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Giovanni Paglia forse è stato eletto in Emilia o forse no. Ancora non è chiaro. Ma sia come sia, le cose sono andate male per Liberi e Uguali, la nuova lista di sinistra travolta dal vento di destra e dal vento antigovernativo che ha travolto anche il PD. Loro quell'onda non sono riusciti a schivarla in tempo, né sono riusciti a intercettare il voto della sinistra scontenta del PD, se non in misura molto limitata. Insomma, operazione fallita.

 

Paglia, anche per lei non è proprio una gran giornata.

"È cambiato completamente lo scenario politico italiano, con l'affermazione netta del M5S, che diventa centrale nel panorama politico italiano, e con quella della Lega, che egemonizza il centrodestra."

Un vento di protesta secondo lei?

"Io non parlerei di voto di protesta. Io parlerei di voto di cambiamento. Gli elettori hanno scelto il M5S e la Lega per avere risposte di un certo tipo alle loro esigenze economiche e sociali. In particolare, il voto ai Cinque Stelle è scandito da precise richieste sociali come le pensioni, il reddito di cittadinanza, il lavoro. Quando parlavamo con la gente, in campagna elettorale, molti ci dicevano di provare a fare un governo con i Cinque Stelle, era un modo per dirci, vi capiamo, apprezziamo ciò che dite, ma fra voi e loro noi votiamo loro."

Insomma, perchè poi hanno votato Cinque Stelle anzichè voi?

"Perchè loro potevano vincere e noi no: li hanno votati per farli governare. La massa critica alla fine l'hanno data ai Cinque Stelle e non a noi. Perchè eravamo troppo piccoli e vissuti come poco incisivi nella realtà."

Insomma, lei vede una vicinanza fra il voto a voi e ai Cinque Stelle, però alla fine loro hanno vinto e voi avete perso.

"È così. Io penso che il voto ai Cinque Stelle sia un voto con contenuti e richieste in gran parte di sinistra. È un voto di persone che vogliono cambiare e ci provano dando fiducia a una forza nuova come i Cinque Stelle."

Il suo giudizio sul PD e sul tracollo di Renzi.

"Il PD non ha più un'anima di centrosinistra e ora non ha nemmeno più una funzione, non è più il perno del sistema politico italiano dopo queste elezioni ed è destinato a deflagrare. È stato bypassato da M5S e Lega e farà la fine del Pasok in Grecia, secondo me: cioè diventerà un partito marginale. Per esempio, anche nella nostra regione se oggi si facessero dei ballottaggi per eleggere i Sindaci dei comuni, in molte realtà andrebbero avanti Lega e M5S, non andrebbero più al ballottaggio i candidati del Pd. È la fine di un'epoca."

Ma voi perchè avete fallito insieme al PD e non siete riusciti a raccogliere i frutti della crisi del PD?

"Abbiamo fatto un'operazione forse troppo tardiva, incerta e contraddittoria, che non è stata capita da molte persone. Piuttosto che premiare noi, gli elettori hanno premiato i Cinque Stelle. A noi è rimasto solo il voto degli irriducibili di sinistra, di chi crede fermamente nei valori della sinistra, che ringrazio sentitamente."

Ora c'è il rischio che Liberi e Uguali imploda ancora prima di arrivare in Parlamento?

"E perchè mai? Con la nostra pattuglia parlamentare faremo le nostre battaglie. E adesso penseremo a come andare avanti, a come riaggregare altre forze dopo questo voto. È tempo di aggregare di più non di scindere e di implodere."

http://www.ravennanotizie.it/articoli/2018/03/05/giovanni-paglia-liberi-e-uguali.html

 
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Sonora e brutale, la sconfitta della sinistra è arrivata pesante e netta. Parlavamo di cattivi presagi più che di convinte speranze, e purtroppo non siamo stati smentiti.

