Il messaggio inviato al vertice su clima e finanza in corso a Parigi: con un'imposta dell'1,5% sulle ricchezze estreme, lo stop ai sussidi alle fossili e la sospensione del debito dei Paesi poveri, avremmo 3,5 trilioni di dollari all'anno da investire in mitigazione e adattamento.
I governi del Nord del mondo dovrebbero reindirizzare trilioni di dollari attualmente elargiti alle fossili o bloccati nei debiti dei Paesi poveri o nei patrimoni dei super-ricchi, destinandoli invece alla soluzione di crisi globali come quella climatica e ambientale.
È quanto chiedono oltre 150 economisti ed esperti in una lettera aperta inviata ai leader politici dei Paesi ricchi in occasione del “Vertice per un nuovo patto di finanziamento”, in corso a Parigi con l’obiettivo di stabilire una roadmap aggiornata sui finanziamenti per il clima.
Nella capitale francese, oggi e domani, quasi 40 capi di Stato e di governo e un numero analogo di ministri e rappresentanti di alto livello finalizzeranno una tabella di marcia per la riforma delle istituzioni finanziarie pubbliche mondiali, degli aiuti all’estero e dei finanziamenti per il clima.
I partecipanti al vertice dovrebbero presentare proposte concrete sulla creazione di un fondo per le perdite e i danni climatici, da destinare al salvataggio e alla ricostruzione dei Paesi colpiti da disastri legati al clima, in vista del vertice sul clima della Cop28 delle Nazioni Unite, previsto in novembre a Dubai.
La Cop28 dovrebbe quindi includere delle indicazioni su come finanziare il fondo, comprese potenziali nuove tasse sui combustibili fossili.
Alcuni di questi obiettivi sono già stati in parte raggiunti durante il vertice di Parigi. La Banca Mondiale, per esempio, ha deciso di iniziare a sospendere i pagamenti del debito dei Paesi colpiti da catastrofi climatiche. Tuttavia, queste “clausole sul debito resiliente al clima” si applicheranno solo ai nuovi prestiti, e non a quelli già esistenti.
Sulla questione di come raccogliere risorse finanziarie, l’Unione europea vorrebbe che più Paesi ricorressero allo scambio di certificati di emissioni per generare nuovi proventi da destinare al clima. Alcuni Paesi in via di sviluppo, però, non sono entusiasti di questa prospettiva, che considerano complessa e più adatta alle economie avanzate.
La sensazione è che sarà difficile raggiungere un compromesso sulla questione tasse.
La lettera
Secondo i 150 economisti ed esperti firmatari della missiva che citavamo, è necessaria una trasformazione radicale del sistema finanziario globale, che deve reindirizzare risorse attualmente alla base dei cambiamenti climatici e delle disuguaglianze, e cioè: i finanziamenti e i sussidi ai combustibili fossili, gli ingiusti debiti coloniali e l’insufficiente tassazione dei super ricchi, secondo i firmatari della lettera aperta.
Poiché il vertice in corso a Parigi rappresenta solo il primo passo di un percorso di riforme destinato a durare fino a novembre e poi per almeno altri 18 mesi, la lettera rimane aperta e chi la vuole firmare potrà ancora farlo a questo link.
Qui di seguito, il testo integrale, tradotto in italiano:
I governi del Nord globale possono reindirizzare trilioni di [dollari in] fossili, debiti e danni dei super-ricchi per risolvere le crisi globali. Il Vertice di Parigi deve essere finalizzato a costruire la tabella di marcia per farlo.
Con l’intensificarsi dei disastri climatici e con un numero crescente di persone costrette a scegliere tra riscaldamento e cibo, o tra trasporto e riparo, la pressione dell’opinione pubblica ha spinto i leader mondiali a organizzare il “Vertice di Parigi per un nuovo patto di finanziamento” nel giugno 2023. Ospitato dal presidente francese Emmanuel Macron e dal primo ministro indiano Narendra Modi, il vertice viene presentato come il primo passo di una tabella di marcia biennale per la revisione dell’architettura finanziaria globale. L’obiettivo dichiarato del Vertice è “costruire un nuovo contratto tra i Paesi del Nord e del Sud per affrontare i cambiamenti climatici e la crisi globale”.
