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L'80 per cento degli intervistati dall'Osservatorio Futura conosce i cambiamenti climatici, ma non ha fiducia nei negoziati perché non portano a soluzioni

Niardo (Brescia) esondazione torrente Re Niardo (Brescia) 29 luglio, 2022 : A causa delle forti piogge, esondazione torrente Re, nella foto sacchi di sabbia posizionati davanti alle case per proteggerle dalle prossime ondate .



Foto di © Matteo Biatta/Sintesi Foto: L'esondazione del torrente Re (Brescia), di Matteo Biatta / Sintesi

Quanto ne sappiamo di crisi ambientale e cambiamenti climatici? E quanto li consideriamo importanti per il nostro futuro e per quello del pianeta? A giudicare dai risultati dell’indagine demoscopica realizzata dall’Osservatorio Futura della Cgil la risposta è tanto. Il tema è molto noto all’80 per cento degli intervistati (800 persone maggiorenni), mentre solo il 20 per cento non ne sa abbastanza, ed è rilevante per i tre quarti del campione: solo una piccola quota lo ritiene marginale. Quindi un problema che è ben presente agli italiani, li impensierisce e li preoccupa.  

Consapevolezza e attenzione

“Questo dato conferma che nella popolazione c’è una forte consapevolezza dei cambiamenti climatici, elemento che contrasta con la scarsa, anzi quasi nulla, attenzione della politica – dichiara Simona Fabiani, responsabile delle politiche per il clima, il territorio e l'ambiente, trasformazione green e giusta transizione della Cgil -. Da una parte c’è la società civile, i giovani dei Fridays for Future che percepiscono il climate change come una questione rilevante, dall’altra la politica che lo trascura e prende decisioni in direzione diametralmente opposta alla lotta e al contrasto”.

 

 

 

Focus eventi estremi

Entrando nel dettaglio del sondaggio, si scopre che le conseguenze maggiormente avvertite del riscaldamento globale sono i fenomeni metereologici estremi, come alluvioni e inondazioni, citati da circa l’80 per cento del campione. Molto conosciuti anche l’impatto sulle piogge e la siccità, seguiti dall’innalzamento dei mari con la conseguente erosione delle coste, a pari merito con le ondate di calore e l’aumento della mortalità.

“Dall’ultima tragedia che si è consumata a Ischia a tutti gli eventi estremi che colpiscono sistematicamente il nostro Paese, dalle frane, al dissesto del territorio, gli italiani dimostrano di avere una grande consapevolezza di questi problemi – aggiunge Fabiani -. Ma anche qui dobbiamo sottolineare come i governi non agiscano sul fronte della prevenzione e della mitigazione. Si parla sempre, troppo spesso, solo di ricostruzione ma non si fa nulla per ridurre l’impatto e le cause dei disastri. Continuando di questo passo, la conta delle calamità e dei morti sarà sempre maggiore”.

 

Foto: La frana di Ischia (Fabio Sasso, Avalon/Sintesi)

 

 

Cop 27, questa sconosciuta

Il sondaggio ha indagato anche la conoscenza che gli italiani hanno della Cop 27, la Conferenza della parti delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si è tenuta a novembre a Sharm el-Sheikh. Ebbene, solo il 7 per cento del campione si dichiara molto informato, il 49 lo è parzialmente, il 29 intende informarsi meglio. Il restante 45 per cento ha un’idea molto vaga, non è per niente informato o non esprime un’opinione. Inoltre, chi ha seguito anche sommariamente gli sviluppi concorda nell’affermare che i risultati conseguiti sono minimi e che si è in generale lontani dal trovare una soluzione concreta e politica al problema.

Sfiducia nei negoziati

“Pur avendo ben chiari cause ed effetti dei cambiamenti climatici, le persone sanno davvero poco di quello che si discute e si fa alle conferenze internazionali - dice ancora Fabiani -. Questo dimostra da un lato che probabilmente l’informazione non dà sufficiente spazio ai summit, dall’altro che c’è sfiducia nei confronti di questi negoziati.  Una sfiducia più che giustificata: sono 27 anni che le Cop non portano a risultati concreti. Inoltre, non prevedono la partecipazione attiva della società civile, dei movimenti, dei sindacati, che dovrebbero e vorrebbero partecipare e dare il proprio contributo”.  

