imprese che si nutrono dell’illegalità non devono essere aiutate, distorcono il mercato e penalizzano gravemente le imprese virtuose”.
Le ispezioni sono poche, pochissime, e invece sono un fattore determinante: in quelle che sono seguite all’omicidio dell’operaio agricolo Satnam Singh, tre diverse operazioni delle forze dell’ordine il 3 luglio, il 25 luglio e nei primi 10 giorni di agosto 2024 in 1.377 aziende agricole, è emersa un’irregolarità che va dal 66 per cento della prima ispezione, al 57 per cento della seconda e al 53 per cento della terza.
“In due mesi sono state effettuate quasi la metà delle ispezioni fatte in tutto il 2023 - racconta Hardeep Kaur, segretaria generale Flai Latina -. Peccato però che non si sia dato seguito e si sia ritornati nell’ordinarietà delle ispezioni che sono solo il doppio, in un intero anno, di quelle compiute in tre azioni tra luglio e agosto. Da allora ci chiamano operai agricoli da tutta Italia, inviando anche la loro posizione e denunciando la stessa condizione di sfruttamento di Satnam”.
“Siamo davanti a una vera e propria emergenza che vede 200 mila lavoratrici e lavoratori irregolari nell’agricoltura italiana, con paghe da fame – afferma Jean René Bilongo, presidente dell’Osservatorio Placido Rizzotto -. Questo in un settore come quello dell’agroindustria, che pure vale 73,5 miliardi di euro, di cui circa la metà proprio nella produzione e raccolta di frutta, verdura e ortaggi destinati alle nostre tavole”.
Sul fronte dell’incontro domanda-offerta manca una risposta dello Stato, che da anni il sindacato invoca: il governo non ha all’ordine del giorno la questione di un collocamento pubblico che possa dare questo servizio non solo ai lavoratori ma anche alle imprese.
“Molto spesso questi i lavoratori entrano attraverso i flussi chiamati dalla aziende – denuncia Francesca Re David, segretaria confederale Cgil -. Le aziende spariscono un secondo dopo e i lavoratori senza un contratto entrano in clandestinità. Noi abbiamo chiesto che venga riconosciuto un permesso per ricerca di lavoro, l’esistenza sul territorio e che qualcuno controlli il rapporto tra la quantità di terra lavorata e la quantità di braccia e teste necessarie per fare quel lavoro”.
Cisl sottolinea "l’importanza di una gestione pubblica di questi servizi". Cgil e Uil: "No alla privatizzazione, sia salvaguardato il ruolo e l’operatività dell’Asp"
"No alla privatizzazione dell'Asp dell'area faentina": questo il grido di protesta che arriva da Cgil, Cisl e Uil. Secondo quanto riferiscono i sindacati, lo scorso 28 novembre i sindaci della Romagna Faentina avrebbero confermato alle organizzazioni sindacali "il percorso di coprogettazione che sta interessando l’Asp (Azienda pubblica di servizi alla persona) del territorio, con l’obiettivo di costituire una società consortile, a partecipazione pubblica e privata, candidata quale soggetto gestore dei servizi agli anziani non autosufficienti erogati nelle strutture accreditate del distretto".
"La riunione di fatto non ha aggiunto elementi sostanziali di novità sul progetto già illustrato in precedenza", ribadiscono i sindacati che, nei mesi scorsi, hanno espresso forti dubbi e preoccupazione "per l’abbandono di una esperienza pubblica diretta nella produzione ed erogazione di questi servizi, facendo inoltre venir meno la finalità prevista dalla legge regionale che ha istituito le Asp - sottolineano Cgil e Uil - ossia quella di rappresentare l’esperienza pubblica del sistema di produzione ed erogazione dei servizi per le persone, parte essenziale della rete integrata dei socio-sanitari, indispensabile per la qualificazione dei servizi e del lavoro. Oltre a questi aspetti, sono colpevolmente mancate anche le risposte alle sollecitazioni e alle richieste formulate in precedenza dalla parte sindacale".
"Visto che tuttora il progetto è al vaglio della Corte dei Conti - prosegue la Cisl - ci saremmo aspettati anche l’indicazione di un’ipotesi alternativa, coerente con le premesse enunciate, e risposte chiare alle richieste che abbiamo avanzato nel corso di una discussione avviata solo dopo nostre sollecitazioni: confronto sulle risorse che si renderanno disponibili, evoluzione delle rette, tutele del personale dipendente ed interinale, salvaguardia nel tempo non solo di una governance pubblica ma anche di esperienza e personale pubblico sul campo, relazioni sindacali con il nuovo soggetto giuridico. Tutto ciò è colpevolmente mancato".