I sottoscritti economisti ed esperti politici ritengono che, affinché il Vertice possa compiere progressi verso questo necessario obiettivo, i leader del Nord globale, che detengono sia una voce in capitolo eccessiva nella nostra architettura finanziaria globale, sia una responsabilità storica sproporzionata nei confronti del cambiamento climatico, debbano presentare proposte serie per un indennizzo pubblico internazionale.
Lo sblocco e la ridistribuzione dei trilioni di dollari pubblici è ovviamente solo una parte di ciò che è necessario: le nostre regole internazionali in materia monetaria, commerciale, fiscale e di debito sono sistematicamente sbilanciate a favore del Nord globale, consentendo ai Paesi ricchi di drenare un netto di 2 trilioni di dollari all’anno dai loro pari a basso reddito.
Abbiamo bisogno di una trasformazione radicale di questo sistema in uno basato sui diritti, incentrato sulle persone, democratico e trasparente. Ma alla base di quasi tutte le scuse per mantenere le regole così come sono, c’è l’idea che i governi ricchi semplicemente non possono permettersi di pagare la loro giusta parte. Se non facciamo scoppiare questa bolla, sarà difficile coltivare la solidarietà globale necessaria per progredire negli urgenti negoziati multilaterali sul clima e sugli aiuti umanitari.
La realtà è che le finanze pubbliche non sono scarse, soprattutto per i governi del Nord globale. Li abbiamo visti mettere a disposizione trilioni di dollari di spazio fiscale per i salvataggi bancari nel 2008, per le risposte al COVID-19 dal 2020 e per le forze armate e di polizia anno dopo anno. Non mancano le leve per farsi carico della loro giusta parte a favore del clima nell’interesse pubblico e delle soluzioni al costo della vita che sono disperatamente necessarie, sia all’interno dei loro confini che all’estero.
Purtroppo, le proposte più importanti avanzate dai leader del Nord Globale in vista del Vertice dimostrano che c’è il rischio che si trasformi in uno sforzo per etichettare semplicemente in modo diverso degli approcci già esistenti. Finora, la Tabella di marcia per l’evoluzione del Gruppo della Banca Mondiale, i Partenariati per la transizione verso l’energia giusta e le posizioni negoziali dei Paesi del Nord Globale sul fondo per le “perdite e i danni” climatici si basano tutti sull’idea che i governi possano incentivare le banche e le imprese private a costruire soluzioni climatiche e a stimolare lo sviluppo con solo piccoli contributi pubblici e limitate modifiche alle regole.
Dall’agenda “Billions to Trillions” alla promessa di finanziamento per il clima, ancora non mantenuta, di 100 miliardi di dollari all’anno, abbiamo visto questo approccio fallire molte volte, con una leva finanziaria privata di gran lunga inferiore a quella promessa e con i profitti privilegiati rispetto ai benefici per il clima e contro le disuguaglianze – o spesso anche rispetto alle tutele fondamentali dei diritti umani.
Proponiamo che i leader del Nord Globale dimostrino di essere seriamente intenzionati a tracciare un nuovo percorso utilizzando il Vertice per iniziare a spostare i fondi dai settori delle nostre economie che sono più drammaticamente alla base delle nostre attuali crisi:
Smettere di finanziare le fonti fossili e far pagare alle aziende i loro danni
Mentre le famiglie a basso reddito di tutto il mondo sono state spinte ancora di più in povertà negli ultimi anni, le compagnie petrolifere e del gas hanno realizzato profitti record e i Paesi ricchi hanno continuato a sovvenzionarle pesantemente.
Questo non è solo uno schiaffo alla giustizia economica, ma anche alla scienza del clima: nello scenario dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (Iea) che mantiene il 50% di possibilità di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, si assiste a un rapido abbandono dei combustibili fossili e a nessun nuovo investimento nella produzione di combustibili fossili o in infrastrutture per il gas naturale liquefatto (GNL).
La fine delle sovvenzioni ai combustibili fossili nei soli Paesi del G20 ad alto reddito permetterebbe di raccogliere circa 500 miliardi di dollari all’anno. E le stime più autorevoli di una risposta permanente circa le tasse sui combustibili fossili oscillano tra i 200 e i 300 miliardi di dollari all’anno.