Le azioni da fare

Ma su che cosa dovrebbero concentrarsi i negoziati Onu sul clima? Secondo gli intervistati, è urgente eliminare le fonti fossili, rispettare i diritti umani, incentivare l’equità, aiutare i Paesi in via di sviluppo. Le azioni che la politica può intraprendere sono tante: sostenere la ricerca per lo sviluppo di tecnologie e competenze green, promuovere l’economia circolare, investire nelle rinnovabili e sostenere la transizione ecologica. Ma anche il singolo può fare molto: può puntare sulla raccolta differenziata, introdurre miglioramenti per l’efficientamento energetico nella propria abitazione, limitare l’uso dell’auto e impiegare i mezzi pubblici.

 

 

 

Sindacati in prima linea

“Le risponde fornite dimostrano che equità e giustizia sociale sono vissute in modo strettamente connesso, che non c’è giusta transizione senza rispetto dei diritti umani – conclude Fabiani -. E poi c’è una lettura positiva della transizione, come di un’opportunità che però il nostro Paese rischia di non cogliere. Infine, è interessante quel 55 per cento del campione che ritiene rilevante e determinante il ruolo del sindacato nel contrasto ai cambiamenti climatici: noi ci stiamo lavorando da anni e ne siamo convinti al cento per cento”.

Tra le azioni che si richiedono ai sindacati per contrastare il cambiamento climatico, rafforzare il confronto con il governo e gli enti locali, fare contrattazioni con le aziende per ridurre l’impatto ambientale, avere un ruolo attivo nell’informare imprese, lavoratori e cittadini sulle opportunità riconducibili ai temi economico-ambientali.

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Fanno tutto loro. Decidono, e la politica si inchina.

 

 

Pensavamo che almeno nella settimana di Natale i colossi del fossile avrebbero stabilito una tregua al loro assalto ai territori e alla loro instancabile “corsa all’ oro”, rappresentata dal pressoché totale via libera che il nuovo Governo (per altro con il beneplacito di gran parte del mondo politico e dei poteri locali) ha dato a tutto ciò che è sfruttamento delle fonti fossili. 

Comparsa su Milano Finanza, e giustamente ripresa dagli organi d’informazione locali, la notizia del patto fra cugini Eni e Snam, per la realizzazione dell’ impianto di captazione e cattura dell’ anidride carbonica non è in realtà una grande novità, dal momento che a Ravenna (e non solo) si parla di tale struttura ormai da qualche anno.

Quello che colpisce è il “senso politico” dell’annuncio. Con l’ esibita stretta di mano fra gli amministratori delegati, il dott. Descalzi di Eni e il dott. Venier di Snam, si suggella ciò che le mobilitazioni ambientaliste denunciano da sempre, e su cui i politici farebbero bene a ragionare e cominciare a porre rimedio, anziché sbracciarsi per mostrarsi in prima fila ad applaudire. E cioè che il potere reale, in questo Paese - e nel nostro territorio forse un po’ più che in altri – ce l’ hanno loro, le grandi imprese del fossile, alle quali si consente sostanzialmente tutto, si continuano ad erogare sugosi sussidi, si chiedono con il cappello in mano modesti contributi fiscali (che poi per altro essi pagano solo un po’) sugli ingenti extraprofitti maturati negli ultimi tempi, si consente di aggirare procedure e vincoli.

E si arriva addirittura di sostenere – non sappiamo se in buona fede - che le maxi-opere proposte, che ci legano mani e piedi alla schiavitù del sistema delle fonti fossili, andrebbero nel senso della transizione ecologica. Lo stesso comportamento che stiamo vedendo per il programmato arrivo del rigassificatore, lo osserviamo per il Ccs: una politica che si inchina alle decisioni dei superpoteri fossili, e anche quando è tentata di esprimere delle critiche, in genere lo fa “camminando sulle uova” per il timore di compromettere equilibri e tornaconti.

Ci chiediamo se le personalità politiche (e sindacali) che oggi si affannano a salutare la “grande notizia”, e sostenere che l’impianto Ccs può dare un contributo alla transizione energetica verso la decarbonizzazione, abbiano mai dato un’occhiata agli studi scientifici al riguardo.

Impianti di Ccs sono già attivi in varie parti del mondo, ma con risultati assolutamente altalenanti. Alto costo energetico e rischio microsismico compaiono fra gli ostacoli principali. Ma dato che secondo il presidente Biden questi impianti in alcuni settori sono indispensabili, ecco che segnalazioni, approfondimenti, allarmi, controproposte che scienziati di tutto il mondo avanzano, possono rapidamente essere ridotte a cartastraccia. Così, anziché varare seri piani di riduzione consistente e veloce delle emissioni, ci si arrabatta per “compensarle”.

