Lo stabilimento Cisa di via Oberdan è ormai ridotto ad un ammasso informe di macerie. Scompare, dopo l’Omsa e altre fabbriche, un simbolo e un pilastro dello sviluppo industriale nel faentino. Il suo posto verrà preso da strutture commerciali che andranno ad aggiungersi alle troppe già esistenti.
E’ l’atto finale di una storia scritta da tempo, forse con sue logiche e con gli atti a posto, ma che agli occhi dei faentini assume il significato amaro di una sconfitta. Il lavoro e l’intraprendenza di tanti avevano fatto della Cisa una sicura fonte di reddito e un marchio affermato nel mondo. Un marchio espressione dell’ingegnosità di Faenza. La multinazionale che ne ha acquisito la proprietà attraverso i passaggi che tutti conoscono ha deciso di portare all’estero le lavorazioni meccaniche cancellando 130 posti di lavoro. E’ così che vanno le cose in un mondo in cui prevalgono le leggi del profitto ad ogni costo, in cui la finanza speculativa domina sull’economia reale. Un mondo in cui i capitali, le fabbriche, il lavoro stesso possono essere trasferiti ovunque senza regole e senza frontiere, mentre le persone vengono respinte perché considerate “clandestine” se fuggono da guerre e miseria.
Gli accordi sottoscritti col sindacato prevedono per la Allegion – così adesso si chiama la Cisa – investimenti e ricerca nel segno dell’innovazione. Si tratta di impegni che, se rispettati come si deve, possono in qualche modo limitare i danni. Ma alcune riflessioni sono d’obbligo: chi ha licenziato viene premiato consentendogli un’operazione immobiliare senza dubbio molto vantaggiosa; un altro colpo pesante verrà inferto al sistema distributivo locale (se le famiglie non hanno soldi da spendere che senso ha – o a quali interessi risponde – aprire nuove grandi strutture?); lavoro buono e durevole verrà sostituito da occupazione precaria e mal pagata.
Bisogna avere il coraggio e l’intelligenza di mettere in discussione questo modello. Non farlo vuol dire assumersi la responsabilità di quanto accade, delle crescenti diseguaglianze, dell’emarginazione dei giovani, del venir meno della coesione sociale su cui fino ad oggi ha retto la nostra fragile democrazia.
Faenza, 25 luglio 2017
L’Altra Faenza
Se ne parla poco e pochi lo sanno: un’altra criticità del sistema socio-sanitario in ambito locale riguarda il servizio deputato alla cura e al recupero delle persone affette da patologie psichiatriche e di quelle che intraprendono il percorso per uscire da una condizione di dipendenza da alcol e sostanze stupefacenti.
L’Unità operativa semplice del Centro diurno di recupero può contare solo su cinque operatori, mentre la pianta organica ne prevede uno in più (quattro educatori e due infermieri). Presso la struttura vengono attuati progetti intensivi a termine per il reinserimento di 35 pazienti, numero che dal 2015 – periodo in cui l’organico era al completo – è rimasto invariato. Non si giustifica quindi la diminuzione di personale, se non in una logica di tagli. Alla carenza d’organico, chi è rimasto deve comunque far fronte con buona volontà, alta professionalità e senso etico.
Siamo in sostanza di fronte, anche per queste attività, ad uno scenario già noto, sia a Faenza che in provincia. Il problema va risolto, avendo quale primo obiettivo – soprattutto per strutture il cui lavoro particolarmente difficile non può sfuggire a nessuno – i bisogni ai quali i servizi socio-sanitari pubblici sono chiamati a fornire risposte adeguate.
Una situazione altrettanto grave sta interessando anche l’area medico-psichiatrica: tre sanitari mancano dal servizio, due sono in uscita per trasferimento e un altro è in aspettativa di lunga durata. Non lontano nel tempo, inoltre, si profila il pensionamento del direttore del Centro di salute mentale.
Sono numerosissimi i pazienti seguiti dal Centro stesso: la carenza di medici rischia di tradursi in una riduzione del monitoraggio. L’approccio a tali patologie è necessariamente multidisciplinare: psicoterapia, psicologia e farmacologia si integrano in un delicato equilibrio che la mancanza di personale può compromettere.
Al quadro appena delineato si aggiunge il trasferimento dai locali dell’ex Baliatico a quelli di via Zaccagnini. La scelta si sta rivelando non idonea quanto a funzionalità e ad accessibilità. Si tratta in effetti di uffici riadattati e di un’ubicazione incongrua per un servizio come il Centro di salute mentale, il presupposto della cui funzione si basa proprio sulla scelta/bisogno di recarvisi da parte di persone in momenti di forte disagio. La facilità di accesso è dunque un requisito fondamentale per attrarre l’ampia sfera di potenziali utenti che restano purtroppo nel “sommerso”.
