Salvini a Milano. Proprio di fronte al palco su cui sfilavano i campioni dell’onda nera, era srotolato un lungo striscione con su scritto «Restiamo umani». Sullo stesso balcone uno Zorro in perfetto costume disegnava nell’aria a colpi di fioretto. Era la sintesi dell’alternativa che c’è, e cresce nel Paese: umanità e ironia.
In Piazza Duomo a Milano ieri è andata in scena la rappresentazione fisica dell’«onda nera». All’insegna della peggior forma di comunicazione politica: la blasfemia e la menzogna. Blasfema è infatti l’immagine di Matteo Salvini con la corona del rosario in mano.
Che così si affida «al cuore immacolato di Maria che ci porterà alla vittoria»: una vittoria che, se ottenuta, significherebbe la chiusura dell’Europa al resto del genere umano sofferente e minacciato («Se fate di noi il primo partito europeo la nostra politica sui migranti la portiamo in tutta Europa e non entra più nessuno» ha detto testualmente).
Blasfema è la menzogna con cui ha risposto polemicamente a papa Francesco che ancora una volta invocava la «necessità di ridurre il numero dei morti nel Mediterraneo» e che si è sentito rispondere che questo è già stato fatto, da lui, «con spirito cristiano», con la chiusura dei porti, la persecuzione delle Ong che salvano e i patti scellerati con i tagliagole libici, come se eliminare i testimoni scomodi e lasciar crepare le persone nei lager di Tripoli e Bengasi significasse risparmiare vite umane. Blasfemo, infine, è il tentativo di sfidare il papa in carica (fischiato dalla piazza) con l’evocazione apologetica dei suoi predecessori, Ratzinger e Woytila, nel tentativo di allargare a colpi d’ascia la spaccatura della Chiesa.
Menzognera è, d’altra parte, l’immagine apparentemente rassicurante che nel contempo il Capitano ha voluto dare, negando che su quel palco sfilasse la «destra radicale» europea («qui non c’è l’ultradestra, c’è la politica del buonsenso») quando era del tutto evidente, dai nomi dei convenuti e dai toni dei loro discorsi, che così non era.
Che lì erano stati convocati i leader di un estremismo di destra del Terzo millennio che, ognuno a casa propria, lavorano per scardinare il sistema di valori che la modernità democratica aveva elaborato, dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo alle Carte costituzionali dei principali paesi occidentali, per sostituirli con una visione del mondo egoista e feroce, suprematista e razzista, ostile ai principii di eguaglianza e solidarietà.
C’erano un po’ tutti i campioni di questo nuovo credo inumano, dalla Marine Le Pen («la nostra Europa non è quella nata sessanta anni fa») all’olandese Geert Wilders («Basta immigrazione, basta barconi», punto!), dai tedeschi di Alternative fur Deutschland (sempre più aperti alle frange neonaziste dopo la rottura con la precedente leader) a quelli dell’Ukip (con cui lo stesso Farage ha rotto a causa delle loro eccessive simpatie fascistoidi). Mancava l’austriaco Strache, è vero, ma solo perché travolto dallo scandalo che l’ha coinvolto direttamente. Peccato, perché sarebbe stato interessante sentire cosa aveva da dire sull’idea del suo collega italiano di sforare il limite del 3% del debito, vista la posizione ferocemente ostile appena espressa dal suo premier.
E questo ci introduce a una seconda riflessione: la sostanziale fragilità di quel fronte andato in scena sul palco nero di Milano, in qualche modo direttamente proporzionale alla sua aggressività. Uniti nei confronti dei più deboli, quei muscolari esponenti dell’ultradestra continentale sono in intimo, inevitabile conflitto tra loro quando si tratta di ascoltare le ragioni l’uno dell’altro, sia che siano in gioco le dimensioni del debito (e il nostro è enorme) o la redistribuzione per quote dei migranti.
Ognuno, appunto, padrone a casa propria, e prima i rispettivi «nostri». È la maledizione che colpisce ogni populismo sovranista, per sua natura segnato da una forte carica di nazionalismo che gli rende impossibile ogni forma di reale cooperazione politica e finisce per riprodurre la logica amico/nemico verso chi dovrebbe essere un proprio alleato. Non è un fattore rassicurante, vorrei essere chiaro, perché storicamente questa maledizione ha portato alla guerra. Ma ci dice quanto velleitario ed effimero sia il fronte presentato a Milano in una giornata di pioggia.
