La sinistra. Al teatro Quirino di Roma il lancio della lista. Polemica con Zingaretti: nella crisi greca i socialisti schierati con la Merkel
«Quella di Zingaretti è pubblicità ingannevole, continua a dire che da Macron a Tsipras è già realtà. Poi però si aggiunge che nessun eletto del Pd andrà nel gruppo della Sinistra Europea dove sta Tsipras». A Nicola Fratoianni, uno degli amici di Alexis Tsipras in Italia, l’ultimo slogan del segretario dem non va giù. E nonostante l’espressione sia stata quasi avallata dallo stesso premier greco in un’intervista al francese Figaro, ora da Syriza arriva l’altolà. «Questo slogan è un alibi triste» attacca Argiris Panagopoulos,rappresentante del partito di Tsipras in Italia, «la verità è che a sinistra c’è Alexis, il primo ministro lasciato solo quando il socialismo europeo era al guinzaglio di Merkel. Tsipras ha dato la cittadinanza ai figli di genitori venuti a lavorare in Grecia da un altro paese, ha garantito la corrente e l’acqua a tutte le famiglie. Ha dato il reddito sociale a 350mila persone e aumentato il salario minimo. Non a caso Louka Katseli, la ministra socialista che ha protetto la prima casa delle famiglie popolari dalla Troika, sta con Tsipras. E il Pasok ce l’ha a morte con lui. A noi piacciono i socialisti» conclude, «ma quelli che hanno lasciato il neoliberismo per incontrare la sinistra, come in Portogallo e in Spagna».
È ANCHE PIÙ DURO Nico Cue, il candidato della Sinistra Europea a presidente della Commissione, in tandem con la slovena Violeta Tomic: «Da quando c’è Macron le lotte in Francia sono aumentate perché sta distruggendo il modello sociale che nasce dalla lotta di resistenza contro il nazifascismo. Zingaretti e gli altri social-liberisti hanno smontato, come Macron, il welfare. Zingaretti come immagina di fare sintesi tra programmi contrapposti?». Infine: «Tsipras ha lottato contro la Troika per allargare il welfare. Nella conferenza stampa che ho fatto con lui, Alexis ha detto che dopo il voto starà nel Partito della sinistra europea, non tra i socialisti. Che fanno le campagne elettorali a sinistra e poi governano a destra».
La corsa per le europee è iniziata, la polemica non finirà qui. Anche perché «il fronte da Tsipras a Macron» è uno slogan suggestivo che rischia di rubare qualche voto alla lista La Sinistra, composta da chi è stato sul serio dalla parte di Tsipras sin dall’inizio della crisi greca. Se ne parlerà oggi al Teatro Quirino di Roma dove alle 10 si aprirà la campagna elettorale per le europee di questa area. Che con la Grecia è legata a doppio filo tant’è che Luciana Castellina, fondatrice del manifesto, giornalista e storica dirigente della sinistra-sinistra è candidata nelle liste europee proprio di Syriza. E invece Panagopulos sarà nelle liste italiane.
CASTELLINA OGGI SARÀ al Quirino alla kermesse «Noi con te. Contro il liberismo, contro il razzismo». Con lei molti candidati. Soprattutto candidate. Saranno infatti tutte donne i capolista. L’europarlamentare uscente Eleonora Forenza al Sud, Eleonora Cirant (Nonunadimeno) al Nordovest, Silvia Prodi al Nordest, al centro Marilena Grassadonia, presidente di Famiglie Arcobaleno. Per le isole la scelta arriverà stamattina. Altri nomi: Paola Natalicchio, ex sindaca di Molfetta, Valentina Cera, del Treno della Memoria, lo storico Piero Bevilacqua, Sandro Fucito, presidente del consiglio comunale di Napoli, Paolo Narcisi, medico dei migranti a Bardonecchia. L’editrice e scrittrice Ginevra Bompiani offre il suo prestigio alla causa. Darà una mano anche Fratoianni, leader di Sinistra italiana. Non ci sarà invece l’attivista Luca Casarini: il capo della missione di Mediterranea non salirà sulla Mare Ionio che oggi riprende il mare («per rispetto verso l’inchiesta resto a disposizione della magistratura», spiega); ma seguirà i lavori da terra quindi niente corsa per le europee. Al Quirino, via video, arriverà il sostegno della scrittrice Michela Murgia e dell’attore Peppino Mazzotta, l’ispettore Fazio di Montalbano.
