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Quando mai sui nostri giornali si parla dell’art. 32 della Costituzione?. Di rado, molto di rado. E quando mai si tessono le lodi del servizio sanitario nazionale? SSN, quello pubblico, quello che noi, noi Italia, abbiamo da 41 anni ed altri no. Che so ad es. l’Argentina, un paese civilissimo, pieno di italiani, un sistema sanitario veramente pubblico non ce l’ha proprio!
Ma la cosa che davvero non ti aspetti è che a tesserne le lodi sia Il tempio dell’opinione pubblica lombarda, il Corriere della Sera. Nella regione che ha un buon sistema sanitario ma forse quello, in Italia, che più di altri favorisce la sanità privata. Eppure ..

Eppure è lì, proprio lì sul Corrierone, che Sandro Spinsanti afferma  “da questa radice [l’art. 32 Cost. ndr.] è nato uno dei frutti della nostra vita sociale di cui siamo più orgogliosi: il Servizio Sanitario Nazionale..”.

 Si va beh, non è un editoriale in prima pagina, ma ci informa che “… Di recente il GIMBE ha diffuso un’immagine eloquente: medici che esaminano una radiografia ed esclamano: «Lo stiamo perdendo». Il malato, come mostra la radiografia, è l’Italia. Ovvero il suo SSN. Non si tratta dell’eterno problema del suo rifinanziamento. L’emergenza riguarda piuttosto i non celati progetti di smantellamento. …

Ora è pur vero che si tratta di una spalla a pag. 27 ma dove lo trovate uno che vi dice paro paro che: “ … Le minacce vengono dal regionalismo differenziato, che rischia di compromettere l’uguaglianza e la solidarietà, canoni fondamentali del sistema. Circolano anche espliciti inviti all’opting out. Tradotto: chi può permetterselo, scenda dalla nave prima che affondi, abbandonando il Ssn a favore di altri sistemi di copertura sanitaria. Né i partiti di governo, né quelli all’opposizione sembrano accorgersi dell’incombere del pericolo.  “
L’autonomia differenziata, proprio quella che Lombardia e Veneto esigono a suon di referendum e di dichiarazioni ultimative e che anche l’Emilia-Romagna, sia pur con qualche moderazione, incautamente richiede, sta lì secondo Spinsanti il pericolo del“Lo sgretolarsi della sanità universalistica: i cittadini lo sentono sulla propria pelle.”

Ok lo confesso, è a pag. 27 dell’inserto Salute del Giovedì, ma in fin dei conti chi è più sensibile a questi temi di chi cerca lumi sul reflusso laringofaringeo (meno noto di quello gastrico), sulle differenze fra la polmonite batterica e quella virale…, sull’ansia che ci può salvare la vita, ma ci può far soffrire..”? Io, lo ammetto, ci ho dedicato un pomeriggio di lettura con grande soddisfazione ed accrescimento culturale, e poi, anche se non è il Manifesto, sapete come conclude?
“È tempo di alzare la voce con una mobilitazione, perché arrivi all’orecchio dei politici nelle cui mani è riposta la nostra sicurezza sanitaria.  “
Bravo Spinsanti!! Vedo sardine dappertutto.

 Alessandro Messina

L’articolo citato si intitola: “«Lo stiamo Perdendo» Radiografia Del Ssn” di Sandro Spinsanti e lo potete trovare a pag. 27 dell’inserto Salute del Corriere della Sera di giovedì 21 novembre 2019. Purtroppo non ve lo posso linkare perché sul sito non è presente.

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da "il Manifesto” del 13.11.2019

È stato presentato alla Camera dei deputati, sottoscritto dai capigruppo di tutte le componenti della maggioranza, il testo della proposta di legge costituzionale di modifica degli articoli 57 e 83 della Costituzione. La richiesta di riduzione a 25 anni dell’elettorato passivo per il senato dovrebbe invece essere inserita come emendamento al disegno di legge costituzionale sulla riduzione a 18 anni dell’elettorato attivo per il senato, già approvato dalla camera e attualmente all’esame in prima commissione al senato. Entro dicembre, infine, è prevista la presentazione della nuova proposta in materia elettorale.
Con la modifica dell’articolo 57 si vuole sostituire il riferimento alla «base regionale» già prevista nella Costituzione per l’elezione dei senatori con una più generica «base circoscrizionale». In tal modo si lascia alla legge ordinaria la determinazione dell’ambito territoriale per l’elezione dei membri del senato. La ragione di questa scelta è data dall’esigenza di assicurare una rappresentatività plurale anche dopo la riduzione del numero dei senatori nei diversi territori del paese. In effetti, il vigente sistema elettorale, ove non venisse modificato, non garantirebbe una adeguata rappresentanza delle minoranze in diverse parti del territorio nazionale, nonché renderebbe gli attuali collegi uninominali del tutto disomogenei con grave lesione del principio di eguaglianza e rappresentatività nel voto. Ma non si doveva cambiare la legge elettorale?