C’è anche già uno slancio per fermare una forma particolarmente influente di sostegno ai combustibili fossili, la finanza pubblica internazionale. Le promesse fatte finora porrebbero fine a 38 miliardi di dollari all’anno, che giocano un ruolo di primo piano nel blindare le grandi infrastrutture fossili nei Paesi ricchi, e li sposterebbero verso soluzioni rinnovabili. Se alcuni dei principali Paesi ritardatari, tra cui Giappone, Germania, Italia e Stati Uniti, manterranno le promesse fatte al Vertice, si farà molta strada per consolidare la finanza pubblica senza fossili come norma globale.
Cancellare i debiti illegittimi del Sud globale
Gli ultimi anni di crisi globale hanno aggravato i debiti già insostenibili di molti Paesi in via di sviluppo, prosciugando i fondi pubblici che sono assolutamente necessari per fornire servizi sociali vitali e azioni per il clima. Questi debiti sono anche ingiusti, essendo stati contratti attraverso il nostro sistema finanziario globale neocoloniale o, in molti casi, durante il periodo coloniale.
Due primi passi che i leader del Nord globale possono compiere al Vertice di Parigi sono la cancellazione incondizionata del debito pubblico estero per almeno i prossimi quattro anni per tutti i Paesi a basso reddito (stimato in 300 miliardi di dollari all’anno) e il sostegno, anziché il blocco, allo sviluppo di un nuovo meccanismo multilaterale per la cancellazione e la ristrutturazione del debito sovrano nell’ambito delle Nazioni Unite.
Tassare i ricchi
L’1% più ricco si è accaparrato i due terzi della nuova ricchezza globale creata negli ultimi due anni, mentre si assiste probabilmente al più grande aumento della disuguaglianza e della povertà globale dalla Seconda Guerra Mondiale. Imposte progressive sulle ricchezze estreme, a partire dal 2%, farebbero aumentare la cifra da 2,5 a 3,6 trilioni di dollari all’anno, e le proposte correlate per reprimere l’evasione fiscale aumenterebbero in modo significativo questo risultato.
I leader del Nord del mondo possono dimostrare la loro serietà iniziando con una tassa iniziale dell'”1,5% per 1,5°C” sulle ricchezze estreme e destinandola al nuovo fondo per le perdite e i danni, e accettando di portare avanti una Convenzione fiscale universale e intergovernativa delle Nazioni Unite.
Nel loro complesso, queste modeste proposte ammontano ad almeno 3,5 trilioni di dollari all’anno. Una nuova ricerca pubblicata su Nature Sustainability stima che il debito climatico equo dei Paesi ricchi sia doppio, pari a 7 trilioni di dollari all’anno fino al 2050.
Ma anche questo riorientamento iniziale dei flussi economici dannosi avrebbe un impatto sbalorditivo: basterebbe a colmare il divario nell’accesso universale all’energia (34 miliardi di dollari), a raggiungere il “livello minimo” del fondo per le perdite e i danni (400 miliardi di dollari all’anno), a soddisfare completamente, seppur in ritardo, l’obiettivo di finanziamento del clima (100 miliardi di dollari all’anno) e a coprire gli appelli umanitari di emergenza delle Nazioni Unite (52 miliardi di dollari all’anno) con abbondanza di fondi.
Questi impegni contribuirebbero anche ad aprire lo spazio politico necessario per riorganizzare l’architettura finanziaria globale così da incanalare in modo efficace ed equo il denaro pubblico necessario per uscire dalla poli-crisi. Non possiamo permetterci niente di meno.
Manifestazione nazionale il 24 giugno a Roma per difendere la sanità pubblica: aderiscono Cgil, Anpi, Arci, Acli e Libera dell’Emilia-Romagna
Cgil, Anpi, Arci, Acli e Libera dell’Emilia-Romagna saranno sabato 24 giugno a Roma per difendere la sanità pubblica. E poi il 30 settembre sempre in piazza contro l’autonomia differenziata. Si tratta, dicono, di “due manifestazioni nazionali per proporre un vero cambiamento: applicare la Costituzione e lottare contro la precarietà dilagante. Sono i due appuntamenti che un’ampia rete di associazioni laiche e cattoliche riunite nell’Assemblea ‘Insieme per la Costituzione’, organizzano e promuovono per tentare di rianimare il dibattito pubblico e scuotere il Paese dall’apatia democratica testimoniata anche dai continui record di astensione alle urne. Diritto al lavoro, diritto alla salute, diritto all’istruzione, ad un ambiente sano e sicuro, contrasto alla povertà, una politica di pace: sono questi i cardini del modello sociale e di sviluppo disegnato dalla Costituzione che secondo le associazioni aderenti deve essere favorito da adeguate e coerenti politiche.”