Compito di chi amministra, ai vari livelli, sarebbe quello di mettere sui piatti della bilancia tutti i pro e i contro e considerare con la massima attenzione che - per esempio – l’impianto texano di Petra Nova è risultato fallimentare per i costi insostenibili, quello Chevron in Australia ha dato risultati massicciamente inferiori alle aspettative, e che in Canada si è riscontrato che le emissioni prodotte erano addirittura superiori a quelle catturate.

Parlare di tecnologie a emissioni negative – fra i quali rientrerebbero gli impianti di cattura del carbonio – è nella percezione comune un tema sicuramente affascinante. Questi giganteschi macchinari, secondo i sostenitori, ci libererebbero infatti di significative quantità di carbonio, per poi confinarle sottoterra. Il fatto è che, come avviene spesso, i benefici sono nettamente superiori agli aspetti negativi solo per i profitti di chi li costruisce e li gestisce.

Infatti, realizzare questi impianti, denominati Carbon capture storage (Ccs), vicino ai camini centrali delle centrali inquinanti – come la maggior parte delle centrali a carbone e a gas, e diversi tipi di strutture industriali – per catturare le emissioni istantaneamente, significa andare incontro ad alcuni non piccoli problemi: il primo è l’elevato costo energetico. Costruire e far funzionare questi manufatti significa a sua volta bruciare energia e produrre emissioni. Inoltre va detto, come testimoniano personalità di grande e specifica esperienza, che generalmente si usa l’ammoniaca per separare il carbonio, e questo sistema genera numerose perdite e rilasci, e danneggia la natura e la salute umana. Si aggiunga che il biossido di carbonio catturato riguarderebbe un’infima quantità di quello continuamente prodotto e immesso nell’aria, dal momento che interverrebbe solo su alcune strutture industriali e non certo sull’insieme delle fonti inquinanti. Pertanto il contributo ad abbassare il tasso di CO2 (e frenare la crisi climatica) sarebbe infinitesimale.

E poi, dove andrebbe a finire il carbonio, una volta catturato? In una rete, simile a quella del gas, per trasportare e stoccare il carbonio in allocazioni geomorfologicamente adeguate, nel nostro caso i pozzi metaniferi esausti. Anche qui, incorrono due rischi non da poco: la possibilità di eventi sismici e il problema della fuoriuscita del carbonio dal sottosuolo.

Il tutto investendo fior di miliardi, che potrebbero ben altrimenti essere collocati, e legandoci in maniera sempre più inestricabile al sistema delle fonti fossili.

E’ chiaro che di fronte a queste scelte non può che manifestarsi la più vivace opposizione ambientalista e della società civile agli impianti Ccs. Al momento, i fallimenti sembrano segnare lo sviluppo di questa tecnologia, la cui prosecuzione non farà che ritardare ulteriormente le scelte nella giusta direzione, quella dell’investimento vero sulle rinnovabili, sulla produzione energetica diffusa e decentrata e sul risparmio e l’efficientamento energetico.

E’ chiaro che la ricerca può e deve andare avanti: è possibile che in futuro ci sia la maniera di costruire gli impianti con una tecnologia che vada a rimuovere il diossido di carbonio direttamente dall’atmosfera, un sistema molto più avanzato della Ccs, ma per ora è solo un’ipotesi oggetto di ricerca specialistica. E che comunque solleva anch’essa degli interrogativi, soprattutto per l’alto costo energetico.

Infine, Eni e Snam dichiarano orgogliosamente che la scelta dell’ impianto di Ccs produrrà cinquecento posti di lavoro. Vorremmo sapere come sono stati ricavati questi dati, e sinceramente non ci crederemo finché non li avremo contati. Ma più ancora, vorremmo che contestualmente venisse rimarcato che una politica di promozione vera e di realizzazione del sistema basato sulle rinnovabili di posti di lavoro ne produrrebbe nettamente di più, come testimoniano qualificate ricerche. Anche su questo ci sentiamo di criticare severamente sia le prese di posizione politiche che plaudono acriticamente alle decisione dei colossi del fossile, sia l’atteggiamento, a dir poco tiepido, manifestato da realtà politiche che affermano di sentirsi vicine alle mobilitazioni ecologiste.

In conclusione, quelle che vanno sviluppate sono le alternative energetiche ai combustibili fossili.

