L'incontro promosso dalla Cgil. Serve una grande mobilitazione per evitare che i progetti di riforma stravolgano la Costituzione
Concordano i partecipanti all’incontro su presidenzialismo e autonomia promosso dalla Cgil nazionale: occorre avviare una grande mobilitazione unitaria per impedire che i progetti di riforma stravolgano la Costituzione, rompendo con l’assetto di democrazia partecipata e parlamentare del ’48.
Non solo. Il diverso assetto istituzione e di forma di governo proposto dalla maggioranza in Parlamento, ma non nel Paese, romperebbe l’unità nazionale, renderebbe i diritti fondamentali non più esigibili da tutti i cittadini e le cittadine, approfondirebbe i divari e le diseguaglianze non solo territoriali ma anche sociali; inoltre sancirebbe la fine del contratto collettivo nazionale di lavoro, con essa verrebbero meno i diritti del lavoro e nel lavoro. Frammentazione del Paese, verticalizzazione del potere e plebiscitarismo, al posto della democrazia rappresentativa e partecipata.
Certo, hanno convenuto sia i dirigenti sindacali che gli esperti riuniti nella Sala Di Vittorio di Corso d’Italia, il Parlamento, per Costituzione luogo della rappresentanza e della partecipazione popolare, è assai indebolito da anni di decretazione d’urgenza a colpi di fiducia e da riforme elettorali, che l’hanno allontanato dagli elettori, per non parlare della diminuzione dei parlamentari per “risparmiare”.
Ma se questa è la ragione della crisi democratica che attraversa l’Italia, per Cristian Ferrari, segretario nazionale della Cgil che ha introdotto i lavori della mattinata, “non si risolve con l’ingegneria istituzionale. Dovremmo piuttosto tornare allo spirito originario della Costituzione restituendo centralità al parlamento, ricostruendo in quella sede una vera dialettica politica e un rinnovato rapporto con il Paese e la società, a partire da partiti radicati sul territorio, democratici e realmente partecipati”.
Per la Cgil, la proposta di riconoscimento di autonomia differenziata predisposta dal governo “è un attacco all’unitarietà dei diritti che porterà a una inaccettabile cristallizzazione dei divari esistenti o addirittura al loro ulteriore allargamento”. “È necessario, invece, promuovere un'effettiva definizione e determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni, che non possono essere individuati partendo dal presupposto che vanno mantenute ferme le risorse stanziate fin qui, né con una procedura tecnica che non tenga in considerazione la loro ragion d’essere: uno strumento volto a ridurre le disuguaglianze. Affinché ciò accada, occorre un serio investimento aggiuntivo di fondi nel sistema pubblico, in modo da garantire a tutti i cittadini l’esigibilità dei diritti fondamentali, a partire da quelli alla salute, all’istruzione, all’assistenza, al lavoro e alla mobilità. Va quindi aumentata la spesa nei troppi territori in cui sono ancora inesigibili, nel rispetto dell’unico principio su cui deve fondarsi la distribuzione delle risorse tra Stato e Regioni, quello perequativo”.
Accoglie e rilancia, il presidente dell’Associazione Salviamo la Costituzione: aggiornarla e non demolirla, l’idea della Cgil di dare a un movimento amplio e inclusivo che contrasti la volontà di demolizione della Carta. Il costituzionalista dell’Università di Roma boccia sia il presidenzialismo, anche se non è ben chiaro quale sia quello previsto dal centrodestra, che l’autonomia del ministro Calderoli: “Una babele in cui verrebbero sacrificate proprio le ragioni delle differenziazioni. È vero – conclude il professore – la nostra Costituzione è da attuare, cominciamo dai diritti delle persone e non dai poteri delle regioni in lotta tra loro. Evitiamo di eleggere capi, pensiamo invece a dare forma al parlamento bistrattato”.
Grande incompiuta dei decenni passati, secondo la segretaria generale della Fp Cgil, è la riforma del decentramento amministrativo, cominciata negli anni '70 dello scorso secolo e che ha avuto il suo apice nei '90. Riforma incompiuta, perché mentre decentravano funzioni si indeboliva la pubblica amministrazione. Oggi, una delle ragioni dei divari territoriali sta proprio qui, in enti locali privi di personale; se tra le tante la pandemia lascia una eredità, è anche quella che bisognerebbe avere la garanzia delle funzioni a ogni livello. “Il funzionamento della macchina amministrativa è precondizione – ha detto –, altrimenti avremo una cittadinanza differenziata”. Ma c’è un'altra preoccupazione grande: “L’autonomia differenziata sancirebbe la fine del contratto collettivo nazionale di lavoro”.
