Il testo ha ottenuto 143 voti a favore, 9 no e 25 astensioni tra cui l'Italia. Ora tocca al Consiglio di Sicurezza
Italia astenuta all 'Onu sulla Palestina con Germania e Gb © ANSA/AFP
L'Assemblea Generale dell'Onu ha approvato una risoluzione che riconosce la Palestina come qualificata per diventare membro a pieno titolo delle Nazioni Unite, e raccomanda al Consiglio di Sicurezza di "riconsiderare favorevolmente la questione".
Il via libera del Consiglio di Sicurezza (dove gli Usa il mese scorso hanno posto il veto) è condizione necessaria per un'eventuale approvazione piena. Il testo ha ottenuto 143 voti a favore, 9 contrari e 25 astensioni.
Israele, con la Palestina aprite l'Onu ai nazisti moderni - "Avete aperto le Nazioni Unite ai nazisti moderni". Lo ha detto l'ambasciatore israeliano all'Onu Gilad Erdan prima del voto in Assemblea Generale della risoluzione che riconoscerebbe la Palestina come qualificata per diventare membro a pieno titolo dell'organizzazione internazionale. "Questo giorno rimarra' ricordato nell'infamia", ha aggiunto, parlando di uno "stato terrorista palestinese che sarebbe guidato dall'Hitler dei nostri tempi". "State facendo a pezzi la Carta Onu con le vostre mani", ha detto passando alcune pagine del documento in un tritacarte.
Italia astenuta all'Onu sulla Palestina con Germania e Gb - L'Italia si è astenuta sulla risoluzione dell'Assemblea Generale Onu che riconosce la Palestina come qualificata per diventare membro a pieno titolo delle Nazioni Unite. Gli altri astenuti sono Albania, Bulgaria, Austria, Canada, Croazia, Fiji, Finlandia, Georgia, Germania, Lettonia, Lituania, Marshall Island, Olanda, North Macedonia, Moldavia, Paraguay, Romania, Vanuatu, Malawi, principato di Monaco, Ucraina, Gran Bretagna, Svezia e Svizzera. Mentre i nove Paesi che hanno votato contro sono Usa, Israele, Palau, Nauru, Micronesia, Papua Nuova Guinea, Ungheria, Argentina e Repubblica Ceca.
Palestina all'Onu, 'votare per noi è un investimento nella pace' - "Vogliamo pace e liberta', la nostra bandiera vola alta in Palestina, nel mondo e persino fuori dal campus della Columbia University a New York. E' diventata un simbolo di chi crede nella libertà. Potete decidere di stare con la pace, con il diritto di una nazione di vivere in liberta', oppure potete decidere di stare ai margini della storia". Lo ha detto l'ambasciatore palestinese all'Onu Ryad Mansour prima del voto in Assemblea Generale. "Colonizzazione e occupazione non sono il nostro destino, ci sono stati imposti", ha aggiunto, sottolineando che "votare per l'esistenza della Palestina non e' contro nessuno stato, ma e' un investimento nella pace".
Nella foto: Un manifestante per la Palestina in un corteo alla Columbia University, Stati Uniti@Getty Images
Oggi un Lunedì Rosso dedicato alla nuova stagione e alle sue spiagge. Su quelle italiane regna il caos amministrativo, scadute le concessioni balneari lo scorso dicembre, i comuni costieri procedono in ordine sparso. Ma le spiagge del Mediterraneo oltre ad essere mete di svago sono anche punti di arrivo per chi intenta il viaggio verso l’Europa. Un’Europa che tra un mese esatto sarà al voto. Le destre, sopratutto estreme, appaiono agguerrite e favorite. Riusciranno a spostare gli equilibri della futura governance? Intanto dall’altro versante dell’oceano le università insorgono per la Palestina.
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REDISTRIBUZIONE DI GOVERNO. Meloni illustra ai sindacati il nuovo decreto Coesione: paletti strettissimi e coperture fantasma. Sgravi per le assunzioni puntando tutto sull'«autoimpiego»
L'incontro governo-sindacati a palazzo Chigi
Esattamente come l’anno scorso, il governo Meloni si ricorda dei lavoratori solo alla vigilia del Primo maggio (e quest’anno con vista sulle elezioni Europee). E così è arrivata puntuale la convocazione a palazzo Chigi con un ordine del giorno che più generico non si poteva: «Provvedimenti sul lavoro». Lo strumento è l’ennesimo decreto legge che questa volta porta il nome rassicurante di «coesione».
Giorgia Meloni, come al solito, si è limitata ad esporlo a Cgil, Cisl e Uil (più le immancabili Ugl e Confsal, sindacati signor sì) a giochi fatti, senza discutere alcunché.
