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IRAN. Un anno fa la morte in custodia della polizia di Mahsa Amini: indossava male il velo. Il 16 settembre 2022 nasceva il primo movimento guidato da donne in un paese islamico. Il regime si prepara ll’anniversario con arresti, minacce, droni e migliaia di milizie

L’immagine di Mahsa Amini a una manifestazione a Berlino (Ap) L’immagine di Mahsa Amini a una manifestazione a Berlino - Ap

Centinaia di arresti preventivi, licenziamento dei docenti universitari e degli insegnanti più critici, minacce alle famiglie delle vittime, obbligo per gli attivisti di prendere l’impegno, per iscritto, di non partecipare alle eventuali manifestazioni: così la Repubblica Islamica si è preparata ad affrontare l’anniversario della morte di Mahsa Amini. Come se non bastasse, sono state installate telecamere 3d con software sofisticati per il riconoscimento facciale in ogni angolo della città, e addestrate milizie, che saranno assistite dai droni, per soffocare eventuali disordini sul nascere.

UN ANNO FA si diffondeva la notizia della morte di Mahsa Amini, ventiduenne, fermata pochi giorni prima dalla polizia morale a Teheran perché indossava in maniera non corretta il velo obbligatorio. La notizia viene divulgata da una giovane giornalista, Niloofar Hamedi, e il funerale viene raccontato da un’altra collega, Elaheh Mohammadi. Entrambe vengono arrestate e rimangono tuttora in carcere.

La straziante morte di Mahsa enfatizza la discriminazione, la libertà negata e la

La presa di posizione dopo la compravendita di ettari che paiono edificabili nel cuore dell’area protetta: “Non si potrà mai costruire nulla”

Stefano Bonaccini e l'area acquistata dall'immobiliare romana Stefano Bonaccini e l'area acquistata dall'immobiliare romana

Bologna, 17 agosto 2023 – “Nessuno può fare nulla in quelle aree che possa essere in contrasto con la tutela dell’ambiente. Nel senso più ampio dell’espressione e a prescindere dalla proprietà dei terreni”. E’ netta la presa di posizione del presidente della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, sull’affaire Ortazzo-Ortazzino, a Lido di Classe, che coinvolge una zona della pineta ravennate nel Parco del Delta del Po. Si tratta di una zona di circa 500 ettari, venduti dall’immobiliare locale a una romana: nel contratto di compravendita, datato 1 marzo 2023, emerge che 90 ettari di quei terreni (ora seminativi) sarebbero edificabili, verosimilmente quelli ricadenti nella zona C del Parco.

 

“Nei Parchi e nelle aree protette ci sono da sempre territori di proprietà privata - sottolineano Bonaccini e l’assessore alla Programmazione territoriale e parchi, Barbara Lori -. Ma questo non è rilevante, se si teme che in quelle aree si possa fare o costruire qualcosa. Semplicemente, non si può. Perché ci sono vincoli, anche edificatori, molto rigorosi”.

“Vincoli che nessuno può negare o mettere in discussione - spiegano presidente e assessore - Come non può essere messo in discussione l’impegno di questa Regione, degli Enti locali e degli Enti gestori dei Parchi per sostenere e valorizzare il patrimonio naturale e di biodiversità dell’Emilia-Romagna. E stiamo parlando di un sistema articolato che vale quasi il 17% del territorio regionale”

La revisione del Pnrr e del capitolo Repower Eu taglia interventi e risorse per la decarbonizzazione e rallenta la transizione ecologica

 Foto: Siegfried Poepperl da Pixabay

agli, tagli e ancora tagli. La revisione del Pnrr presentata dal governo alla Commissione europea, in cui si riscrivono 144 misure del Piano nazionale di ripresa e resilienza, per il capitolo ambiente definanzia anziché potenziare le risorse per la decarbonizzazione, toglie invece di implementare la progettualità per la transizione ecologica, diminuisce anziché aumentare l’impegno per raggiungere gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile.

Nonostante le rassicurazioni che il ministro Fitto si è premurato di dare a Regioni, Comuni, Città metropolitane e Province, turbati dalle incertezze create dai suoi annunci, confermando l’innocuità della partita di giro dei fondi da lui prospettata, le sottrazioni ci sono, eccome.