I combustibili fossili non hanno futuro, lo dice ormai da decenni la comunità scientifica. E continuerà a sostenerlo la nostra mobilitazione, a Ravenna, in Italia, e in tutto il Pianeta.

Coordinamento ravennate “Per il Clima – Fuori dal Fossile”

Ravenna, 20 dicembre 2022

 

 

Le sue vicende mostrano quanto è necessaria una regolamentazione delle piattaforme per evitare una sistematica disinformazione senza alcuna possibilità di controllo

Twitter logo on smartphone screen on black textured background. Twitter logo on smartphone screen on background of dollars. Twitter is a microblogging and social networking service. Elon Musk closes Twitter acquisition deal. Moscow, Russia - October 27, 2022. 

A poco più di un mese dall’acquisto di Twitter Elon Musk sta dimostrando, semmai ce ne fosse necessità, di quanto sia necessaria una regolamentazione delle piattaforme e di come si possa produrre una sorta di sistematica disinformazione e censura senza alcuna possibilità di controllo. Come è noto Musk ha appena bandito gli account di nove giornalisti dal social, senza un spiegazione, tra cui firme importanti di giornali come il New York TimeWashington Post o Cnn. Ovviamente Musk sospende anche l’account del suo più diretto concorrente, Mastodon, la piattaforma su cui iniziano a migrare molti degli utilizzatori di Twitter

In aggiunta il nuovo proprietario di Twitter pare voler impedire a chi utilizza la propria piattaforma la possibilità di utilizzarne link che rimandino ad altre piattaforme, il che pare davvero singolare. Bisogna tenere conto che molti giornalisti bannati da Musk hanno un gran numero di follower e utilizzano anche Twitter per la propria attività. Dunque essere estromessi, peraltro senza indicazioni specifiche del motivo, rappresenta un danno anche dal punto di vista lavorativo. Ma questi sono i rischi di piattaforme che possono tranquillamente informare e disinformare e decidere chi sospendere e chi ammettere: valeva per l’eliminazione arbitraria dell’account di Trump tanto quanto per l’attuale riammissione di account che propagandano messaggi filoazisti.

 

 

In tutto questo lo stesso Musk lancia un sondaggio tra gli utenti rispetto all’opportunità delle proprie dimissioni da Twitter e, se dovesse decidere di essere coerente con il risultato del sondaggio, si dimetterà (e la sola notizia pare aver fatto salire le azioni della Tesla). Insomma, non c'interessa tanto la storia di Elon Musk, quanto il fatto che la medesima sembra l'esempio eclatante di come la tecnologia privata e senza controllo e governance possa creare contraddizioni insanabili. 

Quanto si è liberi di esprimere davvero la propria opinione su un social privato? Quanto valgono i codici di autoregolamentazione? In Europa esiste un codice di condotta ma rimane sempre il tema estremamente delicato del rapporto tra la libertà di espressione e la necessaria rimozione di contenuti o di profili che propagandino argomenti discriminatori, diffamatori, razzisti. Di fatto ciò che risulta sempre più chiaro è che molta parte dell’informazione, e della disinformazione, passa dai social e che singoli, privi di vincoli, possono determinare, influenzare, indurre a decidere, fornendo informazioni a propria scelta, decidendo chi parla e chi no.

È bene ricordare che sempre Musk, con al sua SpaceX, ha messo in campo Starlink ossia un progetto di messa in orbita di una costellazioni di satelliti per un accesso globale a internet a banda larga: si tratta di quei puntini bianchi tutti in fila che sicuramente a qualcuno è capitato di osservare in cielo. Insomma, la connettività spaziale in mano privata, e a oggi pare che l’azienda abbia lanciato già 3.449 satelliti. Del resto un paio di mesi fa proprio su Twitter Musk aveva spiegato che Starlink stava spendendo quasi 20 milioni di dollari al mese per il mantenimento dei servizi satellitari in Ucraina, per garantire l’utilizzo di internet, chiedendo cosi ovviamente un supporto al governo degli Stati Uniti che pare aver finanziato l’invio di ulteriori satelliti.

