Manovra Nel 2025 non ci saranno assunzioni di medici e infermieri, tutto rimandato alla prossima legge finanziaria. Dai sanitari arrivano toni duri contro il «tradimento», i sindacati lanciano lo sciopero nazionale per il 20 novembre e una manifestazione
Dopo l’esame del presidente della Repubblica, il disegno di legge sulla manovra finanziaria è stato depositato ieri alla Camera. Nel testo ci sono finalmente le cifre della spesa sanitaria. Nel 2025 il governo investirà 1,3 miliardi in più per la salute, che si aggiungono agli 1,2 miliardi già previsti dalla legge di bilancio dello scorso anno.
In totale, l’aumento di risorse per il Ssn ammonta a 2,5 miliardi di euro lordi. Sulle risorse che andranno a medici e infermieri bisogna però detrarre le tasse e si arriva così vicino al misero 0,4% del Pil che il governo ha comunicato a Bruxelles come aumento netto della spesa sanitaria, nemmeno un miliardo di euro. Sono pochi decimali in più e non la svolta promessa dal ministro della salute Orazio Schillaci, che aveva annunciato il probabile stanziamento di «oltre tre miliardi di euro» per reclutare medici e infermieri. Incauto.
«CON 1,3 MILIARDI non si raggiunge nemmeno la metà dei fondi necessari per tagliare le liste d’attesa e assumere nuovo personale sanitario» commenta la segretaria Pd Elly Schlein. «Scompare il piano straordinario per le nuove assunzioni. È una batosta clamorosa per il servizio sanitario nazionale». Le numerosissime dichiarazioni di ieri di parlamentari e dirigenti Pd sottolineano «il punto più basso del finanziamento alla sanità pubblica degli ultimi 15 anni» in rapporto al Pil. Marco Grimaldi (Avs) fa il confronto con la difesa dopo l’ok della commissione bilancio allo stanziamento di 400 milioni in favore della difesa aerea: «I soldi sono già disponibili dal 2025 fino al 2034» dice il deputato. «Però per la sanità i soldi non ci sono».
LA DELUSIONE è fondata. Dopo molte richieste di chiarimento, anche il governo infatti ammette che nel 2025 non ci saranno assunzioni di medici e infermieri ma solo «la programmazione da parte delle regioni del piano di assunzioni che verranno effettuate nel 2026» come spiegano fonti ministeriali alle agenzie. Tutto rimandato alla prossima legge finanziaria, dunque.
Dai sanitari arrivano toni duri contro il «tradimento». La manovra, denunciano i sindacati degli ospedalieri Anaao e Cimo-Fesmed e quello degli infermieri Nursing Up, «conferma la riduzione del finanziamento per la sanità rispetto a quanto annunciato nelle scorse settimane e cambia le carte in tavola rispetto a quanto proclamato per mesi». 150 milioni copriranno l’aumento dell’indennità per i medici, e in particolar modo per quelli che lavorano in pronto soccorso, per gli infermieri e le altre professioni del comparto.
Tenuto conto delle tasse, però, non è abbastanza. Al mese fanno «17 euro nette per i medici e 14 euro netti per i dirigenti sanitari – spiegano i sindacalisti – mentre nelle tasche degli infermieri arriverebbero circa 7 euro». Inoltre, «si è persa traccia del piano straordinario di assunzioni e dello sblocco del tetto di spesa per il personale» che impedisce alle Regioni di effettuare nuove assunzioni e favorisce il subappalto dei turni scoperti ai cosiddetti «gettonisti» a costi maggiorati per la sanità pubblica. «Non possiamo essere complici dell’ormai evidente smantellamento del Servizio sanitario nazionale» dicono i segretari delle tre sigle Pierino Di Silverio, Guido Quici e Antonio De Palma. E proclamano per il 20 novembre uno
Commenta (0 Commenti)Meloni costretta a festeggiare i due anni di governo solo in video e con una serie di slide su record inventati. Rafforzato il decreto anti-migranti per salvare il modello Albania, ma resta inutile o quasi. E il testo della manovra non c’è
Io parlo da sola Il governo cambia il decreto sui Paesi sicuri. Mattarella firmerà, il pasticcio resta
Un’immagine dal video postato ieri da Giorgia Meloni
Doveva essere una festa a caviale e champagne, conferenza stampa fiume con tutti i ministri in bella schiera, trionfalismo a go go, superlativi a perdere. È finita a spumantino e tramezzini da bar. La celebrazione del secondo compleanno del governo Meloni si è risolta in un modesto videomessaggio della premier, di quelli da ordinaria amministrazione. Poco meno di due minuti: «Non mi sono risparmiata», «Sono soddisfatta dei risultati e dei traguardi raggiunti», «Sono consapevole di quanto lavoro ci sia ancora da fare». Non entrerà negli annali. Fatica persino ad approdare nella cronaca di giornata.
