In Emilia Romagna cresce l'occupazione, ma è il cosiddetto “lavoro povero”, quello concentrato su voucher, contratti a tempo determinato e part-time. A dirlo è il report “Il cambiamento dentro la stagnazione” dell''Osservatorio dell'economia e del lavoro in Emilia-Romagna, stilato dall'Ires Cgil regionale. La media annua dei percettori mensili di voucher si è attestata nel 2015 a 36.147 unità, contro le 25.308 unità del 2014. La quota dei contratti a tempo determinato, invece, è passata dal 14,1 per cento del 2014 al 14,8 del 2015.
“L’incremento dei voucher è una patologia che va estirpata” commenta il segretario generale della Cgil Emilia Romagna Vincenzo Colla. Un incremento “che sta creando un mercato del lavoro parallelo che non ha niente a che fare con la qualità del lavoro, con la qualità dei prodotti e con la qualità di un sistema produttivo. È una cosa che trascina al ribasso il lavoro stesso e la qualità della vita delle persone”. Colla avverte anche il rischio “che il lavoro nero resti lavoro nero, mentre il lavoro che dovrebbe essere più sicuro e più regolare, diventa voucher. Questo è un tratto inaccettabile per la nostra economia, ecco perché i voucher vanno cancellati”.
Secondo i dati dell’Ires regionale gli occupati tra il secondo trimestre del 2015 e il secondo trimestre del 2016 sono passati da 1.921.574 a 1.979.171, con un incremento di 57.597 unità, per una crescita complessiva del 3 per cento. Il numero dei disoccupati è passato da 159.926 a 143.725, con un calo di 16.201 unità e un arretramento del 10,1 per cento. Gli inattivi, infine, sono passati da 1.738.991 a 1.700.219, con un decremento di 38.772 unità, per una flessione del 2,2 per cento.
L’aumento di voucher, tempi determinati, part time e lavoro autonomo “povero”, spiega il presidente dell'Ires Emilia Romagna Giuliano Guietti, “dal 2015 al 2016 è stato evidente: man mano che vengono meno gli sgravi fiscali e contributivi concessi dal governo nel 2015, aumentano le partite Iva, le collaborazioni, i parasubordinati. Quindi c'è un fenomeno di sostituzione che riguarda le parti di lavoro più deboli e più fragili: siamo di fronte a cambiamenti importanti”.
Il “fallimento” del Jobs Act è rimarcato anche da Colla. “Il Jobs Act non solo è arrivato a fine corsa, ma è stato un flop evidente: via gli sgravi concessi dal governo, fioccano i licenziamenti” aggiunge il segretario Cgil: “Il Jobs Act è stato un investimento di soldi pubblici sbagliato, l'unica cosa che resta sono i tagli dei diritti sanciti dallo Statuto dei lavoratori”. Per Colla, invece, occorre “rilanciare quattro forme di assunzione: la somministrazione, il tempo determinato, il tempo indeterminato, ma soprattutto l'apprendistato”.