Commento. Secondo la Cina il nuovo ordine dovrebbe essere basato sulla cooperazione pacifica e sull’armonia: senza pretese di cambiare i sistemi politici altrui non ci sarebbero problemi
G7, lo spettacolo aereo nei cieli di Carbis Bay in Cornovaglia © Lapresse
Democrazie contro autocrazie: è il riassunto del G7 e del summit Nato svoltosi in questi giorni secondo i media internazionali. Al riguardo, abbiamo molto chiaro quale sia l’idea di ordine internazionale americano – ne abbiamo avuto molte applicazioni anche – ma si parla pochissimo di quale sia quella cinese, di cui si suppone sempre una volontà egemonica e volta a scoperchiare l’attuale rete di relazioni tra Stati.
Diventa dunque importante, al di là di registrare le reazioni di rito di Pechino, esaminare un aspetto: che idea ha la Cina del futuro dell’ordine internazionale? Una delle pietre angolari dell’idea cinese di ordine internazionale è la sovranità. Sottolineare i concetti di sovranità e del rispetto della sovranità altrui serve a Pechino per richiedere che anche gli altri facciano lo stesso con la Cina, cioè non interferire nei suoi affari interni.
Quanto all’ordine internazionale, la posizione cinese è piuttosto chiara: abbiamo vissuto per anni sotto l’egemonia americana – sostengono i cinesi – che ha disegnato le relazioni internazionali in un certo modo, ovvero utilizzando i valori occidentali per valutare qualunque Stato.
Secondo la Cina questo «mondo» è cambiato. Per Pechino, ad esempio, ogni paese è libero di perseguire «la propria via nazionale alla modernità e di respingere le influenze ideologiche occidentali. Ciò porta a rifiutare l’idea che un ordine globale debba necessariamente essere fondato su una radice normativa comune e su valori comuni, quali democrazia, liberalismo e diritti umani» (come spiega in modo egregio Matteo Dian in La Cina gli Stati Uniti e il futuro dell’ordine internazionale per Il Mulino).
Date queste premesse, secondo la Cina il nuovo ordine dovrebbe essere basato sulla cooperazione pacifica e sull’armonia: senza pretese di cambiare i sistemi politici altrui non ci sarebbero problemi, pensano a Pechino.
Ma tutto questo presuppone un altro concetto: il Tianxia (letteralmente «tutto quanto è sotto il cielo»). Come scrive il giurista cinese Liang Zhiping in una definizione molto precisa, «Tianxia descrive un ordine morale universale efficace, senza limiti geografici o etnici».
Ovviamente si tratta di un ordine sinocentrico, risalente all’epoca imperiale. Alla base del Tianxia c’era il riconoscimento della Cina come civiltà superiore, espresso attraverso i tributi. Oggi questa teoria è di nuovo in voga, perché Xi Jinping ha agganciato la storia del Pcc a quella della storia antica cinese, facendo diventare il Partito il custode di tutta la storia cinese e il suo massimo interprete nei tempi contemporanei. Anzi è il continuatore della grandezza cinese.
Ecco allora che il concetto di «società armoniosa» può essere esteso alle relazioni internazionali; ecco che il «sogno cinese» diventa il sogno di una «comunità dal destino condiviso».
In pratica la Cina ci racconta due cose: che è una potenza benevola e che paternalisticamente si pone alla guida di un nuovo ordine retto dal concetto di «win win» di cui la Cina è guida e garanzia. E che la Cina non è più un paese da «integrare» nell’ordine voluto da americani e Occidente, perché oggi, raggiunto lo status di potenza mondiale, può essere invece creatrice di un nuovo ordine basato non su valori ritenuti universali (che per i cinesi, e non solo, tali non sono), ma sulla cooperazione volta alla crescita delle economie e del benessere di tutti i paesi.
Può apparire una visione un po’ ingenua o addirittura subdola e ovviamente pone molti interrogativi e dilemmi ma al momento, ed è per ora la forza della proposta cinese, non presuppone un «modello» da esportare né con le buone, né con le cattive. E questa visione si può rifiutare, ovviamente. Ma non si può non tenerne conto o non conoscerla.