È anomalo questo modo di procedere e – forse – indicativo di una cattiva coscienza. Si modifica la Costituzione per adeguarla ad una normativa ordinaria che si è deciso di trasformare. L’occhio è puntato sull’oggi, non confidando sul domani. Che senso avrà la riforma se poi si dovesse adottare un sistema proporzionale di lista, ovvero si dovessero ridurre le dimensioni

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photo of Nadia Urbinati

 I due giorni di lavori dell’assemblea del Partito Democratico a Bologna sono stati importanti, un ottimo inizio di un processo che, speriamo, sia ricostruttivo del partito e della sinistra, senza tentennamenti. E la distinzione che Nicola Zingaretti ha proposto tra il Pd e i suoi possibili o ipotetici alleati, è interessante: “Noi ribadiamo una scelta di sperimentare le alleanze. Quando dicono ‘non vogliamo un accordo storico’, mi fanno sorridere. Io dico solo che non si governa fra avversari politici. E quando dico ‘vocazione unitaria’ parlo ai leader, ma soprattutto alle persone che ci guardano. Governiamo per l’Italia e non per accrescere noi stessi dando picconate alla coalizione”.

Pd, lotta su due fronti

La riflessione di Zingaretti è un commento alla dura alleanza di governo – dura, soprattutto a causa delle quotidiane scermaglie renziane mosse da due obiettivi: continuare la campagna acquisti dei parlamentari di altri partiti (a tutto campo); sbaragliare elettoralmente il Pd per ottenere che solo il suo movimento e la Lega si contendano il campo. La lotta del Pd è quindi su due fronti alla sua destra: quello centrista e su quello di destra radicale. Renzi e Salvini. Questo per il futuro prossimo.

Emilia-RomagnaPer il futuro vicino, ovvero la campagna elettorale nella Regione Emilia-Romagna, la ricerca di “sperimentare alleanze” senza “accordi storici” potrebbe riguardare la sinistra del Pd. Visto che in Regione la lista Bonaccini ha già inglobato i renziani, quel che il Pd dovrebbe fare è aprire il cantiere della alleanze con la sinistra, per esempio la lista Coraggiosa attivata da Elly Schlein, che non è certamente un’avversaria del Pd e non ha altre ambizioni se non dare una possiblità di rappresentanza a quei cittadin*, che sono tanti, che non sentono o non sentono ancora di poter avere fiducia nel Pd – ricordiamo che Bonaccini è stato eletto cinque anni fa con una partecipazione al voto del 37%.

Una politica ragionevole senza manicheismo

Per il futuro vicino e meno vicino, è importante un’altra riflessione di Zingaretti: “Il Pd rifiuta il mito della forza, del machismo tracotante e volgare che la destra ha riproposto. E’ tipico che i dem ricorrano di più alla forza del pensiero femminista, per costruire una società di rispetto dell’altro. Ribaltiamo i miti della destra”. Si tratta di una suggestione di unità nazionale, una promessa di ragionevolezza e di politica come discorso, che espelle il manicheismo, il quale fa parte di una visione religiosa e dunque radicalmente opposizionale.

Certo, un partito che vuole essere un partito e non un movimento populista deve proporsi in questi termini di giudizio politico. Ma attenzione a non cadere nell’eccesso opposto, ovvero a rifiutare di essere “contro”.

Il buon governo, la politica “per” non basta

La campagna elettorale che già infiamma la Regione Emilia-Romagna è stata impostata dalla Lega di Salvini-Borgonzoni come una lotta religiosa tra amici e nemici. E questo è uno stile opposto alla politica democratica e al Pd. Tuttavia, al manicheismo non si può rispondere solo sfoderando il pragmatismo del buon governo regionale. La politica del “per” non basta a contrastare la politica del “contro”.
Occorre anche sapere usare il pedale della contrapposizione contro un avversario che non deve passare, che non deve vincere. Non deve passare perché eminentemente intollerante, e corrotto, perché vergognosamente fazioso e manipolatore dell’opinione dei cittadini, perché dispregiatore della solidarietà sulla quale si regge la cittadinanza democratica. Questi temi “contro” devono essere sfoderati con la stessa chiarezza e forza con la quale si elencano le belle conquiste del buon governo della regione emiliano-romagnola.