DAL PALCO FRA GLI ALTRI parlerà Cue, il suo vice Paolo Ferrero e Maurizio Acerbo (segretario Prc). Ma anche il senatore Francesco Laforgia, ultimo arrivato in famiglia, che ieri con il deputato Luca Pastorino (ex Possibile) ha varato a Firenze l’associazione «èViva» con gli autoconvocati di Leu (dopo la frammentazione di Leu Piero Grasso «ha preferito sottrarsi a ogni scelta di campo», viene riferito). «Ci siamo messi in cammino», dice Laforgia, «green New Deal, patrimoniale, riduzione dell’orario di lavoro, art. 18: facciamo appello a tutte le forze che condividono i nostri obiettivi di unirsi in un unico grande soggetto della sinistra». Appello già sentito più volte. Sempre finito male, fin qui. Per fortuna non è questo il collante della lista La sinistra, stavolta si tratta di una confluenza. Del resto si riparlerà dopo il 26 maggio.
Commenta (0 Commenti)Roma. Intervista all’ex sindaco di Roma, dopo la fine del tormentone «scontrini» decretata dalla Cassazione. «Dal Pd mi hanno chiamato in tanti ma non tutti».«Senza la saggezza di analizzare quanto accaduto nel 2015 e di promuovere una classe dirigente giovane e non coinvolta con le vicende del passato, non ci sarà cambiamento»
È tornato alla sua antica passione e di politica non ne vuole più sapere, il professore Ignazio Marino, neppure dopo che la Cassazione ha chiuso definitivamente in suo favore lo strumentale tormentone «scontrini pazzi» che il M5S e il Pd avevano usato nel 2015 per far cadere la sua scomoda giunta. Ma da Philadelphia, dove ormai vive stabilmente ed è titolare di una prestigiosa cattedra alla Thomas Jefferson University, senza darlo troppo a vedere, mantiene un occhio sulle travagliate vicende del centrosinistra italiano e sulle tristi sorti della sua Roma. Lo sguardo di un «marziano».
C’è qualcuno della vecchia dirigenza del Pd, dei responsabili o dei testimoni della sua defenestrazione, nel 2015, che l’ha chiamata in questi giorni?
Ho ricevuto moltissimi messaggi e telefonate, compresi quelli di funzionari e dipendenti del Comune di Roma e ovviamente quelli di alcuni ex assessori e stretti collaboratori che vissero con me quei 28 mesi in Campidoglio: Giovanni Caudo, Francesca Danese, Alessandra Cattoi e Roberto Tricarico. Mi hanno chiamato anche alcuni parlamentari o ex parlamentari, esponenti del Pd, ex esponenti del Pd. Vuole i nomi? Graziano Delrio, Marianna Madia, Giovanni Legnini, Antonio Bassolino e Annamaria Carloni, Roberto Speranza, Leoluca Orlando. Posso dire in generale che chi mi è stato vicino allora e poi nei momenti più delicati, negli anni a seguire, in queste ultime ore mi ha confermato stima e amicizia. Mi ha fatto certamente piacere. Su WhatsApp però ho centinaia di messaggi ancora da leggere… chissà forse quando riuscirò a leggerli tutti troverò qualche sorpresa.
Ha già detto che per lei quella fase è finita, che vuole rimanere fuori dal «circo della politica», ma la politica non è proprio la volontà e la capacità di andare oltre le sconfitte e fare tesoro delle ferite?
Io sono andato oltre e credo anche di aver fatto tesoro delle ferite che ho subito, oltre che degli errori che ho commesso. Però, ho sempre dichiarato che per me l’impegno politico sarebbe stata una parentesi e che sarei tornato a quello che resta il mio vero lavoro, per me il più bello del mondo: fare il medico, il chirurgo, insegnare agli studenti, i medici di domani, assistere pazienti a cui puoi restituire la speranza, fare ricerca… E così ho fatto. Del resto ho iniziato nel 2006 in Senato e nei quasi 10 anni di impegno politico, nonostante la brusca interruzione del mio mandato da sindaco, ho avviato la discussione sul testamento biologico, la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, il riconoscimento delle unioni civili anche fra partner dello stesso sesso.
