L’Unione europea e l’Onu rispondono alle sanzioni Usa contro la Corte penale internazionale. Settantanove paesi firmatari dello statuto di Roma si schierano in difesa dell’organo di giustizia che ha sede all’Aja. Tutti i più grandi, tranne uno: l’Italia del governo più trumpiano che c’è
L'Aja che tira No alle sanzioni americane, settantanove governi che aderiscono alla Corte penale internazionale sottoscrivono la dichiarazione
Il presidente degli Stati uniti Donald Trump – foto Ap
Il governo più trumpiano d’Europa e forse di tutto l’occidente si vede nei fatti. Mentre i vertici Ue condannano l’ordine esecutivo del presidente Trump, 79 paesi aderenti alla Corte penale internazionale (Cpi) firmano congiuntamente una lettera per criticare le sanzioni Usa contro il tribunale con sede all’Aja. Ma l’Italia manca all’appello, schierandosi con la Casa Bianca anziché con la maggioranza dei paesi occidentali e democratici.
LA LETTERA dei 79 definisce la Corte «un pilastro vitale del sistema giudiziario internazionale, che garantisce la responsabilità per i crimini più gravi e la giustizia per chi ne è vittima». Le misure imposte da Washington giovedì si concretizzano in sanzioni contro la Cpi, motivate da quelle che Trump definisce «azioni illegittime e infondate contro l’America e il suo stretto alleato Israele». Ma l’azione ostile verso l’Aja, argomentano i firmatari della missiva, potrebbe ad «aumentare il rischio d’impunità per i crimini più gravi», oltre che «minacciare lo Stato di diritto» mondiale. E come conseguenza, a «mettere a repentaglio la riservatezza di informazioni sensibili e delle persone coinvolte». Inclusi vittime, testimoni e gli stessi funzionari dell’Aja.
«Il nostro lavoro è indipendente e imparziale», si è difesa la Cpi, con inedito comunicato di condanna contro l’iniziativa del politico più potente del mondo. «È l’ultimo di una serie di attacchi senza precedenti» ha risposto senza mezzi termini la presidente del tribunale, la giapponese Tomoko Akane. «Minacce e misure coercitive costituiscono gravi offensive contro gli Stati parte della Corte, l’ordine internazionale basato sullo stato di diritto e milioni di vittime», ha poi spiegato.
L’ASSENZA del governo italiano tra i firmatari della lettera congiunta a sostegno della Cpi è particolarmente visibile. A fare scudo al tribunale istituito con il Trattato di Roma nel 1998 ci sono, oltre a Canada, Brasile e Congo, tutti i principali paesi Ue: sia i fondatori come Germania, Francia e Benelux, che i grandi stati occidentali come gli iberici, gli scandinavi e la Polonia, ma anche il Regno Unito. Non figura invece
Commenta (0 Commenti)C’è voluta Whatsapp per avvertire giornalisti e attivisti italiani che i loro cellulari sono spiati da un potente software. E la società israeliana che lo produce ha rotto il contratto con l’Italia perché lo ha usato contro le regole. Ma il governo non risponde e nei servizi regna il caos
Cimici e bari Dopo la nota della presidenza del Consiglio, Paragon interrompe i contratti con i clienti italiani: un corpo di polizia e l’intelligence. Con l’intercettazione di giornalisti e attivisti violate le condizioni della licenza della società israeliana
La Paragon Solutions ha interrotto i rapporti con i suoi clienti italiani. È la società madre dello spyware Graphite usato per intercettare i cellulari di almeno 90 persone, tra cui sette utenze con il prefisso internazionale +39. Tra loro il direttore di Fanpage Francesco Cancellato, il capomissione di Mediterranea Luca Casarini, altri due attivisti della ong. Tra le identità rese pubbliche finora c’è anche quella del giornalista libico, esule in Svezia, Husam El Gomati.