L’economista della Scuola Normale superiore descrive un’Italia impoverita e in declino, che rischia di sprecare l’opportunità del Pnrr per l’incapacità di delineare una politica industriale, per non saper fare del welfare un’opportunità anche dal punto di vista economico e per non saper indirizzare le risorse pubbliche, senza che a deciderlo siano i grandi soggetti privati. E, afferma Mario Pianta, l’autonomia differenziata non farebbe altro che acuire declino e impoverimento, non farebbe altro che approfondire divari e diseguaglianze.
Il racconto della Puglia e del Mezzogiorno, benché rapido del segretario della Cgil di quella regione, è netto: il divario con le regioni del Nord si è aggravato, su povertà welfare e sanità il disagio è fortissimo. Lavoro nero, grigio e precarietà hanno fatto implodere il sistema produttivo. “L’autonomia – ha sottolineato Gesmundo – da un lato crea rassegnazione, dall’altro reazioni pericolose sul piano dell’ordine pubblico o forme di regionalismo neo-borbonico da contrapporre a quello del Nord”. E il Pnrr, che poteva e doveva essere l’occasione per colmare il gap, si sta rivelando una promessa mancata, visto che gli investimenti pubblici sono determinati da quelli privati e non viceversa. Manca una governance e una visione.
La segretaria generale della Cgil di questa regione, Tiziana Basso, è stata netta: “La gestione della pandemia da noi è la dimostrazione che la regionalizzazione della sanità non risponde ai bisogni di salute dei cittadini e delle cittadine”. Non solo, guardando al futuro la dirigente sindacale ha raccontato un territorio di cui forse si sa poco: un tessuto economico fragile per gran parte dipendente dal mercato interno. Tessuto che lavora come contoterzista della Germania, non sapendo cogliere la sfida dell’innovazione. Questo è talmente vero che, non offrendo prospettive, i giovani emigrano in regioni vicine o all’estero, in dieci anni sono andati via in 250mila.
Giovanni Maria Flik è stato presidente della Corte Costituzionale, ministro della Giustizia e molto altro ancora. Per raccontare la riforma autonomistica ha preso in prestito la parabola evangelica, solo che in questo caso a moltiplicarsi sarebbero le poltrone e non l’esigibilità dei diritti. E comunque, ha sottolineato Flik: “Quella di Calderoli sarebbe un’autonomia senza solidarietà, principio costituzionale indispensabile per dare attuazione all’articolo 3 della Carta, per rendere effettiva l’uguaglianza”. Non meno netto è stato nel parlare di presidenzialismo: “Innanzitutto non si capisce di quale presidenzialismo si parla. E poi non si capisce che non è una grande idea perdere un presidente garante della indivisibilità della Costituzione, senza peraltro preoccuparsi di meccanismi di riequilibrio tra poteri”.
Nel bilancio nazionale l’istruzione è il capitolo di spesa che pesa di più. Spostare queste risorse alle regioni significherebbe la fine del contratto nazionale, la differenziazione degli stipendi con la reintroduzione delle gabbie salariali, la frammentazione e regionalizzazione dei programmi con la trasformazione della scuola nella più grande agenzia di consenso nelle mani dei singoli governatori. Queste le preoccupazioni espresse da Francesco Sinopoli, segretario generale della Flc Cgil: “Lo scambio tra presidenzialismo e autonomia è fallace e autoritario, e l’insegnamento della pandemia sul fallimento della sanità regionalizzata sembra non essere stato capito”. Per il dirigente sindacale occorre mettere in campo “un'iniziativa di controinformazione e prepararci a un'opposizione a questo disegno, con ogni forma di lotta democratica”.
“Secondo me è la Costituzione stessa a non prevedere la possibilità di cambiare forma di Stato e forma di governo. In ogni caso abbiamo già impedito due volte la trasformazione della Carta, possiamo farcela anche la terza”. Questa la convinzione di Rosy Bindi, che ha ricordato come la maggioranza di governo non è affatto maggioranza nel Paese, ma non è automatico che la maggioranza degli elettori e delle elettrici sia contro il presidenzialismo e l’autonomia. Per la presidente dell’Associazione Salute diritto fondamentale occorre “far risorgere il pensiero a favore della Costituzione. Bisogna mettere in campo la mobilitazione delle volte precedenti”.