Il flop della lista di Liberi e Uguali è tutto racchiuso in quella percentuale del 3,4%, la stessa del partito di Vendola e Fratojanni nelle elezioni del 2013, allora alleati con Bersani. I fuoriusciti del Pd non hanno trovato un consenso elettorale e per ricostruire una sinistra non basterà qualche aggiustamento, non lo consente il terremoto politico provocato dalle elezioni.
Un paese diviso a metà tra Lega e 5Stelle è lo specchio della società che il voto ci restituisce, obbligando tutti a riflettere sul distacco della sinistra dalla vita del paese, sulle risposte mancate o troppo pigre al disastro sociale provocato dalla crisi, sulla sottovalutazione dell’impresentabilità della classe dirigente che ci ritroviamo. Perché ci sono pochi dubbi sulla radicalità della protesta espressa da questo voto.

E se le forme e i contenuti che essa esprime non sempre fanno della società civile un esempio di virtù, girare la faccia dall’altra parte, regalarsi fittizie consolazioni non serve più, e da gran tempo. A Macerata, altro territorio interessante di questo voto, la Lega ha vinto. Ora anche noi abbiamo un bel partito lepenista da combattere, come in Europa, come in Francia, come in Germania, come nei paesi dell’Est europeo.

Questo sarà naturalmente oggetto della discussione che la lista di Grasso farà dopo la sconfitta, ammessa senza scuse come la delusione rispetto alle attese. Si ricomincia da tre, cioè dal piccolo zoccolo che ha permesso di superare faticosamente la soglia di sbarramento del Rosatellum. E in questa discussione entrerà giocoforza la

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La qualità dei servizi pubblici locali racconta molto della civiltà di un Paese. Il benessere non si misura solo in termini di prodotto interno lordo o di ricchezza privata; e in Italia come altrove, dal sistema dei servizi pubblici locali – acqua, energia, rifiuti, trasporti… – dipende non meno che dal lavoro e dal reddito la qualità della vita quotidiana di 60 milioni di cittadini.

Per questo, il ruolo strategico del settore va sottolineato e rivendicato. E la politica, sembra paradossale ricordarlo in questi giorni di campagna elettorale così rissosi e poveri di contenuti sostanziali, dovrebbe riconoscere e indicare tra le sue priorità l’obiettivo di offrire ai cittadini, da nord a sud, servizi pubblici locali di qualità e accessibili a tutti.

Non è retorica. Perché sono i fatti a raccontarci che in Italia a una ragguardevole ricchezza privata, distribuita peraltro in modo sempre più disuguale, corrisponde troppo spesso “miseria pubblica” e sottovalutazione dell’importanza dei beni comuni. E a dirci, anche, che tra le diseguaglianze che minano alla radice l’idea stessa di cittadinanza vi sono profonde differenze di “standard” e di accessibilità dei servizi pubblici.

Allora un primo punto da affermare con forza – al centro del programma di Liberi e Uguali e assente dalle proposte degli altri schieramenti – è che i servizi locali devono essere e rimanere pubblici perché solo così possono essere davvero “universali”, e che per essere socialmente efficaci devono essere, anche, economicamente efficienti. Insomma, ciò che i referendum del 2011 hanno sancito per l’acqua “bene comune” deve valere a 360 gradi.

Le imprese che forniscono i servizi pubblici locali sono un elemento costitutivo e imprescindibile del nostro sistema di welfare e sono una parte rilevante dell’economia italiana: danno lavoro, generano innovazione e investimenti, condizionano l’efficienza di quasi tutti gli altri comparti produttivi. E’ necessario salvaguardare una forte e qualificata presenza pubblica nei loro assetti proprietari, contrastando approcci demagogici che continuamente ripropongono l’idea, del tutto infondata, che solo “privato è bello”.

Così, semplicemente, non è, basta vedere gli innumerevoli esempi anche italiani di servizi pubblici locali, dall’acqua ai rifiuti, privatizzati e malfunzionanti.