La manifestazione nazionale del 24 giugno a Roma – con concentramento in Piazza della Repubblica ore 10 e comizio conclusivo in Piazza del Popolo – si focalizza sulla difesa del diritto alla salute delle persone e nei luoghi di lavoro e per la difesa e rilancio del Servizio Sanitario Nazionale, pubblico e universale. “Oggi infatti, a causa dei continui tagli e definanziamenti al Fondo nazionale, quello alla salute non è più un diritto costituzionalmente garantito ma un diritto finanziariamente condizionato, legato, cioè, alla quota di risorse che ciascuna famiglia è in grado di destinare dal proprio bilancio familiare” dicono le associazioni.“Liste di attesa infinite, ricorso sempre maggiore a prestazioni rese dal privato spostamento di posti letto dal pubblico al privato, introduzione di ‘prestazione a gettone’, ticket onerosi, definanziamento del Ssn, della riabilitazione e della tutela della salute mentale. In altre parole, in tutto il territorio nazionale va avanti la corsa a privatizzare il sistema sanitario nazionale, che un tempo era il migliore al mondo e che oggi si trova al diciassettesimo posto.In questo modo, ogni giorno tantissimi cittadini, in particolare fragili e a basso reddito, sono costretti a rinunciare alle cure. Si è visto durante la pandemia, cosa significa occuparsi della salute dell’intera popolazione e non solo dei “clienti” che consumano le prestazioni sanitarie dei privati. In quei drammatici momenti è stato dunque ribadito il concetto di salute come diritto fondamentale sottolineando il fatto che lo è sia per l’individuo sia per la collettività così come scritto nella Costituzione.Per questo non ci rassegneremo al disegno del governo Meloni che, dietro a una cortina di propaganda, sta procedendo ad una privatizzazione di fatto del nostro Sistema Sanitario Nazionale.”
Scritto da Elena Marisol Brandolini, BARCELLONA su il manifesto
EUROPA. Verso il voto del 23 luglio. Il prezzo da pagare per il nuovo cartello elettorale è la rinuncia a presentare in lista Irene Montero, ministra delle Pari opportunità
Yolanda Díaz, leader di Sumar - Ap
«Non domanderò che ci votino per paura. Il nostro è un grande patto per la speranza, vinceremo il paese»: così Yolanda Díaz, ministra del Lavoro e vicepresidente del governo spagnolo, nel suo primo discorso pubblico come leader del nuovo cartello elettorale Sumar, finito di allestire venerdì, mettendo insieme tutte le formazioni alla sinistra del Psoe, in un’unica lista per concorrere alle elezioni politiche del 23 luglio. «Una notizia più che positiva», argomentava un’ora prima il presidente del governo Pedro Sánchez, aprendo la riunione del Comitato federale socialista, in riferimento all’accordo siglato tra Podemos e Sumar.
UN’INTESA RAGGIUNTA venerdì, ultimo giorno utile per presentare le coalizioni elettorali, sbloccata dalla decisione di Podemos di esserne parte. Indispensabile per provare a impedire che PP e Vox totalizzino la maggioranza assoluta dei voti per installarsi al governo e iniziare così un’epoca di arretramento nei diritti sociali e di cittadinanza. Pensata per mobilitare il voto dell’elettorato di sinistra da reinvestire in una nuova scommessa di governo progressista. Non esente però da strascichi di conflitti personali e politici, che potrebbero screditare il successo dell’iniziativa.
Era stata infatti la segretaria di Podemos e ministra dei Diritti sociali Ione Belarra a sciogliere la riserva del suo partito, poco prima delle 14 di venerdì: «Oggi la firma di Podemos nella coalizione è garantita, concorreremo alle elezioni con Sumar», diceva, dopo avere ringraziato gli iscritti che avevano partecipato alla consultazione online sul negoziato e averne avuto l’avallo con il 93% dei voti. Da quando Sánchez ha convocato le elezioni anticipate, dopo l’ascesa delle destre nelle elezioni locali dello scorso 28 maggio, il negoziato con Sumar delle diverse forze alla sinistra del Psoe ha subito una forte accelerazione. E dalle strutture territoriali di Podemos sono arrivati alla direzione del partito numerosi appelli alla lista unitaria. Senso di responsabilità per arrestare l’avanzata delle destre e senso del limite nel riconoscere la sconfitta di maggio come un presagio, hanno poi fatto il resto.