"L’Asp mostra senza dubbio gravi difficoltà economiche - continua Cisl Romagna - nel periodo 2018-2023 oltre 1 milione di euro di perdite, nonostante 1,1 milione di euro di contributi straordinari da parte dei comuni e il temporaneo mancato computo degli ammortamenti negli ultimi 4 anni per circa 1,4 milioni di euro. Tra le cause certamente il ritardo con cui si è giunti ad un’unica Asp distrettuale, un sistema di accreditamento che ha messo in competizione soggetti con costi di base diversi, la mancata attribuzione di un consistente numero di posti letto coperti dal fondo regionale non autosufficienza, il fallito tentativo di riequilibrare posti accreditati a gestione pubblica e privata a seguito di sentenza del Consiglio di Stato. Non ci sono stati interventi risolutivi rispetto al divario di costi tra gestione pubblica e gestione privata".
Il 16 dicembre è fissato un nuovo incontro, rispetto al quale i sindacati richiedono risposte chiare dai comuni dell'area faentina. Cgil e Uil affermano che "in mancanza di riscontri positivi", saranno valutate "le eventuali iniziative da intraprendere per la salvaguardia del ruolo e dell’operatività dell’Asp nell’interesse della comunità dell’area faentina". A sua volta Cisl Romagna ribadisce "l’importanza di una gestione pubblica di questi servizi", dichiarandosi disponibile a un confronto sulle "soluzioni che possono complessivamente garantire al meglio il livello dei servizi e le condizioni di fruizione, il personale che li eroga, il miglior impiego delle risorse, un ruolo pubblico nel governo e nella produzione di questi servizi".
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Asp faentina verso la privatizzazione? I sindacati: "Forti dubbi sul progetto, sia fatta chiarezza"
https://www.ravennatoday.it/economia/asp-faentina-verso-la-privatizzazione-i-sindacati-forti-dubbi-sul-progetto-sia-fatta-chiarezza.html
© RavennaToday
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Il leader della Cgil ha incontrato i lavoratori e le lavoratrici in assemblea permanente dal 28 novembre. “Queste battaglie riguardano tutto il sindacato”. Dopo lo sciopero generale la mobilitazione continua
Stabilizzare i precari del Cnr. Ai lavoratori e alle lavoratrici, in assemblea permanente dal 28 novembre, ha portato questa mattina (4 dicembre) la vicinanza e il sostegno di tutta la Cgil il segretario generale Maurizio Landini, accompagnato dalla leader della Flc Gianna Fracassi.
“Il Cnr, il maggior ente di ricerca italiano, non può basarsi - ha affermato Landini - sul lavoro precario: servono risposte immediate per tutti i 4 mila precari e precarie. La manovra in discussione in Parlamento, nel bloccare il turn over nel pubblico impiego, rende sempre più complessa la prospettiva occupazionale per centinaia di ricercatrici e ricercatori”.
Per questo, ha continuato, “alla presidente del Cnr chiediamo di assumersi la responsabilità di affrontare questo dramma occupazionale. Non investire sulla ricerca e su chi opera in questi settori significa condannare il nostro Paese a non avere alcun futuro”.
“Mai come oggi - ha proseguito il sindacalista - il superamento del lavoro precario deve diventare una battaglia non solo di chi è precario, ma di tutto il sindacato, mentre finora “il governo non ci ha ascoltato, siamo stati convocati a Palazzo Chigi quando la legge di bilancio era già stata presentata”.
"Questi temi, a partire dal superamento del lavoro precario, vogliamo farli vivere, per questo, la mobilitazione, dopo lo sciopero generale proseguirà e già nei prossimi giorni valuteremo le iniziative da mettere in campo”, ha concluso Landini.