Questo non significa che la politica abbia sempre fatto bene ai servizi pubblici locali: al contrario, tante volte li ha usati e li usa in modo del tutto improprio, come strumenti di clientelismo e di raccolta di consenso. Invece all’Italia serve un’industria dei servizi pubblici forte, organizzata, ben regolata, orientata alla qualità ambientale, capace di produrre investimenti e innovazione e di affrontare le sfide della transizione energetica, dell’economia circolare, dei cambiamenti climatici, della rigenerazione urbana e delle smart city.

Insomma, i servizi pubblici devono essere tra i temi centrali di una credibile agenda di governo, a cominciare dalla necessità di un forte rilancio degli investimenti per la realizzazione di impianti per il trattamento e il recupero dei rifiuti, per l’ammodernamento delle infrastrutture idriche, per il potenziamento del trasporto pubblico urbano e pendolare, per l’efficienza energetica. Da questo dipende in una misura non piccola la possibilità che l’Italia torni davvero a crescere: non solo e non tanto nel Pil, ma nel benessere, nella qualità sociale, nella fiducia verso il futuro.

* Candidata Liberi e Uguali

 

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L’onda nera che riporta a galla la violenza xenofoba e fascista può stupire solo chi non vede l’avvelenamento di una campagna elettorale dominata dal tema della sicurezza, annaffiata ogni giorno con dosi massicce di odio contro gli emarginati.

Un diffuso sentimento di paura è la benzina sparsa a piene mani da una destra che aspira al governo del paese, che fa immaginare a milioni di italiani, impoveriti e impauriti, di potergli cambiare la vita ingaggiando una battuta di caccia nazionale contro altri poveri diseredati ma con un diverso colore della pelle.

Questo vento di destra che attraversa l’Europa, in Italia è alimentato da politici di primo piano come Berlusconi, Salvini e Meloni, veri e propri «imprenditori della paura», secondo la definizione felice e anticipatrice del sociologo francese Pierre Musso che la coniò ormai dieci anni fa.

Con l’accoltellamento di un ragazzo a Perugia mentre affiggeva i manifesti elettorali di Potere al popolo, con la svastica a Roma sulla lapide di Moro, con l’irruzione di Forza Nuova negli studi del programma di Giovanni Floris, e con il pestaggio a Palermo di un dirigente di estrema destra, questa istigazione alla violenza è passata dalle parole ai fatti. E rapidamente, dall’irruzione, a novembre, degli skinead di Como nella sede di un’associazione per i migranti, al fascioleghista di Macerata armato di pistola per il tiro al bersaglio contro i neri, le organizzazioni di estrema destra chiedono e ottengono le piazze per i loro comizi, alimentando un clima di alta tensione.

Le leggi italiane vietano la ricostituzione del partito fascista, ma questi gruppi sono ben attenti a presentare liste e simboli evitando di nominare il fascismo, così da essere ammessi alla campagna elettorale come tutti gli altri. Salvo poi andare nel salotto di Porta a Porta e rivendicare, come ha fatto Simone Di Stefano, segretario di Casapound: «Siamo eredi dell’esperienza del fascismo, della Rsi e del Msi».

E dunque non bisogna contrastarli su loro stesso piano, cadendo così nella trappola degli «opposti estremismi», cioè replicando una sceneggiatura che purtroppo abbiamo già vissuto. Presidi e manifestazioni sono l’antidoto giusto per contrastarne i rigurgiti e impedirgli di camuffarsi nei panni delle vittime.

Ha ragione Laura Boldrini quando condanna la brutale aggressione ai danni di un esponente di Forza Nuova a Palermo, invitando a non usare l’antifascismo per giustificare azioni violente perché, dice la presidente della camera, «l’antifascismo è una cultura di pace». Ha ragione il presidente del senato Grasso quando avverte che «l’odio politico sta divorando il paese e per evitare il morto non bisogna aspettare oltre».