C’è qualcosa che non rifarebbe, sia nel Pd che come sindaco?
Innanzitutto non mi fiderei del Partito Democratico nella formazione delle liste elettorali. Nella campagna del 2013 mi affidai completamente al Pd senza pretendere di verificare e conoscere coloro che sarebbero diventati consiglieri, trovandomi poi in aula Giulio Cesare molte persone che rispondevano ai diktat di partito più che al sindaco. Per di più persone che hanno sempre vissuto solo di politica, quindi più facilmente “controllabili” quando hanno ricevuto l’ordine del capo di andare davanti a un notaio per interrompere la consiliatura. Errore numero due: non aver saputo comunicare efficacemente ai romani e alle romane ciò che stavamo facendo, il senso del cambiamento e soprattutto il sistema di potere contro il quale avevamo avviato una battaglia solitaria. Per esempio tutto il marcio che stavamo eliminando dalle aziende partecipate di Roma.
Con il senno di poi, lo slogan «non è politica, è Roma» non ha aiutato i 5 Stelle nel loro messaggio antipolitico?
Sinceramente non credo. Non rinnego quello slogan ma penso che il modo in cui io e la mia squadra lo abbiamo concepito e inteso sia molto lontano dalla vera natura del M5S.
Cosa pensa del nuovo corso del Pd?
Seguo la politica italiana a distanza, forse mi sono perso qualche passaggio fondamentale ma per il momento non comprendo come si possa parlare di un “nuovo corso”. Io mi auguro davvero una nuova stagione di fermento politico sui grandi temi coinvolgendo le persone, trasformando la loro comprensibile disaffezione, ma anche la rabbia e lo scontento, in energia positiva. Non bastano le parole, servono proposte concrete che nascono dalla conoscenza diretta della realtà. Bisogna ascoltare le persone e lavorare per loro, con loro.
Quali sono i peggiori errori della giunta Raggi?
Non c’è una visione di città, non vedo un programma di scelte coerenti, non vedo niente. Le grandi emergenze non sono migliorate, anzi. Molte iniziative da noi avviate sono state inspiegabilmente annullate. Sono stati rimossi manager capaci che avevano portato risultati estremamente positivi: uno spoil system nello stile dei vecchi partiti nonostante vantino di essere diversi… Fa tristezza pensare che la sindaca abbia sostituito alla presidenza dell’Acea una straordinaria professionista come Catia Tomasetti con una persona che poco tempo dopo la nomina è stata arrestata: la giustizia stabilirà se ha commesso reati oppure no, ma l’immagine non è bella. E pensare che Virginia Raggi ha chiesto a me in vari processi risarcimenti per danni di immagine… Governare Roma è complicato ma lo è ancora di più se ci si preoccupa soprattutto di non perdere consensi.
Cosa pensa che possa accadere, e cosa si augura, alle prossime elezioni amministrative a Roma?
Il mio unico pensiero è per le romane e i romani che non meritano certo la situazione di degrado in cui è Roma. Mi auguro che dall’impegno civico di tanti cittadini possa nascere qualcosa di veramente positivo per la Capitale. Ma temo purtroppo che il populismo della destra unito al disfattismo del M5S possa allungare i tempi di una rinascita.
Ma il Pd romano è sulla strada giusta verso il risanamento e la ricostruzione di un rapporto con la città? Sarà in grado di sfidare la destra?
A distanza sarei arrogante nel fare affermazioni definitive. Tuttavia, mi sembra che la leadership del Pd romano sia nelle stesse mani del 2016. Se non si avrà la saggezza di analizzare quanto è accaduto nel 2015 e di promuovere una classe dirigente giovane e non coinvolta con le vicende del passato non ci sarà un cambiamento. Mi permetto un esempio: se io avessi in Chirurgia Generale un chirurgo addominale che continua ad avere morti al tavolo operatorio non sarei molto saggio se proponessi di farlo ruotare e operare l’addome. Le persone non si fiderebbero e cambierebbero ospedale.