Mirabolanti le cifre iniziali snocciolate dalla presidente del consiglio: «La riforma – ha sottolineato la premier – mira ad accelerare l’attuazione delle politiche di coesione che prevedono per la nostra nazione 75 miliardi di euro di cui 43 miliardi di risorse europee».
LA REALTÀ È INVECE molto più parca con i tecnici del ministero dell’Economia che fino a tarda sera cercavano disperatamente poche decine di milioni di euro per mantenere la promessa del bonus tredicesima da 100 euro che vedranno in pochissimi, visti i paletti strettissimi per accedervi, degni delle salvaguardie per gli esodati della Fornero.
«Domani (oggi, ndr) porteremo in Consiglio dei ministri, nell’ambito dell’attuazione della delega fiscale, un decreto legislativo che ci permetterà di erogare, nel mese di gennaio 2025, un’indennità di 100 euro a favore dei lavoratori dipendenti, con reddito complessivo non superiore a 28 mila euro con coniuge e almeno un figlio a carico, oppure per le famiglie monogenitoriali con un unico figlio a carico», ha illustrato Meloni, senza imbarazzarsi per la pochezza della misura. «Questo provvedimento rientra nel più ampio lavoro che il governo ha portato avanti finora per difendere il potere d’acquisto delle famiglie e dei lavoratori, segnatamente quelli più esposti. In questi sedici mesi di governo, infatti, abbiamo scelto di concentrare le risorse che avevamo a disposizione per interventi di carattere redistributivo», ha concluso Meloni con sprezzo del ridicolo.
LA VERITÀ CHE MELONI non ammette è che si tratta di provvedimenti già in cantiere e in forte ritardo, finanziati da fondi europei mentre il «bonus tredicesima» da 100 euro promesso già un Natale fa è ancora privo di coperture.
Quanto alle misure per sostenere l’occupazione dei giovani, delle donne e di alcune categorie di lavoratori svantaggiati, iln governo punta tutto su un nuova parola d’ordine: «autoimpiego». A parte la riduzione degli oneri contributivi per i nuovi assunti per due anni, nel decreto si lanciano due misure: “Autoimpiego centro-nord Italia” e “Investire al Sud 2.0”. Entrambe le misure sono destinate a: giovani under 35; persone disoccupate da almeno 12 mesi; persone in condizioni di marginalità,sociale e discriminazione, con un focus sulla Zona economica speciale unica (Zes) per il Mezzogiorno ancora non concretizzata nel tavolo con gli enti locali che proprio ieri si è tenuto.
IN PRECEDENZA, SEMPRE a palazzo Chigi, la presidente del Consiglio e una delegazione del governo hanno incontrato Cgil, Cisl e Uil e la confederazione europea (Ces) e internazionale dei sindacati per una consultazione in vista del vertice G7, in programma in Puglia dal 13 al 15 giugno. Il «Labour7», il formato che riunisce le organizzazioni sindacali delle nazioni G7 e dell’Ue, partecipa ai lavori formulando raccomandazioni ai leader presentando le priorità dell’agenda: «crescita dell’occupazione, verde e di qualità, della sicurezza sul lavoro e dei salari». Presenti i segretari generali di Cisl e Uil, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri, per la Cgil i segretari confederali – non Maurizio Landini a Palermo per un’assemblea contro la mafia
MA NEL PROGRAMMA DELLA MAGGIORANZA DI CUI FANNO PARTE NON C'E' SCRITTO ALTRO ?
Nel consiglio comunale di martedì sera si è discusso rispetto all’accordo operativo nell’area denominata “Ghilana”. Faenza Cresce ha votato a favore dell’all’edificazione del lotto.
“È per questo cambio di rotta dell’Amministrazione che la nostra lista ha cercato di comprendere sulla base di quali evidenze scientifiche tale lotto sarebbe stato maggiormente a rischio rispetto a quelli adiacenti già urbanizzati, tuttavia non abbiamo ottenuto risposta: ad oggi è presente solo una bozza di un Piano Speciale, che sarà pronto a giugno (oltre un anno dopo l’evento), in cui non sono evidenziate le zone di rischio – prosegue Luccaroni -. Crediamo quindi che la protezione idraulica di una città non si faccia impedendo di costruire in una zona già edificata e che quindi il semplice diniego sia una risposta insufficiente e scorretta, perché non mette in sicurezza la città, ma dice solo un NO”.
“Crediamo, infatti, che si necessario discutere di grandi opere per la valle del Lamone e del Marzeno, con opere di messa in sicurezza a monte (casse di espansione, argini, pulizia del fiumi, tenuta del canali di scolo e dei terreno collinari e montani), perchè solo attraverso queste opere si potrà dare reale risposta alla città, anche nelle zone già abitate e tragicamente colpite dagli eventi alluvionali del maggio scorso – sottolineano da Faenza Cresce – Inoltre, non possiamo non essere preoccupati della delocalizzazione di oltre 3.400 abitazioni e aziende, già preannunciate nel Piano, solo per le frane, oltre alle quali dovranno esserne aggiunte altre per la vicinanza ai fiumi”.