Proprio di fronte al palco su cui sfilavano i campioni dell’onda nera, era srotolato un lungo striscione con su scritto «Restiamo umani». Sullo stesso balcone uno Zorro in perfetto costume disegnava nell’aria a colpi di fioretto. Era la sintesi dell’alternativa che c’è, e cresce nel Paese: umanità e ironia. Lo si è visto nella bella – colorata e viva – contro-manifestazione parallela che ha messo in campo una generazione antropologicamente refrattaria al cupo contagio nazional-populista.
Affacciati alla finestra. La rimozione forzata dello striscione di Brembate contro il ministro capo leghista provoca una reazione a catena in tutta Italia
Ormai quattro anni fa, i primi indizi che il grande consenso che si era coagulato attorno a Matteo Renzi stava sgretolandosi vennero dalle piazze. Quando ancora l’allora presidente del consiglio impazzava negli schermi televisivi e nei sondaggi, in giro per il paese cominciarono a contarsi e riconoscersi contestazioni. Dapprima episodiche, poi ricorrenti al punto che Renzi si trovò a dovere annullare apparizioni e comizi. Adesso, in uno scenario diverso e con protagonisti differenti, monta la contestazione che investe Matteo Salvini. Il quale già l’altro giorno ha improvvisamente cancellato il comizio napoletano di domani. Sabato 18 maggio la protesta lo inseguirà fino alla sua Milano. Ieri erano tantissimi gli striscioni che gli davano il polemico benvenuto a Campobasso. Nelle stesse ore si apprendeva degli accertamenti di polizia in corso nei confronti di un signore di 71 anni che il giorno prima a Carpi era salito su di un tetto per esprimere il suo dissenso nei confronti del leader leghista, mentre la piazza si riempiva di contestatori. È stato trattenuto per delle ore in questura, rischia una denuncia per «grida e manifestazioni sediziose».
A Firenze è comparso uno striscione con la scritta «Portatela lunga la scala, sono al quinto piano». La mappa delle città e delle piazze che hanno accolto Salvini con fischi e cori antirazzisti si infittisce di giorno in giorno, insieme alle polemiche sulla solerzia delle forze dell’ordine nel rimuovere i cartelli di critica al ministro dell’interno. Sono arrivate fino al question time della camera, per di più insinuandosi nelle tensioni interne alla maggioranza gialloverde visto che le deputate Veronica Giannone e Gloria Vizzini del Movimento 5 Stelle hanno chiesto al ministro se in casi come quelli delle rimozioni degli striscioni accadute a Salerno il 6 maggio e a Brembate il 13 maggio non sia «stato censurato il pensiero non violento di liberi cittadini».
«Nel caso di Brembate – ricostruiscono le due parlamentari grilline – il comandante dei vigili del fuoco di Bergamo, Calogero Turturici, ha spiegato in una nota che si è trattato di un ‘intervento tecnico’ eseguito ‘sulla base di una decisione della questura’. L’intervento è stato deciso utilizzando i vigili del fuoco e distogliendoli da altre operazioni di soccorso urgente che sarebbero potute accadere in concomitanza. Questori e prefetti non hanno il potere, se non per comprovate ragioni di ordine pubblico, di far rimuovere striscioni presenti in abitazioni private. E le balconate fanno anch’esse parte della proprietà privata». Salvini ha risposto cercando di alleviare la tensione e di rompere l’assedio simbolico che pare stringersi attorno ai suoi eventi elettorali: «Con tutto il rispetto per tutte le infrazioni al codice civile e al codice penale preferisco occuparmi di arresti di mafiosi e spacciatori che non di rimozione di striscioni -ha detto – Anzi, per quello che mi riguarda, più sono colorati e più sono simpatici, più divertenti sono gli striscioni meglio è. Sono disposto a offrire un bel caffè a chi fa lo striscione più ironico. Non tollero minacce di morte, insulti o inviti alla violenza».