Bisogna reagire ai fascisti che rialzano la testa in modo democratico, come a Macerata, come a Bologna. Occupando le piazze con cortei e manifestazioni pacifiche. Altro che abbassare i toni, come invita a fare il Pd. Altro che invitare i cittadini a chiudere negozi e scuole per starsene a casa, come ha fatto il sindaco di Macerata, provocando l’annullamento di una presenza forte già organizzata da Anpi, sindacati e forze di sinistra. Quelle stesse organizzazioni che sabato saranno in piazza a Roma, questa volta anche con il Pd che ora cerca di cavalcare stantii richiami all’ordine pensando di lucrarne qualche voto.

Renzi porta in tourné il ministro dell’interno come l’uomo forte contro gli immigrati, nel tentativo di incassare qualche voto destinato ai leghisti di Salvini. Ma c’è da dubitare sul successo dell’operazione. Perché è proprio nelle periferie, nei territori di maggiore disagio che il partito di Renzi in questi anni ha conosciuto il grande esodo sociale. E perché tra la brutta copia e l’originale, è sempre l’originale ad avere la meglio.

 

 

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Perugia, militante di Potere al popolo accoltellato
Grasso: “È odio politico, non si aspetti il morto”

Un militante di Potere al popolo accoltellato mentre attaccava manifesti elettorali a Perugia. Poche ore prima il dirigente di Forza Nuova legato e picchiato a sangue in centro a Palermo. Nella notte le scritte “A morte le guardie” e una svastica sulla lapide di via Fani dove il 16 marzo 1978 venne rapito Aldo Moro e uccisi gli uomini della sua scorta. A meno di due settimane dalle elezioni politiche del 4 marzo, la cronaca racconta di un clima di tensione crescente. “Palermo, Perugia, Roma: l’odio politico che sta divorando il Paese ribolle da troppo tempo”, dice il presidente uscente del Senato

 di F. Q.
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Verso le elezioni. Cortei e sit-in pacifici di movimenti, associazioni, studenti e centri sociali contro il comizio di Forza nuova caricati per tutto il giorno dalla polizia. In presidio anche Pd e Leu, Cgil e Libera

 

Scontri tra polizia e antifascisti in vista del comizio di Forza Nuova a Bologna

La Prefettura aveva garantito che a tutti sarebbe stato permesso di manifestare, e così è stato. A Bologna ieri sera il numero di Forza Nuova Roberto Fiore ha potuto predicare la sua «rivolta nazionale» e presentare i suoi candidati alle elezioni politiche. Trenta camerati trenta ad ascoltarlo nella centralissima piazza Galvani – e si è visto anche qualche saluto fascista – centinaia di agenti schierati a difendere la libertà di parola del leader di un partito che ha difeso e giustificato l’attentatore fascista di Macerata Luca Traini.

A contestare Fiore e il fascismo migliaia di persone in città, con due presidi differenti, un sit-in, un corteo e un’occupazione lampo della piazza dove Fiore ha poi parlato, un blitz antifascista finito con le manganellate dei poliziotti che hanno cacciato i manifestanti.

A risuonare in più parti della città è stata un’unica canzone, «Bella ciao».

Ha risposto così Bologna all’arrivo di Forza Nuova in città, con iniziative diverse che tutte hanno detto «no» al fascismo.

A cominciare dai manifestanti dei centri sociali cittadini (Xm24, Crash, Tpo, Làbas, Vag61) che alle 13 si sono presentati in un centinaio in Piazza Galvani, promettendo una resistenza ad oltranza per impedire l’arrivo di Fiore. «Vogliono far parlare Fiore? Gli spostino il comizio da un’altra parte», aveva suggerito qualcuno.

Le cose sono andate diversamente, la polizia si è presentata in forze e ha sgomberato la piazza a manganellate. Tra i manifestanti quattro feriti, tra gli agenti un contuso.

A far spostare il comizio elettorale di Fiore ci aveva provato anche il Comune, ma senza successo.

Altre manganellate sono arrivate nella serata, quando di nuovo il corteo dei centri sociali, in tutto quasi mille persone, ha cercato di avvicinarsi alla piazza dove Fiore stava parlando.