Insomma, parlare oggi di Elon Musk è l’occasione per ribadire che il punto rimane sempre il medesimo: sulla tecnologia, sul suo utilizzo, si gioca una partita che coinvolge gli assetti politici globali, la tenuta dei princìpi democratici, la formazione delle opinioni, la libertà di espressione, e anche la possibilità o meno di rendere centrale il profitto o il benessere degli esseri umani. La Cgil continua a battersi perché la tecnologia sia a servizio dell’umanità, portando la propria posizione sia a livello nazionale che nell’ambito europeo che, in questa fase, appare quello più impegnato per una regolamentazione dello spazio digitale nel rispetto dei valori fondanti del nostro continente. Non è un tema su cui è ammessa distrazione. Trasparenze, regole, affidabilità econoscenza sono e saranno i veri elementi di potere su cui si giocheranno le relazioni tra stati e tra persone.

Cinzia Maiolini è responsabile Ufficio 4.0 Cgil

Stretta di mano Descalzi-Vernier in nome del fossile: gli investimenti sul CCS allontanano gli obiettivi di decarbonizzazione, legandoci a doppio filo ai combustibili fossili 

 

CCS tecnologia attualmente fallimentare, serve solo a favorire il business del fossile, Legambiente: "ennesimo atto di greenwashing delle due partecipate di stato per ancorare il paese, già in grave crisi climatica, alle fonti fossili.” 

Legambiente Emilia-Romagna APS | Bologna 

Ravenna si conferma ancora una volta Capitale del fossile, dopo la stretta di mano fra Descalzi e Vernier di ieri che ha sancito la collaborazione tra Eni e SNAM per la prima fase di avvio del progetto di CCS (Carbon Capture and Storage) sulla Costa Ravennate. In particolare, il progetto prevede il sequestro delle emissioni prodotte dall’impianto di lavorazione di gas a Casal Borsetti, convogliate poi verso la piattaforma di Porto Corsini.  

 

Ma non è tutto oro ciò che luccica: sebbene nelle note stampa dei due A.D. si legga di una tecnologia matura, pronta all’utilizzo e che sta avendo notevoli sviluppi in Europa, basta una veloce rassegna stampa a smentire le loro posizioni. Oltre a rivelarsi una tecnologia acerba e fallimentare, il CCS si dimostra essere il meccanismo perfetto per continuare il business-as-usual del fossile. Ma veniamo al dunque.   

 

In Australia, il colosso del fossile Chevron ha investito 3 miliardi, con sussidi statali per 60 milioni, per un impianto di cattura e stoccaggio che doveva raggiungere un target dell’80% di efficienza nella cattura: dopo cinque anni la stessa compagnia ha dovuto rendere conto del fallimento del più grande impianto di CCS al mondo, che dopo un avvio tortuoso, dal 2019 al 2021 ha catturato nemmeno la metà del target proposto.  

 

Uno studio recente dell’Institute for Energy Economics and Finance ha preso in esame 13 progetti di punta in campo CCS a livello mondiale, responsabili per il 55% delle operazioni nel settore. Dei 13 impianti, 7 non hanno raggiunto i target, 2 sono falliti e 1 è in stato di fermo. Inoltre, lo studio mostra che, lungi dall’essere una tecnologia nuova e innovativa, il CCS è impiegato da oltre 50 anni per il recupero di gas, riutilizzato poi per facilitare il pompaggio da altri pozzi. Lo studio mostra infatti come il 73% della Co2 catturata venga utilizzata in processi di Enhanced Oil Recovery (EOR).  

 

Dunque, la maggior parte dello stoccaggio serve per estrarre altro gas vergine, e non per usi diretti.  

Altro punto di discussione è l’efficienza e la sostenibilità economica di un impianto CCS rispetto alle alternative legate alle rinnovabili. Allo stato attuale, gli impianti di cattura lavorano verso un obiettivo di efficienza al 90%, raggiunto in pochi singolari casi. In vista però degli obiettivi di totale decarbonizzazione, un 90% di efficienza non è più sufficiente.  

Tuttavia, per la legge dei rendimenti decrescenti, ogni gradino verso la piena efficienza degli impianti CCS implica investimenti economici enormi. Risorse che potrebbero essere investite sulle rinnovabili – come nel caso del progetto di Agnes sulla costa ravennate – risolvendo il problema delle emissioni a monte. 

 

“Uno sguardo seppur limitato alla letteratura scientifica a livello internazionale, e una comparazione con casi significativi, mostra l’inadeguatezza di questa tecnologia a raggiungere i target di decarbonizzazione.” - commenta Legambiente Emilia-Romagna - “Piuttosto, il CCS si presenta come l’ennesimo atto di greenwashing delle due partecipate di stato per ancorare il paese, già in grave crisi climatica, alle combustibili fossili.” 