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Finisce di parlare Pierpaolo Bombardieri, segretario aggiunto della Uil, e il moderatore annuncia l’intervento del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini. E’ uno dei momenti più attesi della seconda giornata (ieri) della tre giorni dei democratici intitolata “Gli anni 20 del 2000, tutta un’altra storia”,  che si conclude oggi, con l’intervento di Nicola Zingaretti, a Palazzo Re Enzo, nel cuore della Bologna medievale. Il leit motiv di tutti i discorsi che si susseguono sul palco della sala principale, piena come un uovo, è la rottura con il paradigma delle politiche fin qui condotte da un partito democratico che con fatica, autocriticamente, prova a ritrovare una sua identità dopo anni di sbornia neoliberale renziana. E da Catania, proprio mentre Landini si appresta ad iniziare il suo discorso, coraggioso e a tratti autocritico, arrivano le radiazioni di fondo della convention nazionale di Italia Viva, le parole della segretaria del nuovo “partito lavatrice” di Renzi, Teresa Bellanova: “Prendiamo a destra, a sinistra, al centro”. Prendiamo pure Mara Carfagna e Renata Polverini. Prendiamo tutto. Poco prima, Fabrizio Barca, dallo stesso palco da cui sta per prendere la parola Landini, applauditissimo, aveva lanciato un monito che sembra raccogliere il sentimento della platea bolognese: “Basta con la rotta neoliberista”. Mondi lontanissimi, Bologna e Catania, che si allontanano in espansione nello spazio-tempo della sinistra.

“Ringrazio Gianni (Cuperlo) e Nicola (Zingaretti) per l’opportunità che mi è data di intervenire oggi”, esordisce Landini. “Un’opportunità che voglio usare parlando con franchezza”. E in effetti, nei suoi 27 minuti di discorso, continuamente interrotti dagli applausi (ben 26), il segretario della Cgil, richiamerà più volte, criticamente e autocriticamente, le responsabilità della sinistra, nelle sue varie declinazioni storiche e organizzative, in quello che definisce “il disastro della precarietà del lavoro”. Un intervento, agli occhi dei più attenti osservatori, coraggioso, che non risparmia nessuno, nemmeno il sindacato.

IL BIENNIO ROSSO

“Sarò molto franco”,  dice Landini. “Prima si diceva di individuare una parola per il futuro. Ebbene, potrà apparire banale che lo dica io, ovvio, ma mai come adesso penso che la parola sia lavoro. Come stanno oggi le persone che hanno bisogno di lavorare per vivere? E soprattutto qual è il contributo che si può dare per ricostruire una rappresentanza politica del lavoro? Siamo vicini al 2020.  Nel secolo scorso  questo stesso periodo è stato molto importante  dal punto politico. Fu chiamato il Biennio Rosso, una fase molto importante di grandi lotte per l’emancipazione e per i diritti”.

IL LAVORO E LA COSTITUZIONE

“Il tema – continua Landini – non è semplicemente quello di avere un’attività che mi permetta di vivere perché oggi non permette neanche quello ma il tema è che se una persona non è libera nel lavoro, se non è in grado di potersi realizzare attraverso il lavoro, non può fare alcun progetto di vita, non può entrare in relazione positiva con gli altri. E non è un caso che la nostra Costituzione dica al primo punto che la Repubblica è fondata sul lavoro. E la Costituzione non è né comunista né socialista né democristiana. Semplicemente mette al centro il valore del lavoro, andando oltre la singola appartenenza politica”.