Tra due giorni Salvini sarà in piazza Duomo in compagnia di Marine Le Pen. «Vediamo cosa succede – avverte il sindaco Beppe Sala – Se dovessero essere rimossi striscioni di critica politica mi farò sentire». Luca Paladini de I Sentinelli invita ad una protesta senza «una regia unica». «Non ci sarà una unica scritta sui lenzuoli che io spero molti milanesi vorranno appendere fuori dalle finestre, come gesto di protesta», spiega. Gli antirazzisti prevedono di incontrarsi dalle 14 alle 16 in piazza del Cannone, dove è previsto un happening artistico con cori per bambini. Da lì si muoveranno verso piazza Cairoli e comincerà la parata che farà un semicerchio attorno a Salvini. «Sarà un accerchiamento – spiega Elena di Non Una di Meno, che sta lavorando all’organizzazione dell’evento insieme ad altre sigle – Vorremmo segnare il confine tra noi e loro, tra la barbarie e il resto del mondo». È significativo che queste giornate di reazione al salvinismo finiscano proprio nella città che in questo primo anno di governo gialloverde ha dato forti segnali in controtendenza. «A Milano ormai da mesi si mobilitano decine di migliaia di persone: contro il razzismo, con il nuovo movimento delle donne, in difesa dell’ambiente minacciato dal cambiamento climatico – prosegue ancora Elena – Questa vivacità rispecchia un dato sociale molto concreto. Milano non ha il volto di chi rivendica di lasciare morire di fame le persone o vuole che un bambino resti affogato in mare. Il meticciato è un elemento reale, così come l’antisessimo e la capacità di sfidare i ruoli di genere ha a che fare con la sfida al mito della purezza dell’identità. Sabato tutto questo sarà evidente».
Europee, il Pd e il fronte 'da Macron a Tsipras', la replica da Atene. Il segretario greco: serve un’alleanza anche con la socialdemocrazia, se fa una svolta. Scettici gli italiani. La lista «La Sinistra»: dai dem italiani solo parole, non sono in linea con i socialisti portoghesi e spagnoli
«Abbiamo bisogno di una grande alleanza di tutte le forze progressiste, quelle di sinistra, dell’ecologia, della socialdemocrazia liberata dal neoliberismo, perché non possiamo lasciare il destino dell’Europa alla barbarie. Le forze di centrodestra commettono un crimine contro la democrazia in Europa quando si alleano o tollerano l’estrema destra». A precisare la posizione di Syriza, il partito del premier greco Alexis Tsipras, è il suo segretario, l’ex ministro Panos Skourletis. Il «fronte da Macron a Tsipras» è ormai diventato lo slogan più usato dal Pd per recuperare voti a sinistra. Da quella parte Tsipras viene descritto come pronto all’alleanza con i Socialisti e democratici. Per questo dalla Grecia arriva la precisazione.
«L’EUROPA È AD UN BIVIO cruciale. Deve abbandonare le politiche neoliberiste che hanno applicato i governi di centro-destra, di centro-sinistra e tecnici, che alimentano la guerra tra poveri, il fascismo, il nazionalismo ed il razzismo, che hanno distrutto il tessuto sociale europeo», ragiona Skourletis. «Seguiamo con grande interesse gli sviluppi in Europa del Sud e il fatto che i socialisti in Portogallo e in Spagna hanno abbandonato le politiche neoliberiste e collaborano con la sinistra. Abbiamo visto con favore la nascita della lista ‘La Sinistra’ in Italia, che esprime le forze che si trovano insieme con Syriza nel Partito della sinistra europea e nel nostro gruppo nel parlamento europeo, il Gue». Tanto più, conclude, che «con Sinistra italiana abbiamo da sempre un rapporto particolare che ha portato nel 2014 alla lista ‘L’Altra Europa con Tsipras’. Oggi nella lista di Syriza è candidata Luciana Castellina», fondatrice del manifesto. icona della sinistra italiana e oggi dirigente di Si.
L’ALLEANZA CON IL PSE non è esclusa da Syriza, dunque, ma a patto che il Pse faccia una svolta. Sulla quale, va detto, i candidati italiani di «La sinistra» sono scettici. Basta chiedere a Eleonora Forenza, europarlamentare uscente e ricandidata, dirigente Prc, che ieri ha incassato il prestigioso endorsement di Mimmo Lucano, l’ex sindaco di Riace: «Quella del ‘fronte da Macron a Tsipras’ è un’invenzione da campagna elettorale del Pd», attacca, «I fatti raccontano che nella scorsa legislatura nella stragrande maggioranza dei casi il Pd e i socialisti hanno fatto maggioranza con liberali e popolari. Lo stesso Timmermans (spitzenkandidat di S&D, ndr) è vice di Juncker. La sinistra in Italia e in Europa ha il compito di costruire un terzo spazio alternativo sia alla grande coalizione del neoliberismo che ha governato in Ue che all’onda nera che avanza e che ha nel governo italiano un punto di riferimento».