Azzerato l’eolico offshore

“Tanto per cominciare, per quanto attiene alla Missione 2 le modifiche più rilevanti riguardano il definanziamento delle misure che hanno lo scopo di introdurre produzione di energia rinnovabile da fonti più innovative (capitolo M2C2)", dichiara Simona Fabiani, responsabile Cgil nazionale Politiche per clima, territorio, ambiente, trasformazione green e giusta transizione: "675 milioni di euro tolti agli impianti innovativi, inclusi l’eolico offshore (in mare aperto, ndr). Il motivo? L’incompatibilità dell’iter autorizzativo con i tempi di realizzazione del Piano. Eppure sono già presenti circa 70 progetti per la realizzazione di impianti di eolico offshore”.

Poi c’è l’impiego dell’idrogeno nei siti industriali cosiddetti hard to abate, cioè dove è difficile abbattere le emissioni di Co2 nell’atmosfera, in questo caso nella produzione dell’acciaio: il finanziamento viene ridotto di 1 miliardo, con l’impegno molto generico di proseguire il progetto con altre risorse nazionali, senza specificare quali sono. Per ora di sicuro c’è il taglio.

Rigenerazione dove sei?

Altri capitoli fortemente penalizzati sono quelli dei progetti di rigenerazione urbana, i piani urbani integrati, gli interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio, l’efficienza energetica dei Comuni. Per questa ultima voce, 6 miliardi di euro distribuiti per l’efficientamento energetico, la messa in sicurezza anche antisismica del territorio e degli edifici, il miglioramento dei sistemi di illuminazione pubblica.

“Stiamo parlando di ben 39.900 piccoli e 7.200 medi lavori pubblici, di cui i primi mille andavano completati entro dicembre di quest’anno e gli altri per marzo 2026", prosegue Fabiani: "Anche in questo caso viene segnalata la possibilità di ricorrere a fonti di finanziamento nazionali, e anche in questo caso le fonti non sono indicate. Quindi, l’unica cosa certa a oggi è il taglio”. Le criticità che vengono indicate riguardano tra l’altro la fase attuativa, a dimostrazione del fatto che si tratta d'interventi già finanziati e cantierizzati, con appalti aggiudicati e progettazione in corso.

Alluvione, come se niente fosse successo

La revisione del Pnrr presentata dall’esecutivo propone anche il definanziamento dell’investimento sulle misure per la riduzione e la gestione del rischio di alluvione, nonostante che la Commissione europea abbia espressamente richiamato il nostro Paese nelle sue raccomandazioni ad agire per combattere il dissesto idrogeologico, anche in riferimento alle alluvioni devastanti di maggio scorso. Rimodulazioni sono previste inoltre per gli investimenti per il trasporto rapido di massa, per il supporto alla filiera dei bus elettrici, alle infrastrutture per la mobilità sostenibile.  

 

Capitolo Repower Eu

“Come se non bastasse, oltre ai tagli alle rinnovabili e all’efficientamento contenuti nella rimodulazione del Piano – conclude Fabiani -, le nuove misure proposte per il RepowerEu (il piano europeo per risparmiare, produrre energia pulita e diversificare il nostro approvvigionamento, ndr) puntano su un rafforzamento degli investimenti e delle infrastrutture per le fossili, in particolare per il gas. In pratica, anziché dare un’accelerata alla decarbonizzazione e alla transizione ecologica in tutti i settori economici, anziché spingere sul risparmio e l’efficienza, investire sulla prevenzione, l’adattamento al cambiamento climatico, la tutela degli ecosistemi, stiamo andando nella direzione opposta”.  

 

Foto: Marco Merlini

Questo governo, quindi, è ancora ostinatamente e fortemente orientato verso le fossili e non verso le energie alternative. Un’ulteriore dimostrazione? Mentre mancano il decreto per l’individuazione delle aree idonee per le rinnovabili e quello attuativo sulle comunità energetiche, è stato varato il decreto per i rigassificatori, che prevede tutte infrastrutture e le opere ritenute di interesse strategico. La priorità data alle fonti che inquinano non è un’opinione, ma un dato di fatto

Lontan da te non si può star!

Setiserve è nato nel cuore della Romagna per mettere in contatto donatori privati con persone colpite dall'alluvione

Sei stato colpito dall'alluvione o vuoi donare qualcosa?

Nasce il portale:

setiserve.it

per mettere in contatto le persone, le attività o le realtà che hanno perso le proprie cose a causa delle alluvioni con i donatori.


Attraverso il portale privati e aziende potranno mettere a disposizione GRATUITAMENTE mobili, oggetti o servizi di qualunque tipo, che la popolazione colpita dall'alluvione potrà selezionare sulla base delle proprie personali esigenze e necessità.

