Vannini e Filippi, Fp Cgil: gli interventi approvati dal governo proprio non vanno. I sindacati avviano una fase di mobilitazione
alle Alpi alla Sicilia si susseguono iniziative, manifestazioni e prese di posizione contro lo scempio della sanità pubblica. È sotto gli occhi di tutti che il sistema è al collasso, dalle prestazioni sospese per la pandemia e mai riprese, alle liste di attesa interminabili fino alla fuga di medici e infermieri. E il governo è silente, al più mette in campo provvedimenti controproducenti.
Il decreto bollette
Perché interventi sulla sanità siano stati inseriti in un provvedimento che si occupa di rinnovare sconti per il caro energia non è dato sapersi. Forse siccome il governo dei “pronti” non ha le idee ben chiare su come affrontare in maniera organica e strutturata i singoli problemi, mano a mano che si trova un provvedimento in arrivo in consiglio dei Ministri vi inserisce “pezze a colore” per tappare falle. Ed ecco che mentre si parla di caro energia si introduce la liberalizzazione delle professioni sanitarie o si sbloccano risorse per incrementare il salario del personale dei pronto soccorso, che però erano già previste.
Infermieri robot
Sono pochi, soprattutto poche visto che quella dell’infermiere è una professione a fortissima predominanza femminile, e poco vengono pagate, soprattutto per loro non esiste o quasi nessuna prospettiva di carriera. Qual è la soluzione individuata dal ministro Schillaci e introdotta nell’indistinto del decreto bollette? La possibilità di smontare dal turno di notte in ospedale e andare a lavorare in una clinica o in una Rsa. E l’indispensabile riposo? E la direttiva europea recepita dal nostro Paese su orario di lavoro e pause in sanità? Questi sconosciuti. E la tutela della salute di lavoratori e lavoratrici, ma anche dei pazienti? Immolati sull’altare della necessità di personale da un lato, e della necessità di aumentare il proprio reddito dall’altro. A Napoli si direbbe “faccimme ammuina”.
Proprio non va
Certo il testo prevede che questa liberalizzazione rimanga in vigore fino al 2025, certo mancano ancora chiarimenti su come sarà regolamentato, ma il giudizio del segretario nazionale Fp Cgil Michele Vannini è netto: “Proprio non va, assomiglia a uno specchietto per le allodole. Si dice a lavoratori e lavoratrici, non ti do un euro di aumento visto che le risorse per il rinnovo dei contratti pubblici non sono appostate in Legge di bilancio, non assumo, ma ti concedo di fare attività privata. Che tradotto vuol dire che infermieri e ostetriche, finito il loro orario di lavoro più gli straordinari, potranno incrementare il proprio reddito prestando servizio in strutture private”. Insomma, è una risposta sbagliata a due problemi veri, da un lato quello della mancanza di personale che certo non si risolve “facendo lavorare di più” il personale in servizio, dall’altro il problema del mancato rinnovo dei contratti e dell’aumento dei salari.
Avvolto nelle nebbie
Ma quale sarà il meccanismo con cui questa liberalizzazione funzionerà non è dato ancora sapere. E anche dire che si equipara la possibilità di fare attività libero professionale tra medici e professioni sanitarie non è esattamente vero. Aggiunge il dirigente sindacale: “I medici che decidono di non fare attività privata hanno un riconoscimento in busta paga. Che per infermiere e infermieri, invece, non è previsto”. Quindi mentre per i dottori si incentiva economicamente la scelta di dedicarsi solo all’attività nel pubblico, per le altre professioni sanitarie implicitamente si spinge verso l’attività anche nel privato.
Qualità e sicurezza?
Chi di noi si affiderebbe consapevolmente alle cure di un’infermiera o di un’ostetrica che invece di riposare dopo un turno di notte entra nella sala operatoria di una clinica privata o nella terapia intensiva o nel pronto soccorso di una struttura convenzionata? E che rischi corre la stessa professionista? Qualcuno ha calcolato come inciderà questo iper-lavoro sulla sua salute? Domande prive di risposta come privo di risposta è l’interrogativo se chi ha scritto la norma abbia pensato anche a questi risvolti della liberalizzazione.
Anche i medici non ci stanno
Le aspettative dei medici, ancorché per un decreto dedicato ad altro, erano giustamente alte, viste le promesse che arrivavano dal ministero della Salute. E invece sostanzialmente nulla. “La crisi della sanità pubblica - afferma Andrea Filippi, responsabile medici della Fp Cgil - richiede investimenti congrui e spendibili oggi, mentre il disagio dei professionisti al suo interno necessita di provvedimenti strutturali, e non cosmetici, incluso l’utilizzo della leva retributiva nei loro confronti, senza eccezioni, perché tutti hanno garantito i Lea a spese della qualità della loro vita, delle loro ferie e dell’abuso del loro orario di lavoro. Nonostante tutto e nelle condizioni di lavoro peggiori dell’ultimo decennio”.
E non è certo il tentativo di limitare l’utilizzo dei medici a gettone che risolve la situazione. Né l’anticipo del finanziamento per integrare la retribuzione dei medici di pronto soccorso, certamente positivo, può essere considerato esaustivo di tutto ciò che serve.
Cosa manca
Ricorda ancora Filippi: “Quello approvato è un provvedimento monco, insomma, che, per quanto contenga risposte ad alcune richieste delle organizzazioni sindacali, come la procedibilità d’ufficio per chi aggredisce gli operatori sanitari, fallisce l’obiettivo di sollevare un servizio sanitario nazionale in ginocchio e arrestare la fuga di medici, dirigenti sanitari e veterinari, delusi e insoddisfatti dal Ssn. Che non saranno di certo incentivati a rimanere nella sanità pubblica da una sanatoria per l’accesso ai ruoli della 'area critica' senza specializzazione, o da un incremento della retribuzione oraria delle prestazioni aggiuntive in PS, che sarà ampiamente tassato, oppure da incarichi libero-professionali per gli specializzandi a prezzo da saldi di stagione. Tantomeno il giro di vite arresterà il reclutamento dei gettonisti, che finisce anche per essere legittimato”.
La mobilitazione
Bisogna fare in modo che le cose cambino. Questa è la ragione che ha portato l’Intersindacale medici a prendere la decisione di avviare una fase di mobilitazione scandita da assemblee e incontri con associazioni di cittadini e organizzazioni sociali per arrivare, entro maggio, agli stati generali della salute. Manifestazioni fino allo sciopero, se servirà. Sostengono infatti: “È ormai il momento di pretendere la salvaguardia di un servizio di cura pubblico e universale, per il quale non basta la sola voce del ministro della Salute, serve quella dei cittadini, dei sindaci, delle Regioni, delle forze sociali, delle istituzioni professionali, alle quali ci rivolgiamo per salvare l’articolo 32 della nostra Costituzione”