«LA PENSO ESATTAMENTE come il segretario di Syriza», risponde il segretario di Si Nicola Fratoianni, anche lui in corsa. «Serve ricostruire un quadro di forze progressiste che contrastino l’ondata sovranista e le politiche neoliberiste che l’hanno gonfiata. Anche io guardo con speranza a quello che succede in Spagna e in Portogallo». Il problema però è che in Italia le cose non vanno in quella direzione. «Magari ci fossero le condizioni anche da noi. Ma il Pd non è in linea con la sua stessa narrazione. E basta guardare il suo programma per dover prendere atto che l’alleanza fra progressisti europeisti che propone fin qui non ha basi di merito, anzi va in direzione opposta. Purtroppo, aggiungo».
«DA MACRON A TSIPRAS? Meglio da Tsipras a Lucano, Castellina e Krajewsk» (il cardinale elemosiniere di papa Francesco che ha riallacciato la corrente a un condominio occupato, ndr), scrive su facebook Argiris Panagopoulos, dirigente di Syriza e candidato nelle liste italiane di La Sinistra. «Molti sono gli ipocriti che oggi fanno riferimento a Tsipras, come coloro che hanno applicato l’austerità in Italia, hanno cancellato i diritti dei lavoratori, e hanno cercato di stravolgere una delle costituzioni più democratiche del mondo, hanno attaccato i sindacati e hanno cercato di denigrare i loro dirigenti». I «veri amici di Tsipras», prosegue, si sono battuti al suo fianco «contro il piano di Juncker» e «contro l’orchestra di Renzi, Grillo, Salvini e Berlusconi e dei mezzi di informazione di centrodestra e di centrosinistra che facevano il gioco della Germania sostenendo che il referendum era per il ritorno alla dracma».
NELL’ALA SINISTRA DELLE LISTE PD invece le parole di Skourletis sono una conferma. E di più «una buona notizia», spiega Massimiliano Smeriglio, «sia sul piano dell’indicazione politica che su quello del senso della responsabilità. A nessuno può sfuggire l’estrema pericolosità di questo passaggio elettorale, l’onda nazionalista rischia di travolgere la nostra convivenza civile. E in Italia, in queste ore, abbiamo purtroppo continui segnali di questo pericolo».
di Filippo Miraglia (responsabile immigrazione Arci nazionale) da "Il Manifesto" del 12 maggio 2019
Il fastidio che il titolare del Ministero dell’Interno ha per la Costituzione, le istituzioni della Repubblica, le leggi e le convenzioni internazionali, è così esplicito che dovremmo forse considerarlo eversivo. Così com’è chiara la sua attitudine alla competizione machista. Non potendo piegare l’ordinamento giudiziario ai suoi desiderata, né tanto meno quei corpi dello Stato che svolgono un servizio secondo quanto disposto dalla legge, prova a introdurre modifiche legislative che gli consentano di vincere, costi quel che costi. Scavalcando competenze e stracciando ogni senso di responsabilità pubblica che dovrebbe avere un ministro. Intanto ottiene un risultato d’immagine, alimentando il razzismo e provando così ad accrescere il suo consenso personale. L’obiettivo è comunque assicurato, anche se il testo non arriva neanche in consiglio dei ministri. Se poi ci arriva, e magari viene anche approvato, tanto meglio. La dinamica del secondo salvataggio effettuato dalla Mare Jonio, la nave di Mediterranea, (piattaforma della società civile sostenuta anche dall’Arci, che ha destinato la raccolta del 5 per mille di quest’anno proprio a Mediterranea) il 9 maggio scorso, deve avere irritato a tal punto il ministro della Propaganda da spingerlo a forzare le istituzioni pur di impedire che quanto è successo si possa ripetere. Leggendo il primo articolo della bozza di decreto si capisce che il riferimento è proprio a quanto è successo giovedì scorso a 40 miglia dalla Libia, in acque internazionali. La Mare Jonio ha tratto in salvo 30 persone ed ha chiesto, alle autorità italiane, trattandosi di una nave italiana, di indicare un porto sicuro. L’Mrcc di Roma ha risposto inoltrando una mail del Viminale che dice alla Mare Jonio di fare riferimento alle
Ciafani (Legambiente): "Forlì diventerà un modello per l'Italia, vent'anni dopo Treviso" A circa un anno e mezzo dall’inizio dell’impresa, Alea Ambiente - azienda in house di 13 comuni della Romagna forlivese – si racconta. Lo ha fatto venerdì pomeriggio al Teatro il Piccolo
A circa un anno e mezzo dall’inizio dell’impresa, Alea Ambiente - azienda in house di 13 comuni della Romagna forlivese – si racconta. Lo ha fatto venerdì pomeriggio al Teatro il Piccolo di Forlì alla presenza di quanti hanno accompagnato e contribuito allo sviluppo dell’azienda e all’avvio del Porta a Porta con Tariffa Puntuale sul territorio. Sono intervenuti il sindaco della città di Forlì, Davide Drei, il presidente di Alea Ambiente, Daniele Carloni, il presidente di Contarina Spa – azienda di proprietà di 49 comuni della provincia di Treviso – Franco Zanata, il direttore generale di Alea Ambiente, Paolo Contò. Ospite speciale, il presidente di Legambiente nazionale, Stefano Ciafani.