Si tratta di uno strumento fondamentale per continuare a raccogliere la solidarietà e la generosità dei cittadini in modo continuativo e a lungo termine, anche quando i riflettori della cronaca nazionale inizieranno a spegnersi.
Ricordiamo inoltre che molti dei cittadini colpiti dall'alluvione potrebbero non rientrare in casa ancora per diversi mesi. Per questo motivo, alcune donazioni ad oggi creerebbero, per alcuni di loro, disagi logistici e organizzativi. Attraverso setiserve.it saranno direttamente i singoli privati a definire le proprie tempistiche, dando a tutti la possibilità di accedere alle donazioni.

La piattaforma mette in contatto diretto utenti donatori e bisognosi, pertanto gli accordi sulla spedizione, la consegna o il ritiro degli oggetti sono gestiti direttamente tra gli utenti che ne sono responsabili.
Per questo, il donatore potrebbe richiedere una prova dell'attività o dell'abitazione alluvionata, ad esempio domandando l'indirizzo o una foto.

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Con tutto quello che sta succedendo, la gente non ci capisce più nulla. Siccità, alluvioni, grandinate, trombe d’aria, case scoperchiate, alberi abbattuti, tralicci divelti. E allora per orientarsi è il caso di sentire chi capisce di clima e di meteo. Il ricorso a un professionista come Pierluigi Randi, presidente AMPRO, è d’obbligo. Oltretutto Randi è letteralmente “sul campo”, perché in Romagna ci abita e dista solo pochi chilometri dagli ultimi eventi disastrosi che sabato 22 luglio hanno sconvolto un pezzo della Bassa Romagna e del Ravennate.

 
Pierluigi Randi

L’INTERVISTA

Randi, che cosa sta succedendo? La gente se lo sta chiedendo sempre più impressionata e anche un po’ impaurita dal succedersi di eventi estremi.

“Partiamo dalla fine. Quello che è successo stamattina non è anomalo, al contrario di quello che è successo sabato. Questa mattina abbiamo avuto certamente forti raffiche di vento di Libeccio che noi qua chiamiamo Garbino, è il vento che viene da sud-ovest e scende dall’Appennino. È un fenomeno abbastanza comune nella nostra zona: la cosiddette “sgarbinate” sono frequenti. In ogni caso, oggi ci sono state raffiche importanti, specialmente sul Faentino e sul Forlivese, perché localmente hanno superato i 100 km/h. Più a valle, verso la costa, il vento ha soffiato a 60, 70 e in qualche caso a 80 km/h. Ma ogni tanto questo accade. Nel 1999 si superarono i 120 km/h. È estremamente raro, anzi non era proprio mai accaduto in precedenza quello che è capitato sabato scorso, fra Conselice, Voltana, Alfonsine, fino a Savarna. Lì abbiamo fatto degli accertamenti proprio sul luogo, con un lungo sopralluogo domenica pomeriggio, con l’ausilio di immagini radar e anche un paio di filmati che ci sono stati forniti: siamo arrivati alla conclusione che in quel tratto è passato un tornado anche piuttosto intenso, di categoria F2 – F3. Vuol dire un tornado tra il moderato e il forte, con raffiche comprese tra 250 e 300 km/h. Un evento di questo genere compare per la prima volta nella nostra provincia.”

In un primo momento lei aveva parlato di raffiche fino a 130 km orari.

“Sì. Erano i primi dati che arrivavano da una sola stazione, perché purtroppo non ci sono molte stazioni di rilevamento, la più vicina è quella di Alfonsine sud, che però era fuori dal percorso del tornado. E poi lì i 130 km/h sono stati toccati prima che il vento abbattesse il palo della stazione, quindi non è un dato definitivo. L’area dove si sono registrati i danni più terribili è stata quella di Alfonsine nord, tra Voltana e Alfonsine nord, dove non abbiamo stazioni meteo. Inoltre, quando ci sono eventi di questo tipo serve un po’ di tempo, almeno 24-36 ore, per andare ad analizzare bene quanto è accaduto. Dove ha agito il tornado i danni sono enormi: ci sono delle case sventrate, praticamente mozzate a metà, quindi non si è sollevato solo il tetto o non sono solo volate via le tegole, ma metà della casa è stata praticamente staccata dal resto. E i tralicci dell’alta tensione si sono accartocciati su se stessi. Ho parlato con i tecnici di Terna: secondo loro quei tralicci sono progettati per resistere a raffiche fino a 280 chilometri orari. Supponiamo che abbiano esagerato, fermiamoci a 250 km/h: per abbatterli servono raffiche da tornado e quindi abbiamo ormai la certezza che lì è passato un tornado.”