AUMENTA LO SFRUTTAMENTO

“Io credo – prosegue Landini – che si debba ripartire da quello che sta avvenendo oggi e cioè dal peggioramento secco delle condizioni di lavoro e soprattutto della libertà delle persone nel lavoro, anche nei settori apparentemente più evoluti. Prendete l’algoritmo: in realtà sta determinando in molti casi un aumento dello sfruttamento nel lavoro. Si pensi al controllo sul lavoro delle persone. Proviamo a riflettere su quello che succede ad Amazon, ma non solo. Ma in qualsiasi luogo di lavoro si vada, che sia un ospedale o un centro commerciale, un’azienda o un ente pubblico, si vedrà come persone che fanno lo stesso lavoro non hanno più gli stessi diritti e non hanno più le stesse tutele. E tu sei di fronte al fatto che in molti casi questo determina non la solidarietà ma la competizione tra le persone. Io una situazione così difficile tra le persone che per vivere hanno bisogno di lavorare, come adesso, non l’ho mai vista: quando fai un’assemblea, quando discuti in tanti luoghi di lavoro vedi che le persone anziché prendersela con chi le sfrutta,  hanno paura di quello al loro fianco”.

I NUOVI MURI

“Ma non solo in Italia”, specifica Landini: “Negli ultimi vent’anni in Europa, in Francia, in Germania, in Spagna, noi siamo di fronte a una messa in discussione dei diritti senza precedenti, della centralità della finanza sull’economia. Abbiamo tutti pensato che con la caduta dei muri si sarebbe estesa la democrazia, ma la realtà è che l’unica cosa che oggi può liberamente circolare nel mondo senza vincoli sono i soldi mentre le persone non possono neanche più girare. Diciamo che è caduto il muro ma tanti altri ne sono stati costruiti”.

LA SINISTRA HA ESAURITO LA SUA SPINTA PROPULSIVA

Ma è alla sinistra che Landini riserva il passaggio più forte, quasi volesse dare una scossa: “E allora penso che le parole debbano tornare al loro vero significato. La dico grossa. Io penso che la sinistra nelle varie forme e culture politiche in cui si è espressa in Italia e in Europa, socialista, comunista socialdemocratica, ma anche la cultura cristiano sociale abbia esaurito la sua spinta propulsiva verso il cambiamento. E se vogliamo essere onesti con noi stessi occorre ammettere che queste culture, tutte, con gradi diversi, sono corresponsabili anche del disastro sociale che si è determinato nel mondo del lavoro. Per tanti di noi, anche per me, per la mia storia, per la mia esperienza, la parola sinistra, era la parola che tu potevi associare alla speranza di cambiamento. Ma se oggi prendiamo un giovane precario che era precario quando c’era il governo di centro-destra, poi era precario con il governo di centro-sinistra, poi è rimasto precario con il governo giallo-verde ed è ancora precario con il governo giallorosso, quale diversità dovrebbe vedere tra destra e sinistra se la politica cambia e lui rimane sempre precario. Come può pensare che la sinistra sia lo strumento per cambiare la propria condizione”. Applausi.

 IL CORAGGIO DELL’AUTOCRITICA

Ma Landini continua con un passaggio che, rompendo gli schemi della retorica autoreferenziale, riguarda anche il sindacato: “Guardate che questo ragionamento – aggiunge Landini – non lo faccio come quello che vuole insegnare nulla agli altri, mi rendo conto che in parte è un tema che riguarda anche il sindacato: vorrei essere chiaro, non sono qui a spiegare che noi abbiamo capito tutto e qualcun altro non ha capito niente. Perché anche noi, anche il sindacato abbiamo capito in ritardo i disastri che avrebbe determinato la precarietà nel lavoro. Non a caso mi permetto di dire che una delle cose più importanti che la Cgil ha fatto in questi anni, e non l’ho fatta io che ancora non ero segretario (il riferimento è alla carta universale dei diritti e alla raccolta di firme – oltre tre milioni – contro il Jobs Act promosse durante la segreteria di Susanna Camusso ndr), è stato porre il tema che i diritti non possono essere legati al tipo di rapporto di lavoro che hai ma devono essere in capo alla persona a prescindere dal rapporto di lavoro”.