LA DECISIONE di «terminare il contratto con l’Italia» è stata rivelata ieri mattina da uno scoop del Guardian. Solo poche ore prima palazzo Chigi aveva fatto circolare una nota in cui negava che «l’intelligence e quindi il governo» avevano messo sotto controllo dei giornalisti. Il problema di questa versione è che Paragon presta i suoi servizi soltanto a entità statali o meglio: «A un gruppo selezionato di democrazie globali, principalmente agli Stati uniti e ai suoi alleati», ha dichiarato il presidente esecutivo della società John Fleming. E infatti il quotidiano israeliano Haaretz scrive che i clienti italiani di Paragon sono «due diversi corpi, un’agenzia di polizia e un’organizzazione di intelligence».
Già alla fine della scorsa settimana, quando lo scandalo è venuto fuori, ai due acquirenti erano state chieste maggiori informazioni sull’uso dello spyware. La decisione di disconnetterli da Graphite è arrivata, secondo fonti di Haaretz, proprio dopo la nota della presidenza del Consiglio che ha anche elencato altri 13 paesi Ue coinvolti. Rivelando ulteriori clienti della società sulla base delle informazioni acquisite dall’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, attivata su richiesta del sottosegretario di Stato Alfredo Mantovano.
Il governo italiano rifiuta di fornire nuove informazioni sul caso, sostenendo che lo farà soltanto in sede Copasir mentre le opposizioni chiedono che riferisca in parlamento. Neanche Paragon ha dichiarato ufficialmente perché ha bloccato la collaborazione. La spiegazione più accreditata è che per la società il governo ha mentito. Nelle condizioni della licenza è prevista la possibilità di «terminare l’accordo con l’utente» in caso di abusi o violazioni.
TRA I FONDATORI DI PARAGON ci sono l’ex premier di Tel Aviv Ehud Barak, che non ha voluto commentare la vicenda, e alti ufficiali dell’Unità 8200, componente dell’esercito dello Stato ebraico specializzata in spionaggio e cyberattacchi. Sul sito della società, una pagina senza link, la dicitura estesa è Paragon Solutions Us. Alla fine dello scorso anno è stata acquistata, ma non è chiaro se in parte o in toto, da una società di private equity statunitense. Mossa utile a garantirsi il mercato a stelle e strisce, dopo aver superato una revisione del contratto di vendita ordinata dalla Casa Bianca di Joe Biden per ragioni di sicurezza nazionale.
Questione in ballo anche sul versante italiano, dove già in passato sono emersi problemi sull’appalto a società israeliane dei sistemi di controllo digitale. La vicenda di questi giorni, però, apre interrogativi di altra natura. Se fosse vero che il governo non ha dato indicazione di spiare dei giornalisti significherebbe che la decisione di intercettare Cancellato è stata presa in sede parallela, da apparati su cui l’esecutivo non ha il controllo. La nota di palazzo Chigi, poi, nulla dice sugli attivisti coinvolti. Chi ha ordinato di controllare i loro telefoni? Teoricamente non si possono escludere
Leggi tutto: Lo spyware usato solo dai governi. Il bluff di palazzo Chigi - di Giansandro Merli
Commenta (0 Commenti)Maysoon Majidi è innocente. Il tribunale di Crotone l’ha assolta: non è una «scafista» di migranti. È un’artista e un’attivista, in fuga dall’Iran e tenuta in carcere per dieci mesi. In un Paese come il nostro, dove i veri trafficanti tornano a casa con il volo di Stato
Maysoon ed Elmasry Tutti i governi mentono, ma solo alcuni riescono a farlo così spesso e così male come il nostro
«Gli atti sono arrivati di notte. E poi erano in inglese. E poi e poi avevano una data sbagliata». Con scuse sempre meno credibili, il governo prova a giustificare la liberazione del torturatore libico Elmasry. L’informativa di Nordio e Piantedosi in parlamento arriva tardi ed è solo una tappa del patetico oscillare tra tesi opposte. Cavilli e formalità sono la specialità del ministro della giustizia, per il quale la richiesta della Corte penale internazionale di processare Elmasry non stava in piedi (non lo aveva mai detto, ma adesso Nordio ci spiega che il suo silenzio andava interpretato così). Al contrario, per il ministro dell’interno le accuse della Corte dell’Aja all’aguzzino capo di Tripoli erano tanto serie e credibili da rendere necessaria la sua immediata espulsione. Con un aereo di Stato e avvertendo per tempo i libici in modo che organizzassero l’accoglienza.