Tornado o tromba d’aria è la stessa cosa?

“Sono la stessa cosa. Semplicemente tornado è il termine internazionale, mentre tromba d’aria e la nostra terminologia italiana.”

Noi siamo abituati a considerare i tornado associandoli soprattutto ai paesi tropicali.

“Per i paesi tropicali, i Caraibi, il Sud degli Usa parliamo piuttosto di uragani. L’uragano è una cosa diversa dal tornado. Gli uragani sono delle enormi depressioni che durano alcuni giorni, hanno un raggio d’azione anche di 300-400 chilometri e sono distruttivi. I tornado o trombe d’aria sono tipici invece delle medie latitudini e di breve durata. Li abbiamo nelle grandi pianure degli Stati Uniti, il Texas, l’Arkansas e tutta la zona centrale degli Stati Uniti, è là dove ci sono più tornato nel mondo. Però anche in Europa e in Pianura Padana ci sono i tornato. Il 3 maggio 2013 ci furono due tornado ancora peggiori di quello di sabato scorso tra le province di Modena e Bologna. In provincia di Ravenna è la prima volta che abbiamo un evento di questa intensità.”

Lei ricorda però che abbiamo avuto il fortunale del luglio 2016 a Ravenna e quello del luglio 2019 a Milano Marittima. E poi c’è stato un episodio l’altro giorno sempre a Cervia.

“Sì. Noi siamo ricchi di trombe marine che si formano sul mare e a volte poi si abbattono anche sulla costa. Sono molto più rari i tornado di terra, come quello di sabato, che mediamente sono più violenti rispetto alle trombe marine. Non si scherza nemmeno con le trombe marine, ma i tornato di terra sono ancora più pericolosi perché mediamente sono più violenti.”

Come si formano esattamente i tornado? Se non abbiamo capito male si formano per il combinato disposto dell’aria calda che staziona in basso che si mescola all’aria più fredda che arriva negli strati più alti dell’atmosfera.

“Sì, questo è un elemento molto importante, ma ci sono due elementi che possono concorrere alla formazione di un tornado. Sicuramente la presenza di aria estremamente calda e umida nei bassi strati che si scontra con l’aria più fredda lassù in quota è il primo elemento. Però se così fosse avremmo molti tornado, perché sono situazioni che si presentano abbastanza spesso in estate. C’è un secondo fattore, una particolare disposizione dei venti in quota, cioè i venti devono cambiare direzione e velocità molto bruscamente, salendo di quota. È quello che poi dà inizio alla cosiddetta rotazione, il temporale diventa un temporale a supercella. Cioè è come un trottolone che ruota su se stesso: questa rotazione viene impressa da una particolare disposizione dei venti partendo dal suolo fino a 9-10.000 metri. Se cambiano direzione bruscamente e aumentano bruscamente di velocità il rischio di tornado aumenta sensibilmente e sabato avevamo proprio quelle condizioni lì. Per fortuna però il tornado si forma solo nel 5% dei casi, vuol dire che tutte le tessere del mosaico, tutte tutte devono andare a posto, in senso negativo. Se ne manca anche solo una il tornado non si forma e per fortuna.”

In definitiva possiamo dire che questo 2023 è il nostro annus horribilis.

“Sì, oserei dire funesto o nefasto, perché si stanno sovrapponendo eventi estremi a catena. Se consideriamo i danni e gli effetti sul territorio, l’alluvione è di gran lunga l’evento peggiore, però dobbiamo cominciare a inserire nel novero la siccità, le gelate tardive di aprile e poi le grandinate anche violente che abbiamo avuto tra giugno e luglio, poi questo evento qua. Il vento di questa mattina tra tutti questi è il fatto meno anomalo.”

Lei non ha la palla di vetro, ma cosa dobbiamo ancora aspettarci?

“Oggi il rischio è un po’ alto, però secondo me è più a nord del Po, cioè nella parte di Pianura Padana a settentrione del Po. Chiaramente la garanzia non c’è mai, quindi un minimo di attenzione-apprensione la possiamo avere lo stesso. Direi comunque che non dovremmo essere tra le zone più a rischio fra oggi e domani. Dopo questa massa d’aria caldissima se ne andrà, da domani le temperature diminuiranno e torneranno nella norma. E quindi contestualmente si abbasserà anche il rischio di temporali violenti, cioè potranno esserci temporali, ma uso il virgolettato, normali. Dopodiché, ripeto, per il resto della settimana le temperature dovrebbero essere nella norma, un caldo normale per il periodo. Si va verso una normalizzazione e un periodo più tranquillo.”