LA CAMPAGNA. Le 74 proposte della "contro-finanziaria" per 54 miliardi di euro a saldo zero: giustizia fiscale, welfare, istruzione e sanità. Come usare la spesa pubblica per l'ambiente, i diritti, la pace contro le ricette della «Melonomics

Sbilanciamoci: manovra iniqua, un’altra economia è possibile

La manovra non c’è ancora, la controfinanziaria sì. Il Pos, lo Spid e le altre cialtronate che hanno fatto capolino nella legge di bilancio sono state usate per occultare i contenuti reali di una manovra che attacca i poveri, favorisce l’evasione e aumenta le ingiustizie fiscali tra lavoratori dipendenti e autonomi, accentua la precarizzazione della forza lavoro e dà solo le briciole a sanità, istruzione e Welfare.

IL SENSO DELL’AZIONE del governo dell’estrema destra leghista e postfascista, e della sua maggioranza, può essere compreso da oggi leggendo online le 74 proposte avanzate dalle 51 associazioni che compongono la campagna Sbilanciamoci. La «Controfinanziaria» da quasi 54 miliardi di euro sarà presentata stamattina alla Camera e contiene una legge di bilancio sostenibile ed equa fondata sull’ambiente, i diritti e la pace.

L’OPPOSTO DEL GOVERNO Meloni che invece ha aumentato le spese militari (800 miliardi), fa sconti fiscali (con la «flat tax»), attacca i poveri (massacrando quella misura di Workfare chiamata impropriamente «reddito di cittadinanza») e estende l’uso del contante fino a 5 mila euro. La rottamazione delle cartelle fiscali sotto i mille euro è definita come un «atto indiscriminato» che favorisce sia coloro che non possono pagare, sia coloro che sono in condizione di farlo. Segna «l’abdicazione del ruolo dello Stato nell’assicurare la legalità e il rispetto del patto tra contribuenti e cittadini».

E POI C’È IL SEMPRE verde sogno degli speculatori cari alle destre sul Ponte sullo Stretto; il ritorno dei voucher e l’innalzamento del limite delle prestazioni occasionali da 5mila a 10mila euro; la riduzione dei fondi al servizio civile e alla cooperazione allo sviluppo dell’8%. Oggi il finanziamento è di poco superiore ai 150 milioni nel 2023 e nel 2024, somma che non è sufficiente a far svolgere il servizio civile a tutti i ragazzi e le ragazze la cui domanda è stata accolta: quest’anno 71 mila.

SONO INTERESSANTI le osservazionidi Sbilanciamoci sulla voce più «pesante» della manovra di quest’anno: le misure contro il caro-energia per 21 miliardi sui 35 complessivi. Questi fondi scadranno tra tre mesi. Dopo i quali, in assenza di un cambiamento del quadro macro e geo-economico della guerra e dell’inflazione, sarà necessario recuperare altre risorse, probabilmente dai tagli allo Stato sociale, alla sanità e dai salari. Queste misure sono la continuazione di quelle adottata dal governo Draghi e non affrontano in modo strutturale il problema dei costi dell’energia, limitandosi a una misura parziale per la tassazione degli extra-profitti per di più limitata rispetto a quella fallimentare decisa da Draghi. La «Melonomics» non fa nulla sulle energie rinnovabili e conferma la dipendenza dal capitalismo fossile evocando trivellazioni, rigassificatori e dipendenze dagli imperialismi economici dei paesi del Golfo.

OLTRE ALLA CANCELLAZIONE della «flat tax» Sbilanciamoci propone una imposta patrimoniale progressiva a partire dallo 0,5% sui patrimoni sopra il milione e di euro e un’imposta di successione ispirata allo stesso principio. Prevista anche una riforma delle aliquote Irpef con l’aumento dell’imposizione fiscale dei redditi sopra i 100 mila euro (almeno al 50%) e la riduzione sotto i 28 mila.

IN CONTROTENDENZA con il militarismo egemone Sbilanciamoci propone la riduzione di 5,05 miliardi della spesa militare con risparmi sia sul personale che sulla produzione e acquisto di nuovi sistemi d’arma e riduzione delle missioni militari. E chiede di destinare almeno un miliardo di euro alla cooperazione allo sviluppo, rafforzando i finanziamenti per il servizio civile, i corpi civili di pace, la riconversione dell’industria bellica, la valorizzazione dei territori liberati dalle servitù militari.

