Viaggio tra Ramallah, Gerusalemme, Betlemme e Gaza, per raccontare le grandi contraddizioni di un territorio, di un'economia e di una società ormai a pezzi, e a un passo da una nuova sollevazione popolare
La Palestina è in frantumi. La Palestina ha troppi confini, troppe barriere, ha troppe voci. Attraversando la fitta rete di strade costruite per i soli coloni israeliani; costeggiando i muri e le recinzioni elettrificate; superando a fatica i posti di blocco, permanenti o momentanei che siano; osservando da lontano gli insediamenti; scrutando il grande Muro di separazione; viene da pensare che non esista una sola Palestina. Ne esistono molte. Quindi forse nessuna.
Una cosa è Gerusalemme Est, un'altra è Ramallah; una cosa sono i campi profughi disseminati lungo i territori occupati, un'altra i piccoli villaggi tra le montagne, un'altra ancora è Gaza. In ogni caso, ovunque dominano muri, recinzioni, blocchi, check-point. E per chiunque vivere qui è diventato un vero e proprio percorso a ostacoli.
Secondo diversi osservatori, però, lo spostamento a destra dell'asse nel governo israeliano, la tattica attendista di Hamas e la debolezza di Fatah rischiano di far precipitare gli eventi. In molti temono una nuova fiammata di violenze su scala più ampia, una nuova sollevazione popolare. Un'altra intifada, insomma. Le diverse anime della Palestina così, come spesso è già accaduto in passato, potrebbero ritrovarsi di nuovo accomunate. Ma solo dalla rabbia.
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