Diamo uno sguardo all’orizzonte più lontano, tutte queste cose che cosa ci dicono? Ci dicono che il cambiamento climatico è una cosa terribilmente seria, che bisogna smetterla di fare delle discussioni da salotto, prenderne atto e cominciare a fare per davvero le cose necessarie?

“Sono d’accordo. Lei ha perfettamente sintetizzato quella che è la situazione attuale. Le discussioni da bar o da salotto, a seconda dei gusti, devono finire. Dobbiamo prendere atto della crisi climatica e remare tutti nella stessa direzione. Abbiamo un notevole supporto che arriva dalla comunità scientifica che ci dice come già adesso cominciamo a vedere gli effetti degli eventi estremi, eventi che in futuro saranno più frequenti. Questo non vuol dire che ci saranno un giorno sì e un giorno no, per carità. Però sta cambiando la statistica degli eventi estremi. Il tornado in Pianura Padana o le grandinate rovinose ci sono già stati in passato, però adesso stiamo osservando che tra un episodio e l’altro si accorciano i tempi. Se un tornado veniva ogni 10 anni adesso arriva ogni 2. Se una grandinata veniva ogni 4-5 anni adesso ne arrivano due nello stesso anno. E inoltre questi fenomeni aumentano di intensità e provocano più danni. Dopodiché ci dobbiamo mettere dentro le ondate di calore che abbiamo visto durano di più e sono più intense: ieri 47/48 gradi in Sardegna e in Sicilia, certo, non in Romagna. Ma siamo comunque sempre in Italia.”

Ma ieri c’era un’umidità che non si respirava nemmeno qui.

“Avessimo avuto l’aria più secca, come è normale che abbiano in Sicilia e in Sardegna, ieri o nei giorni precedenti avremmo superato comodamente i 40 gradi anche da noi. Non li abbiamo superati perché la massa d’aria era estremamente umida.”

Che futuro ci aspetta?

“Il futuro è questo qua, probabilmente sarà anche un po’ peggiore. Nel senso che gli eventi estremi, compresa anche la siccità – perché la siccità del 2021 e 2022 rientra nella categoria degli eventi estremi – diventano più frequenti e sarà sempre peggio. Quindi le parole chiave sono adattamento e mitigazione. Particolarmente importante è l’adattamento e quello che abbiamo vissuto, soprattutto a causa dell’alluvione, deve essere un insegnamento in questo senso. Ma il cambiamento climatico non può diventare un alibi. Non si deve né si può dire, non possiamo farci nulla, non è colpa nostra, e quindi avanti così. No, quello che è accaduto deve essere uno sprone per agire sul territorio. Il nostro territorio va riconsiderato e rimodellato e reso resiliente, ma qui poi entrano in gioco i decisori politici. Però dobbiamo prenderci le misure, a livello di comunità, senza lotte insensate fra Guelfi e Ghibellini. Non è vero che il film è sempre quello, non è normale che faccia così caldo, non è normale che arrivi un tornato con vento fino a 300 km/h. Dobbiamo abbandonare certi atteggiamenti negazionisti, perché altrimenti perdiamo di vista l’obiettivo di adattarci al clima che cambia davvero.”

ELEZIONI SPAGNA. Tirare un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo è giusto e naturale. Per alcune ragioni che ci vengono nettamente indicate dall’esito delle elezioni politiche spagnole del 23 luglio

L’onda nera non è finita, ma il caso italiano resta isolato

Tirare un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo è giusto e naturale. Per alcune ragioni che ci vengono nettamente indicate dall’esito delle elezioni politiche spagnole del 23 luglio. La prima è che esiste ancora una maggioranza di cittadini europei che temono i fascismi e dunque coloro che, nel tempo presente, ne reinterpretano e modernizzano le eredità. La seconda è che il “modello italiano”, per quanto i neofascismi siano stati sdoganati quasi ovunque (tranne in Germania dove, pur traballando, sopravvive l’”arco costituzionale” che esclude Afd) non è così facilmente esportabile in altri contesti dove le sensibilità politiche sono meno ottuse che da noi e meno forti le tradizioni corporative. Il caso italiano, nel bene e nel male, è destinato a rimanere un “caso”.

La terza ragione è che il progetto di