“Ci auguriamo pertanto che questa delocalizzazione non riguarderà abitazioni e aziende all’interno di Faenza, città che dovrà essere messa in sicurezza con opere strategiche a monte e non attraverso lo spostamento di “pezzi”, seguendo principi di precauzionali vaghi, che mutano opportunità in NO e bloccano lo sviluppo di una città già in ginocchio che non desidera altro che rialzarsi – proseguono -. Desideriamo, infine, smontare alcune costruzioni fantasiose uscite in questi giorni sui giornali: la nostra lista è e continua ad essere costruttivamente parte della maggioranza e della Giunta di questa città, alla quale rinnova la fiducia in tutti i suoi componenti, pur mantenendo le sue idee sullo sviluppo verso un futuro più attrattivo per studenti, famiglie e aziende”.
Nato dalla collaborazione fra Struttura commissariale di Governo, Autorità di bacino distrettuale del fiume Po, Regione
Le aree alluvionate viste dal saltellite Copernicus
Dare più spazio ai fiumi, potenziando il contenimento delle piene a monte, “arretrando” le attuali arginature e rendendole resistenti alla tracimazione. Elaborare e attuarestrategie innovative per i fenomeni di dissesto dei versanti, visto l’elevato numero delle frane (oltre 80mila), in gran parte di nuova attivazione in seguito agli eventi dello scorso maggio. Ancora: misure temporanee di salvaguardia per impedire l’aumento del carico urbanistico, escludendo nuove costruzioni nelle aree allagate, o a rischio frana, al di fuori del perimetro urbanizzato, in attesa dell’aggiornamento dei Piani di Bacino.
Sono, in estrema sintesi, alcune delle linee di indirizzo contenute nel Piano speciale preliminare, documento previsto dal decreto per fronteggiare l’emergenza provocata dagli eventi alluvionali del maggio 2023, convertito nella legge 100/2023. La norma prevede la predisposizione di cinque Piani speciali, tematici; questo, relativo agli interventi sulle situazioni di dissesto idrogeologico, è il driver di tutti gli altri.
La relazione del Piano è stata coordinata dall’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po, in collaborazione con la Regione Emilia-Romagna, nell’ambito del gruppo di lavoro presieduto dalla struttura di supporto al Commissario straordinario alla ricostruzione e composto, tra gli altri, dalle autorità idrauliche, Università, Upi, Anci, Città metropolitana di Bologna, Ispra, Carabinieri forestali. La Giunta regionale dell’Emilia-Romagna ha preso atto, lunedì 22 aprile, del Piano adottato dal Commissario straordinario alla Ricostruzione, così come asserito in sede di Cabina di coordinamento e ha condiviso le misure temporanee di salvaguardia adottate dalla competente Autorità di bacino distrettuale. Oggi la presentazione del documento preliminare all’Assemblea legislativa, in Commissione Territorio, Ambiente, Mobilità.
Il Piano speciale preliminare contiene le prime strategie di intervento e gli indirizzi di pianificazione. Sarà aggiornato e completato a giugno 2024 quando vedrà la luce il Piano speciale definitivo che comprenderà anche l’elenco delle opere e degli interventi strutturali e non strutturali. La Regione, inoltre, avvierà a breve un percorso di coinvolgimento attivo delle comunità che sono state interessate dall’alluvione, cittadini, mondo produttivo e amministrazioni. Percorso che punta a una condivisione delle informazioni contenute nei Piani speciali e a un ascolto attivo delle istanze provenienti dai territori.
Dall’1 al 3 maggio 2023 il territorio dell’Emilia-Romagna è stato interessato da eventi idro-meteorologici di eccezionale intensità che hanno determinato gravi criticità particolarmente nelle province di Forlì-Cesena, Ravenna, Bologna, Modena e Reggio Emilia. Nei giorni 16-17 maggio si è verificato un ulteriore evento meteorologico estremamente intenso che, oltre a interessare i territori delle province romagnole indicate e di quella di Bologna, ha colpito pesantemente anche il territorio della provincia di Rimini. Questi eventi hanno provocato frane ed esondazioni con conseguente isolamento di molte località, evacuazione di numerose famiglie dalle loro abitazioni, gravi danni a infrastrutture lineari, aziende agricole, edifici pubblici e privati, alle opere di difesa idraulica e alla rete dei servizi essenziali.