MA L’ACCORDO di Podemos con Sumar ha un prezzo elevato, perché implica la rinuncia della formazione viola a presentare in lista Irene Montero, ministra delle Pari opportunità, nonostante abbia guidato una legislatura spiccatamente femminista. Sacrificio imposto da Sumar all’esponente di Podemos per avere promosso la legge del Solo sì è sì che, nel riunificare le fattispecie di aggressione sessuale in un unico reato, ha comportato l’abbassamento delle pene di prigione in circa un migliaio di casi. Perciò Belarra, venerdì, nell’annunciare l’adesione a Sumar, insisteva per voler arrivare a un accordo giusto, senza veti. La firma però giungeva in serata senza cambiamenti. E il rischio è che questa vicenda sia ancora al centro della cronaca politica per altri dieci giorni, fino alla scadenza del termine di presentazione delle liste.
NELLA COALIZIONE Sumar si sono integrati una quindicina di partiti. Oltre a Podemos, Izquierda Unida e una serie di formazioni locali tra cui Más Madrid, presente nella capitale del paese e nell’omonima Comunità, Compromís, radicata nella Comunità valenciana e i Comuns in Catalogna. Nelle ultime municipali di maggio, questi partiti hanno totalizzato 2,2 milioni di voti, nel 2019 ne avevano ottenuti 2,9 milioni. Más Madrid ha perso circa 200.000 voti nella capitale; mentre Podemos ha perso cinque dei sei governi di cui faceva parte ed è rimasto fuori dai consigli di Madrid e Valencia. L’ambizione è che la lista unitaria sia almeno capace di recuperare quanto perso negli ultimi tre anni e mezzo
LE AUDIZIONI IN COMMISSIONE. Costituzionalisti, ma anche banche e Confindustria, attaccano il progetto del ministro Calderoli. Domani arrivano le firme al disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare. Intanto il presidente del Coordinamento, Villone, porta ai senatori i suoi emendamenti per mettere dei limiti alla devoluzione e salvare il ruolo del parlamento
Il ministro degli affari regionali Roberto Calderoli - Ansa
È la seconda settimana di audizioni in commissione affari costituzionali del senato e il disegno di legge Calderoli sull’autonomia differenziata continua a prendere colpi. Andrà avanti così fino al 6 gennaio, quando in conclusione sarà ascoltato anche il servizio bilancio del senato che ha scritto la nota critica che ha fatto inviperire il ministro per gli affari regionali. Ieri a demolire in radice lo strumento scelto dal ministro della legge ordinaria per disegnare la cornice entro la quale inserire le intese stato-regioni, cornice giudicata inadeguata e instabile, sono stati diversi costituzionalisti, da Calvano a Villone, da Azzariti a De Siervo, anche Staiano ha avanzato dubbi sullo strumento legislativo scelto.
Ma la giornata di audizioni ieri è cominciata con l’intervento del vice presidente di Confindustria Grassi, il quale ha definito astrattamente condivisibile l’autonomia differenziata, a patto però di una «concreta» attuazione del «principio di perequazione al fine di compensare gli squilibri sofferti dai territori con minore capacità fiscale». Condividendo «i timori di chi ritiene che il raggiungimento di questi obiettivi, in assenza di uno stanziamento aggiuntivo di risorse, possa non risultare scontato». Come sia possibile concedere alle regioni più ricche di trattenere quote maggiori di tributi, senza impoverire ulteriormente le regioni più povere e senza aumentare le spese per lo stato centrale – così promette il disegno di legge – evidentemente è un dubbio che è venuto anche a Confindustria. Intanto dall’esterno del senato è arrivato sempre ieri l’allarme dell’Associazione bancaria italiana, che in un documento ha ricordato come prevedere competenze regionali in materia bancaria si ponga in contrasto con la regolamentazione che ormai è di livello europeo.
