Stati Uniti Il primo discorso sullo stato dell'Unione. Prima il comizio al Congresso, poi Gm, Ford e Stellantis fanno spostare di un mese i loro dazi
Washington, Donald Trump ieri nella seduta congiunta di Camera e Senato – foto Ap/Win McNamee
Il discorso fiume al Congresso ha misurato la distanza fra l’America della narrazione trumpiana e il mondo reale. Il day after ha visto la realtà ameno in parte riaffermarsi sull’allucinazione Maga delineata da Trump.
Il panegirico del presidentissimo ha delineato un mondo di antagonismi interni e globali improntati alla conflittualità, in cui l’America, imperitura nazione eletta, è destinata ad essere vincitrice, ora che ha infine trovato un condottiero capace di impugnare senza falsi timori la forza dei giusti. Da quella visione consegue anche quella di un ordine mondiale ugualmente suddiviso in deboli e potenti, con gli Stati uniti che quel potere intendono monetizzarlo.
NEL DISCORSO le tariffs («parola più bella delle lingua inglese!») sono nuovamente state esaltate come panacea per il risanamento del bilancio e risarcimento morale per i torti subiti dagli Stati uniti («fottuti» per decenni dagli altri paesi). Le gabelle sull’export sono state imposte lo stesso giorno ai due paesi partner legati a doppio filo agli Stati uniti, Messico e Canada lasciando sbigottiti economisti oltreché i diretti interessati. Il premier canadese uscente Justin Trudeau ha citato il Wall Street Journal nel definire «molto stupida» la decisione di dichiarare senza motivo una guerra commerciale al paese più amico. Quella decisione sembra esser riuscita nell’arduo compito di fare infuriare un popolo notoriamente mite. In Canada molti negozi hanno rimosso dagli scaffali prodotti statunitensi, come whiskey e vini californiani, senza aspettare l’esaurimento delle scorte.
Visti da nord i dazi hanno infatti il sapore di arbitrarie sanzioni economiche, soprattutto perché arrivano dopo settimane di insinuazione da parte di Trump di una annessione del paese come «51mo stato» da parte degli Stati uniti. Trudeau (che Trump si ostina a chiamare «governatore») ha detto che questo non avverrà mai e che le minacce assicureranno al massimo che l’inno americano continui ad essere fischiato in stadi e palasport. Alle leghe sportive (basket Nba, calcio Mls, baseball Mlb e Hockey Nhl) partecipano infatti squadre di entrambi i paesi e le partite importanti prevedono il doppio inno in apertura. Nel recente torneo Four Nations di hockey, l’inno americano è stato ripetutamente subissato dai fischi dei canadesi.
L’ANNUNCIO di dazi reciproci da parte anche degli altri paesi (Cina, Messico) colpiti, è stata la doccia fredda che nel day after del discorso ha riportato alla realtà l’immaginaria «vittoria totale» dipinta da Trump. In particolare, non ha tardato ad emergere una notevole preoccupazione, soprattutto per il potenziale sconvolgimento di settori come quello automobilistico che dipendono da una complessa filiera produttiva e quella che è a tutti gli effetti una unica ed integrata economia nordamericana. Dopo un incontro con i dirigenti di Ford, General Motors e Stellantis, Trump ha annunciato una moratoria di un mese sui dazi contro l’industria metalmeccanica. La notizia ha fatto immediatamente risalire i titoli delle aziende, ma l’altalena in borsa (martedì Wall Street aveva ufficialmente cancellato tutti i guadagni registrati dall’insediamento) è un ulteriore sintomo della fatale incertezza proiettata dalle imperscrutabili politiche di Trump.
La sensazione diffusa, nella formulazione dell’economista premio Nobel Paul Krugman, è quella di «essere intrappolati in una Tesla incendiata». Una sindrome che fa riferimento al “presidente ombra” Elon Musk, e che vale anche per molti americani, che assistono impotenti mentre Musk e i suoi giovani pasdaran di Silicon Valley mettono a ferro e fuoco ciò che rimane dello stato sociale.
A QUESTO RIGUARDO, e alla modalità palesemente anticostituzionale dell’operazione, è giunta ieri una prima sentenza della Corte suprema che ha ordinato alla Casa bianca di riattivare i pagamenti di 2 miliardi di dollari precedentemente stanziati per aiuti internazionali dell’agenzia UsAid che erano stati congelati da Musk. Una prima avvisaglia di indipendenza da parte di una Corte che, pur a maggioranza reazionaria, ha sostenuto l’idea di separazione dei poteri allegramente calpestata da Trump.