Proprio Ciafani spiega che da oggi il modello di riferimento per tutt'Italia deve diventare Forlì. Da Legambiente viene il pieno appoggio al sistema di raccolta domiciliare con tariffa puntuale: "E' un sistema che l'Italia praticava in provincia di Treviso vent'anni prima che l'Europa parlasse di economia circolare. Non avevamo dubbi che questo modello avrebbe funzionato anche a Forlì, in una regione come l'Emilia-Romagna che si deve liberare da un sistema oppressivo di gestione dei rifiuti ancora ancorato ai modelli del Novecento". Per il presidente di Legambiente "oggi è il 25 aprile dell'economia circolare in Emilia-Romagna, il giorno in cui si festeggia una liberazione sul sistema basato sulla multiutility", tanto che "da oggi non c'è solo un modello Treviso, ma si deve parlare di sistema Forlì in Italia". Il prossimo step per la società dei rifiuti? "In futuro Alea Ambiente dovrà fare anche impianti di proprietà, deve essere la missione successiva per evitare di appoggiarsi in impianti di altre imprese, non sempre accoglienti per i rivoluzionari quale è Alea".
L’evento al teatro il Piccolo è stato l’occasione per ripercorrere le tappe principali di Alea Ambiente e dell’introduzione del Porta a Porta con Tariffa Puntuale. Alea Ambiente nasce il 6 giugno del 2017, ed entra in servizio il 1 gennaio del 2018 con un primo periodo di attività transitoria. A maggio 2018 comincia l’attività di comunicazione e informazione e di distribuzione propedeutica all’introduzione del Porta a Porta. Il territorio gestito da Alea Ambiente viene suddiviso virtualmente in 5 step di avvio. I primi comuni a partire con il Porta a Porta, nel settembre 2019, sono: Castrocaro Terme e Terra del Sole, Modigliana, Dovadola, Rocca San Casciano e S. Benedetto, Portico e Tredozio. A seguire a dicembre, Civitella di Romagna, Galeata, Modigliana, Predappio, infine nei primi mesi del 2019 Forlì, Forlimpopoli e Bertinoro. Nell’arco del periodo sono stati inaugurati 2 Punti Alea: uno a Forlì e uno per vallata, a Dovadola e a Civitella di Romagna, con l’obiettivo di essere ancora più presenti sul territorio. “Leggi tutto su forlitoday
Salone del Libro. Lo scandalo più grande, non è solo lo sfregio che lo stand fascista porta a Torino, ma quello, enormemente più grave e intollerabile, all’intero Paese, rappresentato da un ministro della repubblica che da quell’editore filo-fascista e filo-nazista pubblica
La presenza fascista nella più importante manifestazione editoriale italiana non è un «fatto culturale». È un oltraggio alla cultura. Chiedere alle vittime e ai loro eredi di condividere lo stesso spazio con i loro carnefici (e i loro eredi) non è atto voltairiano di libertà di pensiero. Ma un gesto di disumanità e di apatia morale intollerabile. Hanno ragione i rappresentanti del Museo di Auschwitz quando richiamano le istituzioni «proprietarie» dell’evento – il Governatore del Piemonte e la Sindaca di Torino in primis – alle loro responsabilità per rimediare alla precedente pilatesca passività. Così come ha ragione – mille volte ragione – quella parte del mondo della cultura che si mobilita di fronte all’oltraggio a quella che è la (residua) dignità degli intellettuali, lacerandosi, certo, dividendosi tra posizioni che hanno, a mio modo di vedere, pari dignità, tra chi intende esprimere la propria indignazione con il rifiuto della propria partecipazione (con l’idea che questa suonerebbe come accettazione). E chi invece intende esserci con la propria combattiva presenza (con l’idea che non esserci significherebbe lasciare agli altri libero il campo). Entrambi con la consapevolezza della portata della sfida in corso: della minaccia, inedita, che la falla aperta dallo sdoganamento di ciò che la fine della seconda guerra mondiale