Tutti i governi mentono, ma solo alcuni riescono a farlo così spesso e così male come il nostro. È chiaro da tempo che Elmasry è stato riaccompagnato in Libia non per ragioni giuridiche né di sicurezza ma per convenienza politica. Una convenienza che trova fondamento negli accordi firmati dall’Italia con le bande libiche al potere, quelle che con indosso le divise da ufficiali fanno soldi con il traffico di esseri umani e incassano nel frattempo i finanziamenti di Roma e Bruxelles. La responsabilità di quegli accordi non è solo della destra che li tiene in piedi, è soprattutto del centrosinistra di Gentiloni-Minniti che li ha inaugurati e di Conte-Lamorgese che li ha prorogati.
Una colpa originaria che è piombo nelle ali di Pd e 5 Stelle: più di tanto non possono librarsi sulle disgrazie e le figuracce di Meloni. La vicenda dimostra una volta di più quanto inutilmente il nostro paese si sia coperto gli occhi di fronte ai campi di tortura di Tripoli. È una sciagura etica ma anche pratica. Siamo ricattabili più di prima, visto che siamo costretti a riaccompagnare velocemente a casa con tante scuse un aguzzino come Elmasry. Il quale, con buona pace dei patrioti italiani, criminalmente persegue l’interesse personale suo, non quello della nazione di Meloni.
Evidenti le bugie, evidente anche la tentazione del governo italiano di far cadere l’ultimo velo e rivendicare la complicità con i doganieri di carne umana. Porta lì l’attacco alla Corte penale internazionale, che comincia con
Leggi tutto: Amichevoli, ma solo con i torturatori - di Andrea Fabozzi
Commenta (0 Commenti)Quindici giorni dopo aver liberato il boia libico Elmasry, oggi il governo si rassegna a informare il parlamento. Ma non parla Meloni che si nasconde dietro i ministri Piantedosi e Nordio. Pronti a dare ogni colpa alla Corte penale internazionale. E se serve a invocare il segreto di Stato
Melina Sul caos libico si ritorna a una settimana fa: Nordio e Piantedosi attesi alle Camere
I ministri Nordio e Piantedosi – Ansa
La strategia del governo sul caso Elmasry non è differente dal gioco dell’oca. Sempre che di strategia si possa parlare, dato che al momento i progetti del consigliori della premier, Fazzolari, potrebbero anche autorizzare a pensare che il governo non sappia che pesci prendere.
MELONI HA INFINE deciso di mandare i ministri alla Giustizia Nordio e agli Interni Piantedosi a riferire oggi in Parlamento sul rilascio dell’uomo accusato dalla Corte Penale Internazionale di crimini, violenze e torture sui migranti che tentano di lasciare la Libia. Esattamente come una settimana fa. Allora l’informativa era saltata perché, secondo il governo, l’iscrizione nel registro delle notizie di reato della premier, del sottosegretario Mantovano e dei due ministri rendeva inopportuna la comunicazione alla Camere. Ma questa motivazione, dopo soli 7 giorni non è evidentemente più valida, era solo una delle tante versioni date dall’esecutivo all’impronta. «Prendiamo atto che l’opposizione dura paga perché da che ci volevano mandare Ciriani, alla fine vengono Nordio e Piantedosi ma anche che è venuto meno la ragione per cui l’altra volta non si erano presentati, quindi la motivazione era tutta politica e Meloni continua a nascondersi dietro i suoi ministri», ragiona Riccardo Magi di PiùEuropa.
IERI, DURANTE le riunioni dei capigruppo di Camera e Senato, l’opposizione aveva chiesto più tempo per le repliche e la diretta televisiva dell’informativa dei ministri. Quest’ultima, accordata subito a Palazzo Madama, a Montecitorio è stata oggetto di polemica perchè inizialmente negata per l’opposizione della Lega e di Forza Italia. Ci è voluta una missiva dei partiti di minoranza per convincere il presidente Fontana a trasmettere i lavori della Camera in diretta e colmare la differenza tra i due lati del Parlamento. Tuttavia questo non ha placato il centro sinistra, che insiste nel chiedere che sia la presidente del Consiglio a ricostruire i fatti e spiegare i motivi che hanno determinato la decisione di rimpatriare il libico a bordo in un volo di Stato.