Il segretario generale della Cgil, durante le conclusioni al confronto, sembra raccogliere il testimone dalle mani di Bindi e rilanciare: “Serve una grande mobilitazione, ripartendo dallo schieramento di persone e associazioni della grande manifestazione per la pace dello scorso 5 novembre. Occorre saper legare crisi sociale e crisi democratica”. Ha infatti aggiunto il leader di Corso di Italia: “La battaglia in difesa della Costituzione non è altra cosa rispetto alla battaglia sociale per tutelare i diritti del lavoro, il welfare universalistico, per cambiare il modello di sviluppo. Vanno tenute insieme, perché solo applicando fino in fondo la Carta costituzionale, solo rendendo protagonisti lavoratori e cittadini, attraverso partiti e forze sociali radicati e rappresentativi, possiamo costruire un modello produttivo ambientalmente e socialmente sostenibile"
Il primo incidente è avvenuto a Roma, il secondo a Brescia: entrambi sono rimasti schiacciati in seguito al crollo improvviso di carichi pesanti
Il primo incidente mortale di oggi (venerdì 20 gennaio) è avvenuto a Fonte Nuova (Roma). La vittima è un operaio italiano di 23 anni, rimasto schiacciato dal crollo di una lastra di cemento. L'evento è accaduto alle 6.30 del mattino all'interno di una ditta per lo smaltimento dei rifiuti (in via Stella Polare).
Secondo la prima ricostruzione, il giovane, che al momento dell'incidente stava operando nel parcheggio dello stabile per spostare un veicolo, è rimasto travolto dalla lastra che si è staccata dal soffitto dello stabile dopo essere stata colpita dalla gru del mezzo su cui viaggiava.
In Emilia Romagna, nell’ultimo mese del 2022 l’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettivita’ (Nic) registra una contrazione dello 0,2% su base congiunturale mensile e incrementa dell’11,6 % su base tendenziale annua. Valori che determinano il dato medio finale dell’inflazione annuale registrata a livello regionale: +8,4% (+8,1% a livello nazionale), sintesi di una dinamica dei prezzi che non si registrava dagli anni ’80. “Tale dinamica è il risultato degli aumenti dei costi dei carburanti di derivazione petrolifera, registrati già a partire dagli ultimi mesi del 2021, aggravate dallo scoppio e dal perpetrarsi del conflitto in Ucraina, con conseguente incrementi dei costi del gas, dei cereali d’importazione, di varie materie prime, del latte, lungo tutta la catena di distribuzione” spiegano da Federconsumatori.
“Durante il 2022 la maggior maggior parte delle divisioni di spesa del paniere di beni e servizi ha avuto variazioni positive con livelli tendenziali oltremodo elevati che sono andati a ripercuotersi specialmente sui beni di alta e media frequenza d’acquisto, oltre che sul comune “carrello della spesa” – proseguono – Nel corso dell’anno sono stati i beni energetici a fungere da traino per l’inflazione (con una crescita media annuale pari a: +36,3% per la divisione “Abitazione, acqua, elettricità, gas e altri combustibili” ) in tutti i capoluoghi di provincia (Cfr. Tab. Graff, 3, 4 e Tab. 4).
Per una famiglia di tre componenti si stima un incremento della spesa medi annuale pari a +2.900 euro rispetto al 2021, valore compreso fra i +3.100 euro stimati a Bologna e i +2.600 euro di Ferrara (Cfr. Tabb 1-3, 5).
Per le famiglie più fragili (ad esempio nuclei con capofamiglia disoccupato oppure famiglie unipersonali con componente anziano) l’inflazione ha avuto una dinamica più accentuata rispetto alla media, generando una variazione percentuale della spesa, rispetto all’annualità precedente, più elevata rispetto all’incremento rilevato per il complesso delle famiglie.
Questo perché la struttura della spesa mensile dei nuclei che si trovano in condizione di fragilità è dedicata in modo sbilanciato (“non per scelta”) a voci di spesa che hanno registrato un’inflazione ben superiore alla media (come i beni alimentari e le utenze di energia elettrica e del gas da riscaldamento). Per questi nuclei familiari l’incremento assoluto della spesa annuale, rispetto al 2021, risulta proporzionalmente superiore a quanto rilevato per il complesso delle famiglie, un aspetto che ha contribuito a determinare l’ulteriore forte pressione registrata nel 2022 sui servizi sociali di supporto forniti dal sistema degli Enti locali
Il presidente di Federconsumatori Ravenna, Vincenzo Fuschini ha commentato: “L’indagine sull’andamento dei prezzi nella Regione Emilia-Romagna nell’anno 2022, elaborata dalla Federconsumatori regionale, oltre a registrare puntualmente le variazioni congiunturali in ciascun mese, rileva variazioni tendenziali assai preoccupanti per il comune di Ravenna. Infatti, a fronte di un indice regionale del 8,4%, l’indice medio annuale di Ravenna è del 9%, registrando aumenti di prezzo per tutti i settori, escluse le comunicazioni e l’istruzione. Di particolare rilievo gli aumenti dei generi alimentari (+10,2%), dei trasporti (+9%), dei servizi ricettivi e della ristorazione (+6,7%) e sanitari (+5%), fino al vero e proprio “boom” delle spese per abitazione, acqua, elettricità, gas e altri combustibili con un aumento di spesa per le famiglie del 36,1%”.