SULL’ISTRUZIONE la proposta è destinare almeno due miliardi di euro all’edilizia scolastica e ai livelli essenziali delle prestazioni. Si chiede l’introduzione di un reddito di formazione, la gratuità dell’università e il trasporto pubblico gratuito per gli studenti. E il rilancio della ricerca nel momento in cui rischiano di saltare 5 mila assegnisti di ricerca.

SULLO STATO SOCIALE Sbilanciamoci ipotizza un aumento al 7% del Pil destinato alla spesa per la sanità pubblica, l’aumento di 500 milioni per la non autosufficienza e per le politiche sociali, per il sostegno agli enti locali e per il diritto all’abitare che rischia di essere negato dalla mancanza di finanziamenti per il fondo per gli sfratti causati dalla morosità incolpevole. Sulle politiche migratorie è stata inoltre avanzata un’altra proposta in controtendenza: chiudere i Centri di permanenza per i rimpatri e destinare i conseguenti fondi a favore del soccorso in mare e di politiche di accoglienza diffusa.

SUL LAVORO e sulle imprese è prospettato un aumento del fondo per l’occupazione e la formazione, un altro da 35 milioni per la sicurezza sui posti di lavoro. Strettamente legata è la proposta sull’ambiente: usare 4 miliardi di riduzione dei «sussidi ambientalmente dannosi» a favore di un fondo nazionale per la decarbonizzazione. Sarebbe questo un primo passo verso un’altra economia, la grande assente dal dibattito politico.

 

Il discorso integrale del segretario Maurizio Landini all'udienza della Cgil in Vaticano con Papa Francesco

 

antità, Le rivolgo il saluto della CGIL una organizzazione sindacale di donne e uomini, laica, programmatica, democratica, plurietnica, nata alla fine dell’800 e che oggi conta 5 milioni di iscritti, e La ringrazio di cuore di aver accettato di incontrarci e ringrazio Padre Leonardo Sapienza, Padre Giovanni Lamanna, Padre Franco Imoda, Padre Davide Cito, il Dottor Manuel Sanchez, il Dottor Bruno Izzi e il Dottor Giuseppe Piraino per averci aiutato a realizzare questo incontro.

Un sindacato di strada

Noi vogliamo essere un sindacato di strada per affermare i diritti della persona nei luoghi di lavoro e nel territorio. Ci rivolgiamo a Lei perché, seguendo il suo insegnamento, quello che ha detto e in particolare avendo letto attentamente le Sue encicliche “Laudato Si’” e “Fratelli tutti”, abbiamo trovato una grande consonanza sui problemi, sulle preoccupazioni che oggi travagliano l’umanità e il mondo. La Sua costante ricerca del dialogo tra diversi, l’invito alla fratellanza e del prendersi cura degli altri sono la condizione per realizzare, qui ed ora, quella rivoluzione culturale e quella trasformazione sociale di cui anche noi avvertiamo il bisogno per dare un futuro al nostro pianeta.

Un cambiamento profondo fondato su un diverso e gioioso rapporto tra uomo e natura, su un nuovo umanesimo, non sulla logica del mercato e del profitto, ma sul superamento dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Ci convince quella idea di ecologia integrale che è una nuova visione economica, sociale ed ambientale che pone al centro la persona, i suoi diritti e l’ambiente respingendo la cultura dello scarto.

Costruttori di pace

Ci muove innanzitutto la volontà comune di essere costruttori di Pace e mettere fine a una guerra, causata dalla grave invasione russa, di cui la prima vittima è il popolo ucraino. Un conflitto armato che torna nel cuore dell’Europa e che si aggiunge a quelli in corso da tempo in Africa, Medio Oriente e America Latina. Tanto che Lei ha giustamente detto che siamo nel pieno di una “terza guerra mondiale combattuta a pezzi”. Dall’inizio di questo drammatico conflitto, si rincorrono dichiarazioni e minacce di ricorso all’arma nucleare e quando si supera questo limite non ci sono guerre giuste o sbagliate perché è in gioco il futuro della vita sul pianeta.

Siamo contrari alle politiche di riarmo perché è il momento di investire sulla pace, sulla diplomazia e sulla qualità della vita. È il momento che tutti si operino per far tacere le armi, per un cessate il fuoco almeno nel periodo di natale cattolico e quello ortodosso finalizzato a conquistare un negoziato. È il momento di rilanciare l’appello promosso nel 1955 da Einstein e Russel, anche da lei ripreso nella prima settimana del conflitto, che chiedeva a tutti i governi del mondo di rinunciare alla guerra e “trovare i mezzi pacifici per la soluzione di tutte le controversie”.