A tale proposito va assolutamente corretta l’impostazione data dal Servizio Sanitario Regionale: esso considera da tempo la malattia psichiatrica e le dipendenze da sostanze parte del medesimo ambito, quello psichiatrico, a differenza di quanto avviene in altre Regioni. Questa impostazione non favorisce i percorsi terapeutici di chi tenta di uscire dalla dipendenza che lo affligge: non vi è in effetti nessuna automatica correlazione fra la patologia psichiatrica e l’assunzione di sostanze nocive alla salute. Ridurre la dipendenza ad una questione da psichiatri vuol dire decontestualizzare la persona da una realtà sociale e culturale spesso degradante che invece va tenuta nel dovuto conto ai fini della prevenzione.
Problemi esistono anche a carico della residenza psichiatrica di Brisighella, una struttura che si occupa di 14 pazienti residenti, cinque dei quali con vincolo giudiziario (a seguito della chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari avvenuta il 1º febbario 2013). Le risposte all’accresciuta complessità sono stati paradossalmente il passaggio di medici dal tempo pieno a quello ridotto e l’assegnazione al turno notturno di educatrici senza la compresenza della figura sanitaria.
Sul territorio si assiste ad un incremento delle situazioni di disagio sociale, in parte legate alla crisi, a nuove aree di povertà e all’incapacità della politica di farvi fronte. Là dove le persone più vulnerabili non trovano risposta ai propri drammi, cresce di molto la probabilità di sviluppare patologie psichiatriche latenti, oppure di cadere nell’abuso di sostanze. I servizi pubblici devono essere all’altezza di queste situazioni, ad iniziare dalla prevenzione che, inserita in un contesto sociale e accogliente, può fare la differenza per continuare a sottoporsi a terapie fruibili ed efficaci.
Faenza, 21 luglio 2017
L’Altra Faenza
COMUNICATO STAMPA
Ozono Estivo: critica la situazione in tutte le province della regione
Al via in Emilia-Romagna il progetto Captor, per il monitoraggio diffuso dell’inquinamento da Ozono
L’estate è arrivata, ma la brutta notizia è che con essa si ripresenta anche il problema dell’inquinamento da ozono troposferico. Meno noto dell’inquinamento invernale da polveri sottili, rappresenta tuttavia un inquinante altrettanto pericoloso, che colpisce principalmente nei periodi di maggior intensità solare e di calore, facendo sfumare la speranza di una tregua per i nostri polmoni.
Se la presenza dell'ozono nella stratosfera svolge un'importantissima funzione protettiva per la salute umana e dell'ambiente in cui viviamo, fornendo uno schermo in grado di filtrare le radiazioni ultraviolette (UV) potenzialmente cancerogene, alte concentrazioni di questo gas nella troposfera (lo strato sovrastante la superficie terrestre), risultano nocive per la salute dell'uomo oltre che per gli equilibri degli ecosistemi.
E’ risaputo che l’esposizione a questo inquinante, anche a basse concentrazioni, sia causa di problemi ai tessuti dell’apparato respiratorio, provocando irritazione agli occhi e alla gola, tosse e riduzione della funzionalità polmonare, aggravando anche asma ed altre patologie respiratorie nei soggetti più a rischio: in primis i bambini e gli anziani, seguiti dai soggetti sani che fanno attività all'aperto oltre che persone già affette da malattie polmonari.
L’ozono troposferico è un inquinante di origine sia antropica che naturale che tende a prodursi per effetto della radiazione solare in presenza di inquinanti primari quali gli ossidi d'azoto (NOX) e i composti organici volatili (VOC), prodotti in larga parte da motori a combustione e dall'uso di solventi organici, andando a costituire il cosiddetto smog fotochimico.
Legambiente chiede quindi una maggiore attenzione per prevenire l’inquinamento da ozono: «È significativo che in occasione del G7 ambiente di Bologna sia stato firmato un protocollo tra tutte le regioni Padane ed il Ministero dell’Ambiente, senza però che nel documento sia contenuta la parola “Ozono”. Quello da ozono è un inquinamento determinato da traffico veicolare e attività industriali, che producono precursori altrettanto tossici come gli ossidi d’azoto. Le politiche di moderazione del traffico sono da attuare anche in estate, e si devono integrare con la gestione delle emissioni industriali. A caldaie domestiche spente, inoltre, risulta alta la domanda di elettricità per la climatizzazione, con consumi che pesano complessivamente per un terzo sulle emissioni di NOx».
In Emilia-Romagna sono già 21 le stazioni di monitoraggio dell’Ozono che hanno superato il limite dei 25 sforamenti di 120 µg/m3.
