Il Documento di economia e finanza è sordo alle richieste di Cgil, Cisl e Uil. Per Fracassi, vice segretaria della Cgil, “le ragioni della mobilitazione sono rafforzate”
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Sordità, questa sembra la caratteristica del governo Meloni. Incapacità di ascoltare le istanze, le domande e le motivazioni che arrivano dal mondo del lavoro. Il Def appena varato dal consiglio dei Ministri è lì a testimoniarlo. Giusto una settimana fa Cgil, Cisl e Uil hanno reso noto un Documento unitario alla base della mobilitazione che, cominciata ad aprile con le assemblee in tutti i luoghi di lavoro, vedrà a maggio lavoratori e lavoratrici in piazza.
Cosa non c’è nel Def
Testi ufficiali ancora non ci sono, sembra ormai questa la moda diffusa dal governo. Si annuncia il varo di provvedimenti che poi si diffondono per titoli, ma non con norme scritte e per tabelle, ma tant’è. Da quel che si può capire dal comunicato diffuso dalla presidenza del Consiglio, gli spazi fiscali sono così limitati che si rischia di non avere nulla per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego e per l’adeguamento all’inflazione, nulla per la sanità, nulla per il welfare, nulla per le pensioni, nulla per il caro energia, nulla per salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, nulla per la legge delega fiscale.
Le richieste dei sindacati
Il documento di Cgil, Cisl e Uil invece sottopone all’esecutivo e alla politica una serie di priorità che per il mondo del lavoro sono imprescindibili. Per il mondo del lavoro e per la società tutta. Vediamole.
- Riforma del fisco, con una forte riduzione del carico su lavoro e pensioni, maggiore tassazione degli extraprofitti e delle rendite finanziarie.
- Potenziamento occupazionale e incremento dei finanziamenti al sistema sociosanitario pubblico per garantire il diritto universale alla salute e al sistema di istruzione e formazione, maggiore sostegno alla non autosufficienza.
- Un mercato del lavoro inclusivo per dire no alla precarietà, orientato e garantito da investimenti, da un sistema di formazione permanente, da politiche attive, e da ammortizzatori sociali funzionali alla transizione.
- Basta morti e infortuni sul lavoro, contrasto alle malattie professionali. Occorre ridare valore al lavoro, eliminare i subappalti a cascata e incontrollati, e portare avanti una lotta senza quartiere alle mafie e al caporalato.
- Riforma del sistema previdenziale.
- Politiche industriali e d’investimento condivise con il mondo del lavoro per negoziare una transizione ambientale sostenibile, sociale e digitale, realizzando un nuovo modello di sviluppo con particolare attenzione al Mezzogiorno e puntando alla piena occupazione.
Cosa c’è nel Def
Il mantenimento del deficit al 4,5% del Pil consente al governo di disporre di circa 3 miliardi di euro che saranno destinati, così è scritto nel comunicato di Palazzo Chigi, al “taglio dei contributi sociali a carico dei lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi a valere sul periodo maggio-dicembre di quest’anno”. Buona notizia? Sufficiente a rispondere alla necessità di sostenere i redditi di lavoratori e pensionati? Assolutamente no. E, come detto, per di più è un provvedimento dalla durata limitata. Dopo dicembre che cosa succederà?
Foto: Marco Merlini
Cgil: una politica "povera" e all'insegna dell'austerità
“Se c’è una cosa che dice il Def è che le risorse non sono sufficienti”: lo afferma Gianna Fracassi, vice segretaria generale della Cgil, che aggiunge: “È un Documento poverissimo anche e soprattutto in termini di mancanza di visione”. E infatti, sostiene la dirigente sindacale. “il Def cammina sulla strada dell’austerity in maniera addirittura più vigorosa rispetto agli anni passati. Si rischia di non avere risorse per la sanità, il welfare, la previdenza, il lavoro e il rinnovo dei contratti pubblici, e nemmeno quelle per gli investimenti a sostegno del Pnrr, a cominciare dalle assunzioni necessarie per aumentare la capacità amministrativa che chiede l’Europa”.
Ulteriori preoccupazioni
Occorre non dimenticare che un mese fa circa il governo ha licenziato la delega fiscale, certo molto contrastata dai sindacati. “Ma – si domanda Fracassi - se mettiamo insieme il tema Def con la riforma fiscale non si comprende con quali risorse si possano sostenere ad esempio le misure propagandate dal governo, come la flat tax, se non, come noi temiamo, con una forte riduzione della spesa corrente e di quella destinata allo Stato sociale. Tanto più in un contesto in cui il costo del debito va oltre i 100 miliardi annui”.
Infine, occorre ricordare che nelle prossime settimane si chiuderà la discussione sulla governance economica europea. “Le scelte che verranno definite faranno la differenza per permettere o non permettere ulteriori margini di spesa per investimenti”, commenta ancora Fracassi.
Le risorse si potrebbero trovare
Scarsità di risorse, dicevamo, anche se nel nostro Paese la quota di evasione ed elusione fiscale è talmente alta che con quella si potrebbero risolvere una serie di questioni rilevanti, se solo si volesse davvero affrontare la questione. A questo proposito, sottolinea Fracassi, “in tutto questo si continuano a licenziare norme molto gravi che favoriscono i non pagamenti delle tasse, basti pensare a ciò che è stato stabilito nel decreto Bollette sulla non punibilità di alcuni reati”.
La voce del lavoro
Gli appuntamenti sono già fissati, assemblee in tutti i luoghi di lavoro e tre manifestazioni interregionali, il 6 maggio a Bologna, il 13 maggio a Milano e il 20 Napoli. “Certo, aspettiamo i testi definitivi - conclude Fracassi -, ma quanto si apprende sul Def non fa che rafforzare le motivazioni che hanno portato Cgil, Cisl e Uil a decidere la mobilitazione”