LA RIUNIFICAZIONE DELLE PERSONE

“E allora penso che il problema non è semplicemente riunificare la sinistra o riunire la sinistra, penso che c’è una cosa ancora più importante che è quella di riunificare socialmente le persone che lavorano e che non sono mai state tanto divise e contrapposte. E noi, come sindacato, abbiamo bisogno di lanciare con forza un’idea di ricostruzione di un’unità che non è una semplice somma, perché il processo di unità sindacale non lo fanno dei dirigenti illuminati se non c’è un processo che mette nelle condizioni le singole persone che lavorano di poter partecipare  e di poter essere persone che decidono del loro futuro e del loro destino. E, consentitemi, questa domanda di partecipazione non la risolvi solo chiedendo alle persone di arrivare con la bandiera in tasca: le persone devono avere la possibilità di usare la testa, senza chiedere con chi stai, ma tu cosa pensi e che cosa vuoi fare per risolvere quel problema lì. La discussione tra di noi, anche al nostro interno, non deve essere una discussione di posizionamento, ma di quello che concretamente tu realizzi. Di questo abbiamo bisogno  e a me sembra che questo sia il vero modo per ricostruire anche quella capacità di mobilitazione che può apparire persa. Sapendo che i valori fondamentali su cui noi siamo nati, e cioè l’antifascismo e l’antirazzismo, hanno la maggioranza del consenso in questo paese”.

Fortebraccio News

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cambiamento climatico

 

Da RavennaNotizie

Negare, negare sempre, anche l’evidenza. L’amministrazione comunale di Brisighella, dopo il consiglio comunale del 30 settembre, doveva aveva bocciato la mozione sull’emergenza climatica presentata dalla lista Insieme per Brisighella e l’assessore Gianmarco Monti si era mostrato negazionista sul global warming (“la causa è il sole”), continuano nella loro operazione negazionista.

Ci dispiace che oggi venga strumentalizzata una delle tante associazioni attive sul territorio di Brisighella, che ha organizzato un incontro sulla “Transizione energetica: nuovi orizzonti”.  L’amministrazione di Brisighella non perde l’occasione per strumentalizzare e con un comunicato dal titolo “There is no climate emergency” vuole dare tutto un altro fine politico al pomeriggio.

Se interrogarsi sulla riconversione ecologica di un settore industriale importante come quello dell’Oil&Gas ravennate è un dovere per ogni rappresentante del territorio, per tutelare occupazione e know how di tanti lavoratori nella nostra provincia, negare l’emergenza climatica è una sciocchezza che va contro l’evidenza e la realtà.

Non era proprio il Sindaco Pederzoli che alla presentazione del progetto dei lavori di costruzione di invasi di accumulo nel territorio ha evidenziato l’importanza di queste opere in un contesto di estremizzazione del clima, con il recente record di 42,5 gradi toccato a Brisighella il 4/08/2017, per preservare la sostenibilità dell’irrigazione estiva?

 La lista Insieme per Brisighella, il Partito Democratico di Brisighella, Articolo Uno Faentino e l’Altra Faenza condividono le critiche che i ragazzi dei Fridays for Future hanno rivolto all’amministrazione di Brisighella e invitano il Sindaco e la Giunta di Brisighella ad astenersi da altre strumentalizzazioni terrapiattiste. Per sostenere la sua agricoltura di qualità, la sua attrattività turstistica e un futuro industriale, Il territorio di Brisighella ha bisogno di una visione di progresso che sia sostenibile ed ecologica, non negazionista e antiscientifica.
 
Insieme per Brisighella, PD di Brisighella, Articolo Uno Faentino e l’Altra Faenza
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Acciaio fuso. Per salvare lavoro e salute, non si può fare una politica industriale a pezzetti, servirebbero manager pubblici, come, a suo tempo, in Italia non sono mancati.

La drammatica vicenda dell’Ilva richiama un groviglio di questioni e di responsabilità da dipanare se si vuole una soluzione alla questione ambientale e sociale che essa ha suscitato. Non sono d’aiuto, anzi d’impaccio, le polemiche tra incompetenti e irresponsabili.

La gravità della situazione impone di andare alle radici del problema. Quando si confrontano e si scontrano due diritti fondamentali esplicitamente tutelati della Costituzione, due beni comuni potremmo anche dire, come il lavoro e la salute degli individui e della comunità, e tale scontro non trova soluzione, se non distruttiva per uno di questi diritti o per entrambi, nel perimetro determinato dalle scelte dell’industria privata votata al profitto, c’è un’unica soluzione possibile: la nazionalizzazione dell’impresa.

Tanto più che in questo caso parliamo di un settore da considerarsi strategico per un paese che non vuole rinunciare ad una sua dimensione industriale e di un’azienda che, pur avendo un’estensione nazionale, è principalmente collocata in un Mezzogiorno sempre più alla deriva economicamente e socialmente come lo stesso ultimo rapporto Svimez ha inequivocabilmente dimostrato.

Conosco l’obiezione: la pubblicizzazione di un’impresa o anche di un intero settore di per sé non garantisce della qualità dei piani e delle scelte industriali praticate, né della buona cura del territorio circostante.