“È perciò evidente che l’aumento delle rendite immobiliari e dei mutui e, ancora di più, delle spese per l’energia trascinano verso l’alto tutti i prezzi dei beni di prima necessità, che collocano Ravenna al quarto posto fra i capoluoghi di provincia della regione, dopo Forlì, Piacenza e Bologna, ma in sostanza allo stesso livello di queste, dato che le differenze percentuali fra i primi quattro capoluoghi sono dello 0,1-0,2%. Ravenna è perciò attualmente una delle città più care della regione, con un aumento di spesa per una famiglia di tre persone di euro 2.910,81 annui, rispetto al 2021 (a livello regionale, l’aumento è di 2.900,40 euro).
Le spese per abitazione ed energia incidono in modo preponderante sull’aumento di spesa, per l’ammontare di 1897,98 euro (a livello regionale, 1908,91 euro). Sostanzialmente alla pari con l’aumento di spesa regionale è l’incremento per i prodotti alimentari, pari a 835,20 euro. Il colpo per i redditi delle famiglie dei lavoratori dipendenti e dei pensionati è assai grave, ma è assai preoccupante anche l’aumento per i nuclei composti da una sola persona (+ 1922,54 euro), considerando che spesso si tratta di persone anziane. Il minor incremento di spesa per le famiglie di tre persone, ma con il capofamiglia disoccupato (+ 2617,24 euro, circa 300 euro in meno delle altre famiglie) deriva per quasi 1/3 dalla minor spesa per generi alimentari, il che induce a riflessioni assai preoccupanti sul peggioramento dell’alimentazione delle famiglie economicamente fragili”
Uno sportello informativo rivolto a tutte le persone interessate a partecipare alle comunità energetiche rinnovabili: è la nuova iniziativa avviata dalla Regione Emilia-Romagna per promuovere l’autoproduzione di energia con impianti green, in particolare quelli fotovoltaici.
Per accedere al servizio, gestito da ART-ER per conto della Regione, si può:
Ricordiamo che la Regione Emilia-Romagna, a maggio 2022, ha approvato la legge sulle Comunità energetiche e l’autoconsumo collettivo di energia rinnovabile, finalizzata a sostenere le iniziative di gruppi di persone fisiche, imprese, enti territoriali, di ricerca e formazione, religiosi, del Terzo settore e di protezione ambientale, che decidono di agire collettivamente per produrre, distribuire, scambiare, accumulare energia con impianti di energia pulita.
Documenti e link utili:
Da via Timavo a via Regeni; inizia a circolare la proposta di cambiare il nome della strada della sede diplomatica egiziana e di dedicarla al ragazzo torturato e ucciso nelle carceri del Cairo dagli sgherri di Al Sisi.
Cambiare il nome della via del consolato egiziano di Milano da via Timavo a via Giulio Regeni. La proposta sta iniziando a circolare dopo che anche il sindaco Sala si è associato alla richiesta di ritirare l’ambasciatore italiano al Cairo e che il Consiglio comunale ha approvato un ordine del giorno per concede la cittadinanza onoraria a Zaki, il giovane ancora ingiustamente detenuto in Egitto. Questo dopo gli ultimi sviluppi delle indagini della Procura di Roma e le inchieste giornalistiche che stanno svelando, tra mille difficoltà, le terribili torture alle quali è stato sottoposto Giulio e che lo hanno portato alla morte nelle carceri egiziane. Il governo del Paese nordafricano non collabora alla ricerca della verità ma fa di tutto per coprire le responsabilità, ormai sempre più evidenti, dei propri servizi segreti.
Ogni volta che il console e i suoi funzionari entreranno e usciranno dalla sede consolare vedrebbero la targa della via, ogni busta della corrispondenza diplomatica porterebbe il nome di Giulio Regeni. Per iniziare almeno a provare imbarazzo. Perché la verità deve saltar fuori.