Accoglienza e solidarietà

Guerre, crisi ambientale, carestie, ingiustizie sociali colpiscono in primo luogo i Paesi più poveri costringendo tante persone, a lasciare le proprie terre. Fuggono sperando in un futuro migliore. Noi, insieme a tante associazioni laiche e cattoliche, abbiamo portato aiuti – medicinali e viveri – e abbiamo contribuito a dare vita ai corridoi umanitari in Ucraina per aiutare tante persone a fuggire da quella guerra. Noi non guardiamo il colore della pelle, la forma degli occhi di donne, uomini, bambini che fuggono dalla violenza e dalla fame del mondo. L’accoglienza e la solidarietà noi cerchiamo di praticarla quotidianamente con la nostra azione, con aiuti concreti a sostegno delle persone fragili per renderle protagoniste del cambiamento della loro condizione.

In un Paese come l’Italia dove calano le nascite ed aumentano gli anziani, in cui ogni anno sono di più i giovani italiani costretti ad andare all’estero a lavorare che i migranti che si fermano nel nostro paese, non è vero che gli stranieri ci rubano il lavoro. Solidarietà ed accoglienza sono necessarie tanto più oggi, quando crescono le disuguaglianze basate, certo, sul reddito e sulle quantità di ricchezza, ma anche sulla qualità della vita, sull’accessibilità alle risorse naturali, terra, cibo, acqua, sulla possibilità di difendersi dai disastri ambientali.

 

 

La centralità del lavoro

Il lavoro, inteso come realizzazione e dignità della persona, è stato svalorizzato dall’attuale modello economico e sociale tanto che si è poveri anche lavorando. La stessa rivoluzione tecnologica in atto potrebbe offrire migliori condizioni di vita e di lavoro investendo sull’intelligenza e l’autonomia dei lavoratori. Invece si stanno creando nuove divisioni tra chi concentra sapere e conoscenza e chi – la maggioranza – svolge funzioni e mansioni ripetitive ed alienanti.

Ed ancora nell’anno 2022 si continua a morire sul lavoro. Sono più di 1.000 le persone morte quest’anno. Ogni giorno tre persone che vanno a lavorare non rientrano più a casa la sera. Questa è una vera e propria strage che va fermata. Rimettere al centro il lavoro per costruire un nuovo modello sociale ed economico, in cui a tutte le forme di lavoro sia garantito un lavoro dignitoso, una giusta retribuzione, la libertà di espressione, la sicurezza e il riposo, le pari opportunità tra uomo e donna, l’informazione e la partecipazione alle scelte dell’impresa.

È centrale conquistare il diritto all’istruzione e alla formazione permanente, durante tutto l’arco della vita, non solo per l’aggiornamento professionale ma perché l’accesso alla cultura e alla conoscenza è un elemento fondamentale per la libertà e l’autonomia delle persone, per estendere e migliorare la qualità stessa della democrazia e della partecipazione. Centralità, quindi, della persona, la sua predominanza sull’economia, sul mercato, sul profitto sono i presupposti irrinunciabili di uno sviluppo diverso.

Non un lavoro qualunque esso sia ma stabile, finalizzato alla difesa e al risanamento del territorio, alla tutela dell’ambiente, alla mobilità collettiva e sostenibile, alla salute, alla cultura, alla conoscenza e alla formazione. Proponiamo un’idea dell’impresa in cui tutti i soggetti possono essere protagonisti attivi ed in cui prevale la responsabilità sociale. È il momento di ridistribuire al lavoro la ricchezza che produce, di tassare la rendita finanziaria e di colpire la speculazione.

Insieme per la pace e la giustizia sociale

È stato per noi importante e un fattore di grande gioia vedere insieme il 5 novembre scorso in Piazza San Giovanni a Roma le bandiere rosse della Cgil e quelle di tante associazioni cattoliche. Quella bellissima giornata ha reso evidente l’impegno comune e il percorso che possiamo fare insieme – laici e cattolici – per cambiare una società fondata sulla competizione, l’egoismo, lo sfruttamento, le tante forme di solitudine, per affermare, invece, il valore dell’eguaglianza, della differenza di genere, della fratellanza e del riconoscimento delle diversità quale fondamento dell’eguaglianza stessa. Come Lei ha detto “oggi abbiamo bisogno di costituirci in un ‘noi’ che abita la Casa comune”.