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Si è svolta oggi presso l’aula magna Levi dell’Università Statale di Milano la prima Assemblea costituente di FridaysForFuture, il movimento nato sulla scia dell’esempio della giovane attivista svedese Greta Thunberg. Per buona parte della giornata si sono susseguiti sul palco i portavoce di oltre 100 città italiane, grandi e piccole, dove questo movimento si è attivato e sta agendo. Da Torino, Roma, Napoli e Palermo a Fano, Acireale, Ladispoli, Alcamo, Pomigliano (solo per citarne alcune), giovani soprattutto, ma qualcuno anche meno giovane, hanno portato la loro esperienza e hanno espresso le loro necessità e aspettative sulla costruzione di questa nuova realtà che sta cominciando a prendere corpo.
Praticamente unanime la definizione del movimento: pacifista, aperto, politico ma apartitico, consapevole del rischio di manipolazione da parte di “loro” e determinato a portare avanti la lotta, non sono per il futuro proprio ma anche di quelli che verranno dopo. “E che sia chiaro che i problemi del clima nascono da un sistema economico!”.
E’ una nuova sensibilità che sta finalmente emergendo. Una sensibilità che si sta manifestando in un mondo che ne ha grande necessità: una sensibilità che rispetta, protegge, cura. Non la propria nazione, non il proprio orticello, non soltanto i propri esseri cari, ma tutti gli esseri viventi. La giustizia climatica si accompagna alla giustizia sociale perché sono correlate, e i diritti sono diritti di tutti gli esseri. Quindi no agli allevamenti intensivi e no alla deforestazione. No allo sfruttamento nel nome del profitto: “dobbiamo unirci alle lotte dei lavoratori”. No alle grandi opere inutili e dannose: “con 3 metri di TAV si possono fare 4 aule di scuola materna”. “Avvelenano il nostro spirito”, dice qualcuno.
Ogni città piccola o grande ha ferite da raccontare: inceneritori, industrie chimiche e petrolchimiche, alluvioni, malattie e morti causate dall’inquinamento o dalle radiazioni, sversamenti di inquinanti, ma racconta anche di azioni collettive per ripulire spiagge, strade, argini, di proposte – quasi inascoltate, “ma andremo avanti” – portate ai sindaci del proprio paese, di aperitivi in piazza con cibi in scadenza raccolti dai supermercati, di assemblee settimanali, di microfoni aperti.
Che forma prenderà questo movimento? Le proposte parlano di un coordinamento che coordini e non che rappresenti, dell’assemblea come organo decisionale, della trasversalità come punto di forza. Si chiede la massima autonomia dei territori.
Cosa vuole? Vuole il rispetto degli accordi di Parigi. Vuole smetterla con questa “ideologia tumorale” del crescere per crescere, crescere per distruggere, vuole dai politici scelte coraggiose, immediate e intransigenti.
“Siamo l’ultima generazione che può fare qualcosa per questo cambiamento: salviamo il luogo in cui viviamo da chi lo ha trasformato in una immensa, sudicia società per azioni!”. “Dobbiamo andare nei libri di storia non come quelli che ci hanno provato, ma come quelli che ci sono riusciti”.
“Salviamo questo pianeta, è l’unico con la pizza…”
Il Ministero dello Sviluppo economico ha risposto a Edison Stoccaggio in merito alla richiesta dell’azienda di aumentare la pressione del giacimento del 20% per incrementarne la capacità di stoccaggio. Stando a quanto comunicato dal Ministero, non sarà necessaria la procedura di Via, richiesta espressamente dai Comuni interessati dal giacimento (Bagnacavallo, Cotignola, Lugo) e dall’Unione dei Comuni della Bassa Romagna.
La soluzione progettuale non ha convinto i tecnici dell’Unione neanche dopo le integrazioni presentate da Edison, in quanto le prove stesse non rispecchiano le condizioni naturali di equilibrio del giacimento.
È per questo che le Amministrazioni interessate e l'Unione dei Comuni della Bassa Romagna esprimono contrarietà all’esclusione dalla VIA delle prove in sovrapressione in quanto non previste dalle autorizzazioni di esercizio attuali che invece sono state valutate all’interno di una Via.