Di seguito la tabella riepilogativa (aggiornata al 16 luglio) delle località che hanno superato i limiti di sforamento dell’ozono:
Provincia |
Località |
Stazione di monitoraggio |
N° gg sforamento 2017 (>120µg/m3) |
Modena |
Mirandola |
Gavello |
48 |
Piacenza |
Piacenza |
Parco Monte Cucco |
41 |
Reggio Emilia |
Castellarano |
Castellarano |
40 |
Reggio Emilia |
Guastalla |
S. Rocco |
40 |
Modena |
Modena |
Parco Ferrari |
39 |
Piacenza |
Lugagnano Val D'Arda |
Lugagnano |
38 |
Parma |
Langhirano |
Badia |
37 |
Ferrara |
Ostellato |
Ostellato |
37 |
Ravenna |
Cervia |
Delta Cervia |
37 |
Modena |
Sassuolo |
Parco Edilcarani |
36 |
Ferrara |
Cento |
Cento |
36 |
Parma |
Parma |
Cittadella |
35 |
Parma |
Colorno |
Saragat |
33 |
Forlì-Cesena |
Sogliano al Rubicone |
Savignano di Rigo |
33 |
Piacenza |
Besenzone |
Besenzone |
32 |
Reggio Emilia |
Reggio nell'Emilia |
S. Lazzaro |
31 |
Modena |
Carpi |
Remesina |
31 |
Ferrara |
Jolanda di Savoia |
Gherardi |
28 |
Forlì-Cesena |
Forlì |
Parco Resistenza |
28 |
Ferrara |
Ferrara |
Villa Fulvia |
26 |
Rimini |
San Clemente |
San Clemente |
26 |
Bologna |
Bologna |
Giardini Margherita |
24 |
Fonte dati: Arpae Emilia-Romagna (https://www.arpae.it/Aria)
Preoccupanti anche i picchi riscontrati, che superano i 200 µg/m3, a fronte di un valore di informazione di 180 µg/m3 e del valore di allarme di 240 µg/m3. Il picco dell’Ozono si verifica principalmente nelle ore pomeridiane, a partire dalle 13, quando le temperature sono più elevate ed è maggiore l’esposizione solare.
Per sensibilizzare la cittadinanza sulle problematiche connesse all’inquinamento d’Ozono, Legambiente ha aderito, insieme ad altri partner europei, al progetto CAPTOR (Collective Awareness Platform for Tropospheric Ozone Pollution, finanziato all’interno del programma HORIZON 2020-ICT-10-2015-RIA) che ha come scopo la rilevazione dei livelli di ozono attraverso il coinvolgimento diretto della cittadinanza, mediante l’installazione presso le abitazioni dei volontari autocandidatisi al progetto di alcuni sensori in grado di rilevare le concentrazioni di ozono.
Il progetto è entrato a luglio nella sua fase operativa: Arpae ha accolto la richiesta di collaborare al progetto consentendo la collocazione degli strumenti presso la stazione di monitoraggio di “Parco Montecucco” a Piacenza e ciò consentirà il confronto dei dati rilevati con quelli della rete regionale della qualità dell'aria (https://www.arpae.it/Aria).
Da fine mese 3 sensori Captor (foto in allegato) saranno installati presso altrettante abitazioni di volontari del progetto nella provincia di Piacenza. Nell’ambito di CAPTOR è infatti centrale il coinvolgimento della cittadinanza nella lettura e registrazione dei dati, al fine di aumentare la partecipazione e la consapevolezza sulla qualità dell’aria che ci circonda. I sensori installati in Emilia-Romagna saranno parte di una rete europea di “citizen science” fatta di volontari italiani, spagnoli, francesi ed austriaci. Tutti le informazioni raccolte, oltre che le proposte e le azioni bottom-up provenienti dalla cittadinanza, saranno pubbliche ed a disposizione della comunità scientifica e dei decisori politici sul sito https://www.captor-project.eu/
--
Associazione di consumatori e utenti
Provincia di Ravenna
COMUNICATO DELLA FEDERCONSUMATORI DI RAVENNA
IN MERITO ALL'ARRESTO DI UN FUNZIONARIO DELLA CASSA DI RISPARMIO
Apprendiamo dalla stampa locale la notizia dell'arresto, con altri imputati, di un funzionario di uno dei più importanti Istituti di credito della città e della provincia di Ravenna, per complicità con un esponente della camorra; l'inchiesta, a quanto si afferma, è partita dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli.
Attendiamo doverosamente le decisioni della Magistratura, data la gravità del caso, l'entità dei sequestri ed il numero delle persone coinvolte.
Nel frattempo, per l'importanza rivestita dalla Cassa di Risparmio nel sistema economico del nostro territorio, chiediamo che vengano fornite idonee garanzie ai clienti ed ai risparmiatori.