COLPA IN PARTE della manovra, che ancora non quadra come dovrebbe e tarda ad arrivare in parlamento. Con la legge di bilancio vacante sarebbe stato comunque un compleanno senza torta. Colpa soprattutto del pasticcio albanese, che è un guaio serio e chi ha voglia di fare festa quando il fiore all’occhiello si scopre appassito, la carta vincente per indicare la direzione all’Europa si rivela un’inutile scartina?
Il dl presentato lunedì sera da Mantovano, Nordio e Piantedosi serviva solo alle esigenze della propaganda, certo non secondarie ma neppure risolutive. I magistrati possono ignorare quel decreto in nome della prevalenza gerarchica della norma europea. Il Colle si era messo di mezzo su ogni ulteriore contenuto di carattere procedurale. Il governo, dopo alcuni momenti di tensione alta, si era rassegnato ad arretrare.
ALLA FINE LA PREMIER e i suoi ministri hanno deciso di forzare almeno un po’ per portare a casa qualcosa in più di una lista dei Paesi sicuri promossa a norma primaria, in quanto legge, ma inutile o quasi lo stesso. Il testo finale contiene a sorpresa una seconda modifica, della quale non c’era stata traccia nella conferenza stampa di lunedì sera: i ricorsi contro le sentenze del Tribunale saranno presentati in Appello, che deve decidere entro 10 giorni, e non più in Cassazione. Questione di celerità insomma. Il Quirinale non si aspettava la
Leggi tutto: Meloni rilancia sull’Albania, ma la festa non decolla - di Andrea Colombo
Commenta (0 Commenti)Il governo prova a salvare il “modello Albania” con il decreto sui «Paesi sicuri». Nordio alza la voce: «I giudici non possono disapplicare una legge». E la sentenza della Corte Ue? «Non l’hanno capita perché scritta in francese». Meloni rinvia la conferenza stampa di oggi
A quel Paese La lista dei Paesi sicuri trasformata in legge. Nordio: «Magistrati tenuti a rispettarla, altrimenti devono ricorrere alla Consulta». Per il ministro la sentenza europea male interpretata anche perché scritta in francese
Giorgia Meloni in Albania con il primo ministro Edi Rama – foto LaPresse
È un decreto lampo: deciso di corsa, approvato nel giro di mezz’ora. Non va oltre quanto previsto, la trasformazione in norma primaria, cioè in legge, della lista di Paesi che l’Italia considera sicuri. Dai 22 originari ne sono stati cancellati 3, Camerun, Colombia e Nigeria: una prova di disponibilità al dialogo a costo zero, trattandosi almeno nei primi due casi di Paesi a bassissimo tasso d’immigrazione. Cosa significhi la trasformazione in norma primaria lo chiarisce il guardasigilli Nordio in conferenza stampa: «Essendo legge i magistrati sono tenuti a rispettarla. Se ritengono che violi la Costituzione devono ricorrere alla Consulta».
È UNA PORTA LASCIATA aperta alla resa non incondizionata. I magistrati della sezione Immigrazione potrebbero infatti insistere sul fatto che la sentenza della Corte di giustizia europea del 4 ottobre, avendo valore costituzionale, è sovraordinata rispetto alle leggi nazionali e sentenziare di nuovo sui trasferimenti senza coinvolgere la Consulta. Il sottosegretario Alfredo Mantovano lascia capire che al quel punto il governo potrebbe usare l’arma fine-di-mondo, cioè sottrarre per decreto al Tribunale di Roma il compito di sentenziare in materia. La minaccia è esplicita: «Ulteriori interventi non si escludono». Ma probabilmente è un’arma spuntata. Significherebbe arrivare allo scontro frontale anche con il Quirinale, cosa che la premier preferirebbe di gran lunga evitare.