Nessuno dimentica la polemica contro le “cattedrali nel deserto”, locuzione profetica coniata da Luigi Sturzo nel 1958, agli inizi del “miracolo economico” italiano, con particolare riferimento alla Sicilia e che diventò un cavallo di battaglia del Pci nella sua polemica contro la politica delle Partecipazioni statali. Né hanno fatto meno disastri le “cattedrali nelle città”, come il quarto centro siderurgico, l’allora Italsider di Taranto, sorto a metà degli anni sessanta. “Un progetto barbarico di industrializzazione” lo definì Antonio Cederna.

Non bastano dunque l’intervento e la proprietà pubblica. Ci vuole una visione strategica complessiva della politica economica, industriale e ambientale per l’intero paese, tanto più quando la sua economia è fortemente integrata a livello internazionale ed europeo in particolare.

Ma l’esperienza fatta dalle sciagurate privatizzazioni messe in atto da quarant’anni a questa parte mostra che si poteva fare di peggio e lo si è fatto. Inchiodare Ancelor alle sue specifiche responsabilità è giusto nell’immediato, se non altro per farle pagare il prezzo più alto. Si afferma che la cancellazione dello scudo penale come lo stesso intervento della Magistratura, che dopo la morte di un lavoratore ha imposto il blocco dell’altoforno Afo2 fino ad adeguamento tecnologico, siano una pura foglia di fico. Se si è convinti di questo non ha molta potenzialità deterrente ripristinare lo scudo. Il Re è già nudo. E poi come?

Si dice che le colpe dei precedenti inquinatori del territorio e avvelenatori della salute non possono pesare sulla nuova gestione. Ma se questo dopo non differisce molto dal prima, se il piano di risanamento batte la fiacca o non comincia, non è possibile preassicurare l’impunità. Pare che il governo pensi a un nuovo decreto.

Intanto ministri dichiarano rassicuranti che chi inquina deve pagare. Ma cosa, i funerali delle vittime di cancro del quartiere Tamburi e oltre?

Le preoccupazioni costituzionali espresse da Flick, già Presidente della Consulta, non sono affatto peregrine. Si può – forse, ma con tutte le cautele e i distinguo necessari – fare un’eccezione quando è in corso una realizzazione guidata e attuata dallo Stato, ma non estenderla a imprenditori privati il cui fine dichiarato è la profittabilità dei loro investimenti. Come in questo caso, visto che la richiesta di considerare esuberi strutturali 5mila lavoratori, cioè la metà degli occupati nello stabilimento tarantino, e di ridurre il volume della produzione deriverebbe dalle difficoltà dell’acciaio nel mercato internazionale manifestatesi l’anno scorso.

Ma proprio questo ci dice che la proprietà deve passare di mano. Non si può pensare di inseguire all’infinito, con commissariamenti a tempo, nuovi partner-padroni internazionali. Proprio perché la situazione economica mondiale si presenta come stagnante con il rischio di nuove pesanti recessioni, diventa suicida mettersi nelle volubili e capricciose mani del mercato internazionale, sia quello finanziario che quello delle materie basiche per l’industria.

Si dice che la Cassa Depositi e Prestiti non dev’essere la madonna pellegrina. Ma neppure il convitato di pietra. Se non interviene in un caso del genere non si capisce a cosa serva.

Naturalmente non si può fare una politica industriale a pezzetti, passando da un’emergenza all’altra, tappando buchi qua e là. E servirebbero dei manager pubblici, o meglio dei civil servant all’altezza, come a suo tempo in Italia non sono mancati. Tanto più per attuare una complessiva conversione ecologica dell’economia, come sarebbe necessario data l’incidenza delle attuali produzioni sul riscaldamento climatico.

Serve una visione di insieme, non ristretta ai confini nazionali, entro cui stabilire una programmazione degli interventi pubblici per guidare un simile processo.

Altrimenti si ripropone l’orribile, quanto disastrosa in ogni caso, scelta tra salvare la fabbrica e difendere la salute di chi ci lavora e di chi abita nel territorio circostante.

Inutile dire che nella legge di bilancio di tale prospettiva non v’è traccia, quando invece la sorte della siderurgia ne richiederebbe la sostanziale revisione. Su questo varrebbe sì la pena di uno scontro con la Ue, per la vita e il lavoro, non per qualche decimale in più.

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