Un malessere profondo scorre nelle vene della nostra società. Un mix di rassegnazione e rancore, sparso nei diversi territori geografici e sociali, che esplode ad ondate, si esprime con modalità democratiche – dal voto alla protesta.
Passa per gli insulti sui social, arriva alla violenza – individuale e di gruppo – sfiora e oltrepassa i limiti della tolleranza e della convivenza civile.
Un fenomeno-specchio della nuova fase di globalizzazione planetaria e dei sentimenti che essa genera: soli, ma sempre iperconnessi; col mondo racchiuso nel palmo di una mano ma con la paura del vicino; sgomenti e senza una visione di futuro nella quale collocare la propria esistenza. Quale abisso tra la portata di questi problemi e le ricette che la politica oggi è in grado di offrire!
Eppure questo malessere non è nuovo, viene da una lunga incubazione.
Venticinque anni di minore crescita rispetto ai principali paesi vicini, di politiche che prelevano dai cittadini più di quanto restituiscono con i servizi, fatte in nome degli interessi da pagare, ma che, ciò malgrado, vedono il debito aumentare inesorabilmente. Per sempre prigionieri delle politiche del passato.
La rassegnazione si spiega così. Il rancore anche con altro.
Dentro questa società bloccata, ceti professionali e manageriali hanno visto crescere a dismisura redditi e ricchezze, mentre ceti medi e lavoratori sono precipitati nella scala sociale e masse di giovani si trovano impantanati nelle sabbie mobili della precarietà.
Una lunga stagnazione, ma non per tutti, con dinamiche interne di forte divaricazione sociale. Con modelli di vita e di successo ostentati che diffondono invidia sociale. Un mercato di illusioni seguite da delusioni socialmente devastante. Così si può anche galleggiare nella rassegnazione, ma restiamo seduti su una polveriera.
Di fronte alla dimensione di questi problemi, la ricetta offerta dalla politica è ancora e sempre la crescita. E, in suo nome, la prosecuzione delle politiche fatte finora.
Certo, un punto di Pil equivale a 17 miliardi. Ma oggi l’1% appare un obiettivo irraggiungibile e, solo per pagare gli interessi sul debito, servirebbero non uno ma quattro punti.
E allora per quanti anni ancora si pensa di poter proporre ancora le vecchie politiche? Ci pensiamo al fatto che il rancore da esse generato ha spianato la strada al populismo? Che la politica è diventata solo una corsa per accaparrarsi le briciole che la bassa crescita consente? E che questo trasforma i partiti in dispensatori di benefici a microgruppi sociali ed economici che bussano alle loro porte frantumando in mille rivoli le poche risorse e rinunciando a progetti comuni e di respiro? Che in nome del nuovo e del cambiamento rischiamo di ritrovarci ai tempi della Dc, ma senza le risorse di quei tempi? Insomma non sarebbe l’ora di dirci la cruda verità e cioè che la sola crescita non può essere la soluzione? Che i problemi che abbiamo non dipendono solo dalla bassa crescita, ma dal tipo di crescita e, soprattutto, da come sono distribuiti i suoi frutti in termini di redditi e di ricchezze accumulate?
Ecco il tema che dovrebbe qualificare la campagna elettorale europea e quella della sinistra in particolare. Assumere la crescita come solo obiettivo da perseguire è, oltre che sbagliato, suicida per la sinistra. Significa, infatti, collocarsi in maniera subordinata rispetto al modello di sviluppo in atto e rinunciare ad una funzione specifica di rappresentanza degli interessi di una parte della società ed in particolare di quella più fragile. Questo non fa bene né alla sinistra né alla democrazia.
Oggi c’è bisogno di un mix di politiche, di sviluppo – crescita alternativa – , ma anche di redistribuzione, di un contributo dei redditi e delle ricchezze più alti, per attivare investimenti produttivi e sociali.
Ormai economisti a tutti i livelli indicano in una politica fiscale redistributiva che agisca sui patrimoni e sulle trasmissioni ereditarie la soluzione.
Occorrono forze politiche che la perseguano. Occorre aprire una nuova fase di conflitto distributivo. I ceti popolari disagiati non possono prendersela solo con chi sta peggio di loro.
È compito della sinistra indicare arricchimenti e privilegi da contrastare. Il sindacato sta arrivando a porsi questo problema. Sta alla sinistra, nella sua autonomia, fare la sua parte.