IL PRESIDENTE DELLA FEDERCONSUMATORI DI RAVENNA
dott. Vincenzo Fuschini
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
3355362540
Le due organizzazioni hanno presentato osservazioni congiunte rispetto ai requisiti minimi che servono per una rigenerazione urbana di qualità ambientale e sociale, per rispondere al problema dell’accesso alla casa ed il vero riutilizzo degli spazi condivisi - temi oggi carenti nella proposta di Legge
Sulla nuova legge urbanistica regionale, in corrispondenza dell’avvio del dibattito in commissione consigliare regionale Ambiente e Territorio, Legambiente e l'Ordine degli Architetti di Bologna hanno presentato una serie di osservazioni condivise. Osservazioni che riguardano la qualità delle città da costruire in futuro, per evitare che gli interventi si limitino alle trasformazioni a solo valore economico, ma slegati dalle esigenze sociali e ambientali di valore collettivo.
Un punto di incontro su un tema specifico, che non esaurisce il lavoro che le due organizzazioni stanno attuando rispettivamente sulla Legge, anche attraverso la presentazione autonoma di altre osservazioni. Tuttavia la scelta di un documento congiunto sulla città che accomuni Legambiente e Architetti di Bologna nasce dalla valutazione dell’urgenza di affrontare temi quali l’accesso alla casa, il miglioramento degli spazi e le relazioni pubbliche, la lotta e l’adattamento ai cambiamenti climatici oggi mancanti nella proposta di Legge.
Richieste salienti di cambiamento da parte delle associazioni sono :
- la necessità del censimento obbligatorio delle aree e degli immobili inutilizzati, strumento necessario per attuare davvero in piena consapevolezza il recupero e la rigenerazione urbana, fornendo alternative vere al consumo di suolo vergine
- la necessità di sostanziare di forti obiettivi le politiche di rigenerazione urbana per evitare di ricostruire parti di città con gli stessi limiti attuali. Occorre puntare su interventi di grande qualità urbanistica, ambientale e sociale: questo è possibile utilizzando procedure di selezione dei progetti trasparenti, con una forte partecipazione dei cittadini, che la Regione deve promuovere, incentivandone l’uso in maniera più incisiva e convinta di quanto previsto nel DL attuale. Gli interventi dovranno riguardare sia gli edifici che gli spazi pubblici circostanti e dovranno prevedere l’inserimento di edilizia sociale, di spazi e strutture di servizio pubblico; dovranno garantire alti standard di qualità ambientale e architettonica, la riduzione dei consumi idrici e di quelli energetici, la riduzione delle aree impermeabili, di potenziare e qualificare la presenza del verde all’interno dei tessuti urbani, e di una mobilità all’interno dei quartieri incentrata sugli spostamenti pedonali, ciclabili e sull’accesso alle reti e nodi del trasporto pubblico.
I problemi dell’urbanistica visti in questi anni non riguardano solo l’uso fisico del territorio (la grandissima quantità di suolo consumata) ma anche temi sociali e di accesso alla casa: il diritto all’alloggio anche in Emilia Romagna rimane un dramma per una parte della popolazione, come giovani e nuove famiglie, nonostante il modello di sviluppo edilizio di questi decenni abbia generato decine di migliaia di case vuote.
Per questo da parte della legge urbanistica serve una chiara scelta di cambiamento e discontinuità rispetto al passato.
Da questo punto di vista il problema del testo attuale è che la rigenerazione rischia di rimanere una parola vuota. In primo luogo per l’ampia possibilità di deroga per residua di costruire su suolo vergine che, senza apprezzabili aggravi di costi, di fatto costituisce il primo disincentivo a ripensare le periferie delle città emiliane. Ma soprattutto la Legge non indica con chiarezza quale idea di città e di sostenibilità intenda spingere nelle operazioni di, cosiddetta, riqualificazione.
Vista l’importanza delle scelte di natura urbanistica sulla vita di tutti i cittadini Legambiente e l’Ordine degli Architetti di Bologna chiedono che la legge indichi con chiarezza che il lavoro del futuro sui centri urbani dovrà essere quello per renderli più inclusivi e più sostenibili.
La qualità della vita delle persone e delle comunità è estremamente dipendente dalle scelte urbanistiche che intervengono sui territori in base al modello di sviluppo che si intende perseguire; per questo Legambiente e Architetti Bologna chiedono che la Legge contribuisca in modo determinante a fissare, in modo chiaro, gli obiettivi per un reale cambiamento del modello di sviluppo, consentendo alla nostra Regione, di fare dei significativi passi avanti nella direzione auspicata di una forte consapevolezza verso i temi ambientali economici e sociali.