IL DECRETO È STATO in effetti scritto tenendosi in contatto continuo con gli uffici legislativi del Colle. Mattarella però non lo avrebbe ancora letto, essendo ieri sera impegnato nella cena di Stato con l’emiro del Qatar. La rapidità con cui emanerà il decreto sarà comunque indicativa: se lo terrà a lungo sulla scrivania sarà un segnale preciso. Il rinvio invece è improbabile. È una mossa estrema, non nello stile del presidente e a maggior ragione dopo i conciliaboli tra gli uffici legislativi per definire il testo.
I ministri che hanno presentato ieri il decreto, oltre a Mantovano e Nordio anche Matteo Piantedosi, insistono sulla assoluta assenza di conflittualità con la sentenza della Corte europea. Quella sentenza, disserta Nordio, «è molto complessa, dunque forse non compresa o non letta, anche perché era in francese».
Dopo aver dato degli “ignorantoni” ai magistrati della sezione Immigrazione il guardasigilli legge (in francese) i passaggi che a suo parere sono stati
Leggi tutto: Sfida ai giudici sul modello Albania, arriva il decreto - di Andrea Colombo
Commenta (0 Commenti)Danni e devastazioni in moltissime zone, evacuate centinaia di persone dalla Bassa Romagna al Riminese. A Bologna oggi scuole chiuse. C’è una vittima a Pianoro: il 20enne Simone Farinelli. Bimbo di 4 mesi salvato in elicottero. Ponti riaperti a Modena
Bologna, 21 ottobre 2024 - Migliaia di sfollati e una vittima: questo il tragico bilancio dell’alluvione senza precedenti che ha devastato gran parte della regione Emilia Romagna tra sabato 19 e domenica 20 ottobre, con particolare intensità nelle province di Bologna, Modena e Reggio Emilia. Le forti piogge, durate diverse ore, hanno causato l'esondazione di numerosi fiumi e torrenti, provocando danni ingenti: centinaia di case e attività commerciali sono state allagate o danneggiate, infrastrutture stradali e ferroviarie sono state gravemente compromesse, e vaste aree agricole sommerse. Purtroppo c'è stata anche una vittima, a Pianoro, nel Bolognese: il ventenne Simone Farinelli, travolto dalla piena mentre era in auto col fratello, che si è salvato. A Monterenzio (Bologna) un bambino di 4 mesi è stato salvato con la famiglia in elicottero. Nel capoluogo scuole chiuse oggi.
Nordio attacca la magistratura che «esonda» e annuncia «provvedimenti». Domani il decreto con cui Meloni intende piegare le toghe che osteggiano il suo piano albanese anti migranti e aprire lo scontro totale
Il nome della legge «I magistrati esondano» dice il ministro della Giustizia. Le decisioni prese da sei giudici, ma la destra attacca «la toga rossa» Albano. Soldi buttati per le deportazioni non riuscite, Iv e M5s alla Corte dei conti: «Danno erariale»
Udienza al Tribunale di Crotone per il naufragio di Steccato di Cutro – LaPresse
«Se la magistratura esonda dai propri poteri attribuendosi delle prerogative che non può avere, deve intervenire la politica che esprime la volontà popolare». In una giornata di fiumi che rompono gli argini e palombari chiamati a soccorrere automobilisti inabissati in città, forse Carlo Nordio avrebbe potuto scegliere un verbo migliore per il suo altolà alle toghe. Il senso del discorso, comunque, è chiaro: la sezione immigrazione del tribunale di Roma – che venerdì ha demolito il protocollo albanese che tanta fatica e tanti soldi è costato al governo – non la passerà liscia, l’affronto (perché così l’esecutivo considera l’applicazione della legge) non può restare impunito.
«Noi rispondiamo al popolo – ha detto ancora il ministro da Palermo -, se il popolo non è d’accordo con quello che facciamo noi andiamo a casa. La magistratura, che è autonoma e indipendente, non risponde a nessuno e quindi proprio per questo non può assumersi prerogative che sono squisitamente ed essenzialmente politiche». Ecco, squisitamente ed essenzialmente, Nordio ritiene che debba essere l’esecutivo a decidere quale paese sia sicuro e quale no, spacciando la cosa come se fosse una questione diplomatica: «Definire non sicuro un paese amico come il Marocco può anche creare dei problemi. Se noi ritenessimo che non sono sicuri i paesi dove vigono delle regole che noi abbiamo ripudiato come la pena di morte, allora anche gli Stati Uniti non sarebbero sicuri. Queste sono questioni di alta politica e non possono, non devono e non saranno lasciate alla magistratura».