Sono entrati in funzione gli idranti della polizia, poi altre manganellate e i lacrimogeni mentre dalla pancia del corteo volavano petardi, bottiglie e altri oggetti verso gli agenti. Due i fermati (poi rilasciati) dopo la carica della polizia, lievi ferite per un agente e sei manifestanti.

Nel pomeriggio sono state invece centinaia le persone che hanno risposto all’appello antifascista di Anpi, Arci, Cgil e Libera. A partecipare anche il Pd e Liberi e Uguali.

«La Lega è complice dei teppisti fascisti»Virginio Merola

In piazza anche il sindaco Merola, che ha preso di mira il leghista Salvini: «Il suo partito è complice dei teppisti fascisti». Al presidio indetto sotto il Sacrario dei partigiani sono passati in tanti. Dai deputati Pd ai leader di Liberi e Uguali. «Abbiamo già visto tante volte come reagire a rigurgiti fascisti, fenomeni terroristici: lo abbiamo sempre fatto andando in piazza e andandoci tutti insieme. La strada è ancora quella», ha detto Pierluigi Bersani.

«Pensare di affrontare la questione democratica senza affrontare quella sociale è un errore serio. In ogni caso prima di dare la piazza a Forza Nuova bisogna pensarci due o tre volte»Pierluigi Bersani

Ma non basta, ha aggiunto Bersani, «perché c’è una destra regressiva e parafascista che sta raccogliendo consensi nel paese, laddove c’è rabbia e disagio. Bisogna che la sinistra vada lì, perché pensare di affrontare la questione democratica senza affrontare quella sociale è un errore serio. In ogni caso prima di dare le piazza a Forza Nuova bisogna pensarci due o tre volte».

A chiedere una legge per impedire a Forza Nuova di ripresentarsi di nuovo alle elezioni è stato invece Vasco Errani. «Parliamo di un partito chiaramente fascista e che non ha legittimità, né elettorale né di piazza». A chi gli chiedeva dello sgombero degli antifascisti Errani ha risposto così: «C’è qualcosa che non va».

Gli ultimi fuochi della giornata antifascista bolognese si sono visti alle 20, dopo le manganellate sul corteo antifascista un gruppo di studenti ha improvvisato un sit-in andato avanti fino alle 21.

A dividere il corteo dagli agenti guidato dai centri sociali una ventina di giovanissimi, alcuni liceali, altri iscritti al primo anno d’università. «Sono antifascista ma non accetto la violenza da nessuna parte», ha detto un ragazzo di 19 anni. «Gli agenti non ci devono fare paura – ha urlato una 17 enne – non importa che abbiano camionette e manganelli, siamo pacifici e non ci possono passare sopra».

A prendere la parola anche Insaf Dimassi, uno dei volti noti del movimento Italiani senza Cittadinanza, che ha lottato invano per l’approvazione della legge sullo ius soli. «Noi siamo dalla parte giusta, dobbiamo difendere la nostra democrazia».

«Faccio un appello a Bologna, non fatevi rappresentare da questi 20 figli di papà che non sono antifascisti»Matteo Salvini

A prendere la parola su quanto successo anche Salvini, bersaglio polemico di molti manifestanti che lo hanno accostato più volte a Forza Nuova e a Casa Pound. «Faccio un appello a Bologna, città dotta, dei poeti, dei cantautori, non fatevi rappresentare da questi 20 figli di papà che non sono antifascisti. Chi usa la violenza per fare politica è un fuorilegge», queste le parole del leader leghista.

A dare solidarietà alle forze dell’ordine tutta la destra inclusa Valentina Castaldini, alfaniana candidata nella lista Civica Popolare di Lorenzin e Casini, ora alleati di ferro del Partito democratico. «La retorica dell’antifascismo è solo una superata bandiera ideologica dietro cui collettivi e centri sociali nascondono la loro frustrazione», ha detto Castaldini, forse non accorgendosi delle migliaia di persone che a Bologna ieri hanno scelto di scendere in piazza.

 

 

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