Commenta (0 Commenti)Elezioni europee. Il Pd di Nicola Zingaretti è disposto a fare proprie, a portare nelle piazze, le parole del manifesto elettorale del partito del socialismo europeo?
Questa volta, con le elezioni del Parlamento europeo, ciascuna elettrice, ciascun elettore si trova di fronte ad un bivio: se imboccare una strada che porta all’affermazione continentale del liberismo, travestito di austerità, che fomenta la guerra tra i più deboli, attraverso un’alleanza inedita tra popolari e razzisti, trasformando il continente in terreno di caccia tra Stati Uniti, Russia, Cina. O se percorrere quella di un’Europa, che può soltanto diventare più unita e più forte se rappresenta i molti deprivati di mezzi e di diritti. La sinistra italiana, nelle sue diverse sfumature, per corrispondere a questo bisogno diffuso, quali chiarimenti dovrebbe offrire, a meno di due mesi dalla scadenza?
Cominciamo dagli obiettivi. Il manifesto elettorale del partito del socialismo europeo, a cui il Pd appartiene, si apre con queste parole (la traduzione dall’inglese è mia perché – guarda caso – la versione completa in italiano è difficilissima da trovare):
«L’Unione Europea deve servire meglio il suo popolo. Le elezioni di maggio 2019 sono la nostra opportunità per cambiare l’Unione europea e costruire un’Europa più giusta. Le nostre società tuttora sopportano i costi della crisi economica del 2008. Abbiamo sfide urgenti cui fare fronte. L’Europa deve superare l’ineguaglianza, battersi per una giustizia fiscale, fare fronte alle minacce dei mutamenti climatici, contenere la rivoluzione digitale, assicurare un’equa trasformazione agricola, gestire meglio le migrazioni, e garantire la sicurezza di tutti gli Europei. L’Europa richiede un cambiamento di guida e indirizzo politico, relegando al passato i modelli conservatori e neoliberali dominanti, puntando su posti di lavoro di qualità per il suo popolo, un ambiente sano, sicurezza sociale e un modello economico che affronti l’ineguaglianza e i costi della vita attuali. Lo status quo non è un opzione. Un mutamento radicale è necessario per costruire un progetto per un futuro in cui tutti gli Europei possano credere».
Parole chiare, paradossalmente ispirate agli europeisti della sinistra britannica che hanno scelto come parola d’ordine: «Per un’altra Europa». Il Pd di Nicola Zingaretti è disposto a farle proprie, a portarle nelle piazze, a tradurle in opposizione a questo governo e a coloro che, puntando alle politiche, vogliono insediare un governo Salvini, o preferisce abbandonarle nei meandri di internet, continuando ad inseguire quelli che dovrebbero essere i suoi avversari politici? E i suoi candidati, Calenda compreso? La domanda non è retorica, perché l’ambiguità è reale.
Seconda domanda, rivolta alla c.d. sinistra radicale – altro paradosso – più in sintonia con il manifesto del Pse: è capace di produrre una proposta elettorale unitaria tra le sue componenti, che non rappresenti una mera contrapposizione al Pd – con cui dovrà allearsi a livello europeo – o, peggio, una dispersione di voti (la soglia, come noto, è al 4%; ben oltre quanto conseguito da LeU, il 4 marzo)? È capace di fondere in un’alleanza verdi e sinistra almeno a parole?
Poiché è alto il rischio che al silenzio politico e programmatico della sinistra italiana, nelle sue diverse articolazioni, seguano delle semplici liste di candidati, l’elettorato in attesa potrebbe formulare due semplici richieste.
1) Che ciascuno di essi renda pubblico qualsiasi finanziamento elettorale superiore ai 1000 euro. E, per favore, che nessuno accampi la c.d. privacy per sottrarsi ad una regola che i democratici statunitensi stanno già mettendo in pratica!
2) Che ciascun candidato dichiari le proprie appartenenze associative, quali che esse siano, come elemento di giudizio a disposizione dell’elettore.
Posso sbagliarmi, ma credo che molti di noi elettori, orfani di partito, sceglieremo sulla base delle risposte a questi o simili interrogativi e conseguenti richieste.
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