Nella sua audizione Villone ha proposto anche alcuni emendamenti al disegno di legge Calderoli, sia per far recuperare spazio di azione al parlamento, altrimenti emarginato nel disegno attuale, sia per mettere dei limiti al progetto di autonomia. «Grazie al lavoro del ministero di Calderoli che ha elencato oltre 500 funzioni statali» astrattamente delegabili dallo stato alle regioni «possiamo adesso guardare dentro le materie», quelle indicate dall’articolo 117 della Costituzione. In pratica Villone rovescia contro Calderoli il lavoro dei suoi uffici, prevedendo, con gli emendamenti, un divieto assoluto al governo di trattare la devoluzione per alcune funzioni, un divieto relativo per altre, mentre per alcune funzioni residuali resterebbe la possibilità di trattare. Villone è anche presidente del Coordinamento per la democrazia costituzionale che domani consegnerà in senato le firme raccolte per un disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare che ha la stessa finalità di bloccare la devoluzione regionale (ne servivano 50mila, sono più del doppio). Questa legge costituzionali sarà discussa in parallelo a quella ordinaria firmata da Calderoli, mentre gli emendamenti alla legge quadro proposti da Villone saranno certamente presentati dal gruppo di Alleanza sinistra-verdi e sono giudicati interessanti anche dal Pd. «Anche se – dice il senatore e costituzionalista del Pd Giorgis – io continuo a sperare che di fronte alla quantità e qualità di critiche al suo progetto di autonomia differenziata il governo a un certo punto decida di fermarsi». In ogni caso c’è ancora un bel po’ di strada da fare per arrivare ai primi voti in commissione
POLITICA. Intervista al responsabile sud del Partito Democratico
Marco Sarracino - foto Ansa
Marco Sarracino, deputato Pd e responsabile sud della segreteria. La destra ha vinto le comunali, anche in città che per voi non erano impossibili.
Una sconfitta chiara, che deve spingerci ad una analisi molto seria. Siamo in un contesto europeo che vede una netta avanzata delle destre, dalla Grecia alla Spagna. C’è una domanda di protezione sociale fortissima cui il fronte progressista non ha ancora dato risposte adeguate. Infine, non c’è nessuna correlazione tra i due tipi di elezione: negli ultimi due anni abbiamo vinto moltissime elezioni comunali, e poi abbiamo perso male le politiche. Al tempo stesso, se avessimo vinto queste comunali non sarebbe stato un avviso di sfratto a Meloni, per intenderci.
I critici di Schlein sostengono che il Pd si sia spostato troppo a sinistra.
Le primarie hanno dato un esito chiaro e non scontato. È evidente che da un lato non possiamo dimenticare la piattaforma congressuale che ha vinto il congresso e dall’altro occorre muoversi in un’ottica unitaria. D’altronde, senza l’unità non saremo credibili per battere questa destra. Lavoreremo nelle prossime settimane affinché il Pd sia percepito innanzitutto come il partito del lavoro e della lotta alle ingiustizie facendo vivere queste battaglie nel cuore e nella testa degli italiani.
Nei capoluoghi toscani gli elettori vi hanno girato le spalle.
Parliamo di città dove 5 anni fa avevamo già perso. Questa volta, pur non vincendo, siamo stati competitivi. Ma non voglio eludere il problema. Il partito va rafforzato e rinnovato, soprattutto sui territori e senza retorica. Non parlo certo di rottamazione, ma di selezione delle classi dirigenti sulla base della qualità delle battaglie politiche. Dove è stato fatto i risultati si sono visti. Altrove è rimasta l’illusione che il Pd possa bastare a sé stesso. E questo deve cambiare. Alle primarie lo hanno detto tutti i candidati.
Non si può negare che il debutto elettorale di Schlein sia andato peggio delle aspettative.
Il lavoro di costruzione del nuovo Pd deve andare avanti in modo spedito. Saremo il partito del lavoro che fa della questione salariale la priorità dell’agenda politica, che difende davvero chi è sottopagato, sfruttato o disoccupato, il partito di quei tanti giovani costretti ad andare via dalle proprie città. Il partito che difende la sanità e la scuola pubblica. Saremo inoltre molto netti anche sull’autonomia differenziata che penalizza milioni di cittadini del sud e spacca il paese. Mobilitiamo immediatamente il popolo che è venuto a votare alle primarie: donne e uomini che vogliono sentirsi protagonisti dell’opposizione al governo.
Il nuovo profilo del Pd però non si è visto nelle urne.
Era complicato che questo messaggio diventasse maggioritario nella società in meno di tre mesi. Il vero banco di prova per il Pd di Schlein saranno le europee del 2024. Dopo la sconfitta di settembre eravamo tutti consapevoli che si era rotto qualcosa e che non sarebbe bastato votare un nuovo leader per risolverlo. La fase costituente deve andare avanti, il lavoro non è finito. L’alternativa alla destra si costruisce anche nelle battaglie comuni da fare con le forze d’opposizione.