La gravità degli eventi ha fin da subito evidenziato la necessità di un cambio di paradigma: la pianificazione, così come la programmazione e attuazione degli interventi, da quelli urgenti finanziati dalle ordinanze commissariali a quelli strutturali e non strutturali maggiormente complessi, avrà bisogno di un approccio graduale che si dovrà fondare su un aggiornamento progressivo delle conoscenze idrologiche, idrauliche, geologiche e geomorfologiche e sulla definizione e condivisione delle strategie di difesa e di nuovo assetto del territorio da applicare nelle aree colpite. Di qui, la necessità di elaborare un Piano speciale.
Membri del Consiglio di Sicurezza dell'ONU prima della votazione di lunedì 25 marzo a New York (REUTERS/ Andrew Kelly)
Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha approvato lunedì la sua prima risoluzione per chiedere un immediato cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. La risoluzione è stata approvata dopo mesi in cui i veti incrociati nel Consiglio, soprattutto di Stati Uniti, Russia e Cina, avevano bloccato qualsiasi decisione al riguardo.
La risoluzione ha ottenuto 14 voti a favore, tra cui quelli dei governi di Cina e Russia. La cosa più rilevante è stata però l’astensione degli Stati Uniti, il cui appoggio a Israele si era già indebolito nelle ultime settimane (tutti e tre i paesi, insieme a Regno Unito e Francia, sono membri permanenti del Consiglio di Sicurezza con potere di veto: significa che possono bloccare qualsiasi risoluzione).
A più di cinque mesi dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza, gli Stati Uniti hanno infatti cominciato a criticare con sempre maggior forza il modo in cui Israele sta conducendo la guerra, e soprattutto l’operato del primo ministro Benjamin Netanyahu, considerato uno dei principali ostacoli al raggiungimento di un cessate il fuoco nella Striscia. È una cosa rilevante perché fino a poco tempo fa il governo statunitense aveva sostenuto in maniera quasi incondizionata il governo israeliano.
Il Consiglio di Sicurezza è l’unico organo internazionale che può prendere decisioni che teoricamente sono vincolanti per tutti i paesi membri, Israele compreso. L’ufficio di Netanyahu ha criticato l’approvazione della risoluzione e in particolare l’astensione degli Stati Uniti, sostenendo che in questo modo verranno compromessi gli sforzi di Israele per liberare gli ostaggi trattenuti da Hamas. L’ufficio del primo ministro israeliano ha anche fatto sapere di aver cancellato la visita di una delegazione israeliana prevista per i prossimi giorni a Washington DC, negli Stati Uniti.
– Leggi anche: Dell’attacco di Israele all’ospedale al Shifa di Gaza si sa pochissimo
La risoluzione prevede un cessate il fuoco per il periodo del Ramadan, la ricorrenza più importante per le comunità musulmane nel mondo, che è cominciato tra domenica 10 e lunedì 11 marzo e si concluderà tra il 9 e il 10 aprile. Prevede anche la liberazione immediata di tutti gli ostaggi tenuti da Hamas nella Striscia di Gaza e invita Israele a fare di più per facilitare l’ingresso di aiuti umanitari nel territorio, dove ormai da settimane la crisi umanitaria in corso a causa della guerra è gravissima.
La risoluzione in teoria è vincolante: significa che, almeno sulla carta, Israele è obbligato a rispettarla. È comunque difficile che il governo di Netanyahu, che finora ha resistito a qualsiasi pressione per ridurre l’intensità della guerra a Gaza, possa effettivamente rispettarla.
Il testo era stato presentato dai dieci membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza (che ovviamente non hanno potere di veto), dopo che venerdì ne era stata respinta una proposta dagli Stati Uniti che chiedeva un «cessate il fuoco immediato e duraturo». In precedenza il governo americano aveva posto il veto per tre volte sulla richiesta di un cessate il fuoco umanitario, immediato e definitivo nella Striscia di Gaza. Secondo alcuni diplomatici sentiti dal New York Times, gli Stati Uniti avevano proposto un emendamento al testo definitivo per sostituire «cessate il fuoco permanente» con «cessate il fuoco duraturo»: una formulazione più vaga e meno impegnativa per Israele, che però non è passata.
Le tre volte precedenti gli Stati Uniti si erano opposti a simili risoluzioni sostenendo che le richieste non rispettassero il diritto di Israele di difendersi. Lunedì la rappresentante degli Stati Uniti all’ONU, Linda Thomas-Greenfield, ha detto che quella approvata è in linea con gli sforzi diplomatici portati avanti dagli Stati Uniti, che però a suo dire si sono astenuti perché non in accordo con altre parti del testo: tra queste ci sarebbe il fatto che nella decisione non vengono condannati esplicitamente gli attacchi compiuti da Hamas lo scorso 7 ottobre