Bologna, 04 dicembre 2024 Comunicato stampa
In Italia si continua a consumare suolo a ritmi vertiginosi
Nell’ultimo anno, al netto dei suoli rispristinati, il consumo è stato pari a 64 km2
21578 km2 di suolo sono occupati da cemento, asfalto e altre coperture artificiali,
il 7,16% di tutto il territorio nazionale
L’Emilia-Romagna è la quarta regione in classifica dopo Lombardia, Veneto e Campania, come percentuale di suolo consumato, ma seconda come incremento assoluto (815 ha) subito dopo il Veneto
Primato poco invidiabile a livello nazionale va a Ravenna che con l’aggiunta di altri 89 ettari, si pone tra i tre comuni italiani con il maggiore incremento tra il 2022 e il 2023
Legambiente “La legge 24/2017 sta dimostrando la sua totale inefficacia; la nuova Giunta si impegni ad una revisione del testo, partendo dall’adozione della proposta di legge di iniziativa popolare che abbiamo presentato ormai quasi due anni fa”
È stato pubblicato ieri il nuovo rapporto di ISPRA “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” che ogni anno fotografa la perdita di suolo e dei servizi ecosistemi ad esso connessi nel nostro Paese. Secondo i dati pubblicati, "nell'ultimo anno, le nuove coperture artificiali hanno riguardato ulteriori 72,5 Km2, ovvero, in media, circa 20 ettari al giorno. Un incremento del suolo consumato inferiore rispetto al dato dello scorso anno ma che si conferma al di sopra della media dell'ultimo decennio (2012-2022), pari a 68,7 km2 annulai. Il nostro paese, nell'ultimo anno, ha perso suiolo al ritmo di 2,3 metri quadri ogni secondo".
Tra le cause principali individuate dal Rapporto vi è la logistica che solo nel 2023 ha già consumato 504 ha, quantità pressoché identica a quella del 2022 (505 ha) che si aggiunge a un consumo cumulato dal 2006 di circa 5.606 ha, concentrati principalmente nel Nord-est del paese.
Considerando i costi annuali medi dovuti alla perdita di servizi ecosistemici forniti dal suolo (serbatoio di carbonio, regolatore del ciclo dell’acqua, riserva di biodiversità produzione di cibo e biomassa, solo per citarne alcuni), si può stimare, se fosse confermata la velocità media 2006-2023 fino al 2030, un costo cumulato complessivo compreso tra 173 e 212 miliardi di euro.
Nonostante l’approvazione nell’ormai lontano 2017 di un’innovativa – a dire dell’allora Presidente regionale– legge contro il consumo di suolo, l’Emilia-Romagna continua a impermeabilizzare il suo territorio a ritmi vertiginosi. Dall’indagine emerge infatti come sia in valori percentuali che assoluti la nostra regione si ponga ben al di sopra della media nazionale per suolo artificializzato. Ha la percentuale più alta a livello nazionale (52%) rispetto al consumo di nuovo suolo in aree a pericolosità idraulica media, e ha consumato altri 7,5 ha in aree a pericolosità da frana molto elevata, nonostante quanto accaduto negli ultimi 18 mesi suggerisca invece la necessità di una importante inversione di tendenza. La nostra regione inoltre registra il valore più elevato di consumo di suolo dovuto a nuovi cantieri e infrastrutture, sia in termini di impermeabilizzazione (19mila ha) che in termini di incremento rispetto al 2022 (+361 ha).
Venendo al dettaglio dei Comuni, Ravenna ha incrementato la sua superficie consumata di altri 89 ettari, ponendosi tra i primi tre comuni a livello nazionale per consumo di suolo, subito dopo Uta, in provincia di Cagliari e Roma. L’indagine di Ispra evidenzia che molto del suolo consumato si deve alla realizzazione di nuovo residenziale e agli accantieramenti nell’area portuale per la realizzazione della nuova ZLS (Zona di Logistica Speciale).
Ravenna detiene anche il primato di consumo di suolo a livello regionale, seguita da Reggio Emilia (+43 ha rispetto al 2022) e Forlì (+36 ha).
Tra i capoluoghi di regione Bologna si classifica al quarto posto, con +21 ha rispetto al 2022, subito dopo Roma (+71), Cagliari (+26) e Venezia (+23).
“La legge 24/2017 ha dimostrando tutta la sua inefficacia; la presenza di diverse scappatoie e l’inazione della regione nella realizzazione dei PTAV, hanno consentito ai Comuni di continuare a consumare suolo. Nemmeno le 4 alluvioni che hanno colpito la nostra Regione sembrano averci insegnato qualcosa – dichiara Legambiente – se ancora ci sono in previsione la realizzazione di nuove strade e autostrade, poli logistici, ipermercati…
Chiediamo alla Regione un cambio di rotta deciso, con la discussione e approvazione in assemblea legislativa della legge di Iniziativa popolare sul consumo di suolo, presentata ormai quasi due anni fa, una pianificazione regionale per quanto riguarda la logistica, una semplificazione per la riqualificazione di aree già impermeabilizzate e soprattutto il mantenimento delle misure penalizzanti per quei territori Comuni ove ancora non ci sarà un che non avranno approvato il PUG al 31/12/24”.