L’ARGOMENTAZIONE su quella che definisce una «sentenza abnorme» potrebbe tornare utile per avere la meglio in qualche discussione su Facebook o su X, a patto naturalmente di non essere un ministro della Repubblica. Ma essendo Nordio un membro del governo in carica, e non avendo detto quanto sopra in un post con la foto di un gattino, le reazioni non possono che essere veementi. In una parola: «Dimissioni». Le chiedono le opposizioni in coro, a partire dal Pd e poi giù a cascata fino a M5s e Avs, passando per +Europa.
In effetti il confine della separazione dei poteri, a parole, è stato ampiamente superato e non regge più la giustificazione che Nordio ha sempre fatto il Nordio e non ha mai rinunciato a una polemica con i suoi ex colleghi in toga. Che, dal canto loro, quasi liquidano l’uscita con un’alzata di spalle.
Ieri a Pesaro, dove è in corso la rassegna Parole di giustizia, i molti esponenti di Magistratura democratica presenti hanno affrontato il tema con una battuta o poco più. «Eviteremo di mettere i calzini turchesi», ha detto al manifesto una famigerata toga rossa alludendo al mitologico caso Mesiano, il giudice della sentenza Fininvest-Cir a suo tempo messo in croce da Canale Cinque per il suo abbigliamento.
L’ARIA CHE TIRA, del resto, è quella. Al centro del mirino dei propagandisti filogovernativi c’è soprattutto una giudice della XVIII sezione civile di Roma che venerdì non ha
Leggi tutto: Nordio contro gli ex colleghi. Le opposizioni: «Si dimetta» - di Mario Di Vito
Commenta (0 Commenti)Crolla il «modello Albania». Il Tribunale di Roma applica la giustizia europea e ordina di riportare subito in Italia i migranti trasferiti nel campo di concentramento oltremare. Meloni furiosa per il fallimento attacca le toghe e annuncia l’ennesimo decreto. Deciderà lei cos’è uno «Stato sicuro»
Rimpatriota Il tribunale di Roma ordina il rientro in Italia di 12 migranti. Il governo farà ricorso. Le udienze con i maxischermi in un clima surreale. Sentenze basate sulla Corte di giustizia europea
I migranti deportati nel centro di Gjader – Luigi Quercetti
C’è un giudice a Roma. Si trova al secondo piano di viale Giulio Cesare 54/B, alla XVIII sezione civile del tribunale ordinario, quella per i diritti della persona e l’immigrazione. Qui ieri mattina non sono stati convalidati i trattenimenti dei dodici migranti provenienti da Bangladesh ed Egitto, soccorsi qualche giorno fa nel Mediterraneo dalla nave Libra della marina militare, sbarcati a Shengin e infine portati al centro di Gjader, in Albania.
Si tratta dei primi ospiti del campo costruito dal governo Meloni in accordo con il suo omologo di Tirana, Edi Rama.
Il soggiorno però è destinato a durare poco: già stamattina, per effetto di quanto deciso ieri dai giudici romani, i dodici faranno infatti ritorno in Italia.
Le sentenze, tutte uguali, sono chiarissime: perché un paese possa essere considerato sicuro, deve esserlo ovunque e per chiunque. E i paesi di provenienza dei dodici migranti (Egitto e Bangladesh) non lo sono. Il principio deriva da una sentenza emessa dalla Corte di giustizia europea lo scorso 4 ottobre.
COSÌ SCRIVE in un comunicato la presidente della XVIII sezione Luciana Sangiovanni: «Il diniego della convalida dei trattenimenti nelle strutture ed aree albanesi equiparate alle zone di frontiera o di transito italiane è dovuto all’impossibilità di riconoscere come paesi sicuri gli Stati di provenienza delle persone trattenute, con la conseguenza dell’inapplicabilità della procedura di frontiera e, come previsto dal protocollo, del trasferimento al di fuori del territorio albanese delle persone migranti, che hanno quindi diritto ad essere condotte in Italia».
Il diniego della convalida dei trattenimenti nelle strutture ed aree albanesi equiparate alle zone di frontiera o di transito italiane è dovuto all’impossibilità di riconoscere come paesi sicuri gli Stati di provenienza delle persone trattenuteLa presidente della XVIII sezione Luciana Sangiovanni
PRIMA di questa decisione, tra le
Leggi tutto: Deportazioni bloccate, stroncato il modello Albania - di Mario Di Vito Roma
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