Le prove di alleanza col M5S sono andate male, da Brindisi a Pisa.
Ci sono state luci e ombre. In provincia di Napoli, in grandi comuni Torre del Greco e Quarto abbiamo vinto in alleanza coi 5S. Non esistono modelli da calare sui territori, e le alleanze non si costruiscono in due mesi. A Napoli, la prima grande città dove ha vinto una coalizione giallorossa nel 2022, ci abbiamo lavorato per un anno.
Lo stato di salute dei rapporti tra voi e Conte esce ulteriormente indebolito da queste elezioni. E lui anche ieri ha ribadito il no ai campi larghi.
Noi continueremo a lavorare per unire un campo progressista e riformista. Meloni vince anche perché ha una coalizione, da sola non ce la farebbe. E non credo che questa volta dalla nostra parte prevarranno vocazioni minoritarie o suicide.
Pensa ad alleanze anche con l’ex terzo polo? Loro in alcune città si sono alleati con le destre, come a Brindisi.
Tutte le opposizioni al governo sono nostri interlocutori. Le cose che ci uniscono sono più di quelle che ci dividono, i risultati delle comunali e le politiche di questo governo, devono spingerci a fare dei passi in avanti.
Che effetti ci saranno sulla segreteria del Pd? Schlein è accusata di muoversi troppo in solitudine.
Siamo una squadra larga e plurale, consapevole che l’unità va coltivata ascoltando tutti. Ma ora pensiamo solo a lavorare consci dell’importanza delle sfide che abbiamo davanti
Soccorso e assistenza alla popolazione, contributi per l’autonoma sistemazione, volontariato di Protezione civile. Ma anche opere sui corsi d’acqua
Dall’attività di soccorso e assistenza alla popolazione, ai contributi per l’autonoma sistemazione, passando per i primi interventi di somma urgenza sui corsi d’acqua
I Comuni possono chiedere da subito un’anticipazione del 50% delle spese sostenute. Il provvedimento è rivolto a Reggio Emilia, Modena, Bologna, Ferrara, Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini
Il presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, in qualità di Commissario delegato per l’emergenza, ha approvato un primo stralcio del Piano di interventi urgentidi protezione civile che definisce la destinazione dei primi 10 milioni di euro, stanziati dal Consiglio dei ministri con la deliberazione dello stato di emergenza, a favore dei sette territori provinciali colpiti dagli eventi alluvionali del mese di maggio: Reggio Emilia, Modena, Bologna, Ferrara, Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini.
Cosa stabilisce il decreto
Il decreto firmato dal Commissario per l’emergenza stabilisce che dei 10 milioni di euro a disposizione, 3,1 serviranno a far fronte alle spese sostenute dagli Enti locali per le attività di soccorso e assistenza alla popolazione; 3 milioni rappresentano un primo stanziamento per i Cas, i Contributi per l’autonoma sistemazione, a copertura dei costi sostenuti dai nuclei famigliari che hanno dovuto lasciare la propria abitazione e hanno provveduto autonomamente a reperire un alloggio; 1,2 milioni sono destinati a rimborsare le spese sostenute dalvolontariato di Protezione civile per le attività di intervento sul territorio. Infine 2,7 milioni di euro sono rivolti a primi interventi di somma urgenza, realizzati sui corsi d’acqua a seguito del primo evento alluvionale che all’inizio di maggio ha colpito il territorio regionale.
I Comuni possono già chiedere all’Agenzia regionale per la Sicurezza territoriale e la Protezione civile l’anticipazione del 50% dei costi sostenuti, nell’attesa che venga realizzata una più complessiva ricognizione delle spese sostenute e dei danneggiamenti pubblici.
“Con questo Piano diamo una prima copertura agli interventi che da subito, nei giorni più drammatici dell’emergenza, sono stati adottati per portare soccorso e assistenza alla popolazione. Di fronte a una tragedia di queste proporzioni, con gravissimi danni alle nostre comunità e al territorio, il nostro obiettivo è fare presto e bene e ristorare gli enti intervenuti a supporto della popolazione e per le opere di somma urgenza approntate. Nessuno deve rimanere solo”.
IRENE PRIOLO vicepresidente Regione Emilia-Romagna