IN ALLEGATO: Presentazione Rapporto “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” - Edizione 2024 — Italiano
In Germania tre stabilimenti a rischio chiusura e migliaia di posti di lavoro in fumo. IG Metall: “Braccia incrociate in tutte le fabbriche”
I dipendenti della Volkswagen sono stati chiamati a sospendere il lavoro da lunedì 2 dicembre nelle fabbriche tedesche per opporsi alle migliaia di tagli di posti di lavoro pianificati. Lo ha annunciato il sindacato IG Metall. “Se necessario, questa sarà la battaglia contrattuale collettiva più dura che la Volkswagen abbia mai conosciuto”, ha avvertito il negoziatore del sindacato, Thorsten Groger, in un comunicato stampa diffuso al termine del periodo di dialogo sociale obbligatorio per 120 mila dipendenti del marchio.
Due giorni fa, il produttore, che sta preparando un drastico piano di risparmi, ha respinto una controproposta sindacale volta a ridurre i costi senza dover chiudere le fabbriche in Germania, portando a un inasprimento del dialogo sociale. “Gli scioperi di avvertimento inizieranno lunedì in tutte le fabbriche”, ha detto Groger, che ritiene la direzione “responsabile, al tavolo delle trattative, per la durata e l’intensità di questo confronto”.
In una dichiarazione separata, Volkswagen ha affermato di “rispettare il diritto dei dipendenti di partecipare a uno sciopero di avvertimento” e ha affermato di credere nel continuo “dialogo costruttivo” per “raggiungere una soluzione duratura e sostenuta collettivamente”. L’azienda precisa di aver “anticipato misure mirate per garantire gli approvvigionamenti di emergenza” durante lo spostamento, al fine di “limitarne il più possibile” l’impatto “sui nostri clienti, sui nostri partner e sui nostri impianti industriali”.
I rappresentanti del personale affermano che almeno tre stabilimenti Volkswagen sono a rischio di chiusura in Germania e decine di migliaia di posti di lavoro potrebbero essere persi, con i dipendenti rimanenti che dovranno accettare di tagliare i salari. Nel Paese, il marchio conta dieci stabilimenti di produzione di automobili e circa 300 mila dipendenti, di cui 120 mila del marchio Vw, il più colpito dal piano di risparmio. Fiore all’occhiello dell’industria automobilistica tedesca, la Volkswagen soffre, secondo gli esperti, per il rallentamento del mercato dei veicoli nuovi, per la concorrenza cinese, i modelli di batterie non sufficientemente attraenti e il costo del lavoro più elevato rispetto ai concorrenti.
Dopo il successo dello sciopero generale, il segretario generale Cgil chiede un cambio di rotta: “Meloni ci convochi per cambiare la manovra”
“Il punto è il governo cosa risponde ora alle 500 mila persone che sono scese in piazza venerdì. Ci deve essere una risposta”. Il segretario generale Cgil torna sullo sciopero generale di venerdì 29 novembre. “Per quel che ci riguarda bisogna aumentare la spesa sanitaria e bisogna agire sul fisco per andare a prendere le risorse per fare questi investimenti. Stiamo chiedendo al governo in modo esplicito che riconvochi un tavolo sulla legge di bilancio, così come chiediamo agli imprenditori di aprire le trattative sui rinnovi dei contratti”.
In 50 piazze dove ci sono state 500 mila persone “non è successo proprio nulla. Cgil e Uil da quel punto di vista lì non devono rispondere a nessuno. Le nostre sono manifestazioni democratiche in cui non è successo assolutamente nulla”. Così Landini risponde alle accuse del ministro Salvini, secondo cui le parole del segretario hanno incitato ai disordini.
L’episodio avvenuto a Torino “è avvenuto dopo le manifestazioni sindacali e non ha nulla a che fare con le manifestazioni sindacali. Quelle modalità di scendere in piazza non c’entrano nulla con noi. Non le abbiamo fatte, le condanniamo, non c’entrano nulla con la storia del movimento sindacale”.