«MELONI SCAPPA ANCORA, che vengano Nordio e Piantedosi è il minimo sindacale», dicono Pd, Avs, Iv e PiùEuropa all’unisono mentre il ministro per i rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, è costretto a tentare di metterci una pezza. Anzi un paio. «Non c’era nessuna volontà dilatoria, serviva solo una
Leggi tutto: Il gioco dell’oca della premier che manda avanti i ministri - di Luciana Cimino
Commenta (0 Commenti)Trump congela per un mese i dazi al Messico (in cambio di 10mila soldati anti-migranti), tratta con Canada e Cina ma ora minaccia il Sudafrica, chiude la grande Agenzia di aiuti umanitari. Balbetta l’Ue, prossimo bersaglio. La guerra commerciale mondiale è partita
Libero mercante Il prezzo: 10mila soldati schierati al confine e rapporto ogni mese. La guerra commerciale «più stupida della storia» è già iniziata
Il presidente Trump firma un ordine esecutino – foto Ap
Il comitato editoriale del Wall Street Journal l’ha ripetutamente definita «la guerra commerciale più stupida della storia», affermando che la ragione sostenuta dal tycoon per sferrare questo attacco economico non ha alcun senso, e che il mondo dell’autarchia «non è il mondo in cui viviamo, o quello in cui dovremmo voler vivere, come il signor Trump potrebbe presto scoprire».
Con il Wall Street Journal americano è d’accordo anche il Financial Times britannico: la guerra commerciale è «assurda» e «dannosa per l’economia e il potere diplomatico degli Stati Uniti»). Sono i due giornali del grande capitale mondiale, proprietà Dow Jones e Nikkei, rispettivamente. Larry Summers, segretario al Tesoro dell’era Clinton, ha definito i dazi «uno shock dell’offerta autoinflitto. Significa meno offerta perché stiamo tassando i fornitori esteri, e questo porterà a prezzi più alti e quantità più basse»,
E LE CRITICHE sono arrivate anche dall’ex leader repubblicano del Senato, Mitch McConnell, un uomo che incarna il partito repubblicano, che pur non amandolo ha sostenuto Trump in ogni minuto della sua prima presidenza, e che è disposto a qualsiasi cosa pur di sostenere il Gop. Nonostante queste premesse di lealtà, McConnell, durante un’intervista alla Cbs, ha dichiarato che i dazi del 25% a Canada e Messico «aumenteranno il costo di tutto» e ha chiesto per quale ragione il tycoon «vuole entrare in conflitto con i suoi alleati?».
A questo flusso di dichiarazioni ha fatto seguito la prova tangibile dei mercati, che hanno chiuso e riaperto sempre in flessione, in preda ai timori che i dazi possano dare inizio a una guerra commerciale mondiale. Anche il nuovo pupillo di The Donald, Bitcoin, è sceso del 3,5% in 24 ore.
Alla fine, forse grazie anche grazie a questi segnali, Trump ha congelato per un mese la sua minaccia dei dazi nei confronti del Messico. Su Truth Social il tycoon ha scritto che
Commenta (0 Commenti)Nella foto: Una manifestante sventola la bandiera messicana a Los Angeles durante una protesta contro i decreti anti-immigrazione via Ap
Oggi un Lunedì Rosso dedicato alla comunicazione.
Tra innovazione e spregiudicatezza, la coppia Trump-Musk sta portando il rapporto tra media e politica verso derive totalizzanti quanto rischiose.
Ma anche localmente il laboratorio comunicativo delle nuove destre offre spunti di riflessione: con video messaggi e post su X il presidente del consiglio Meloni ha spostato l’attenzione dal caso Elmasry verso una presunta battaglia tra governo e magistratura.
Si attende invece dopo un lungo silenzio un messaggio dal carcere da Abdullah Öcalan, leader della rivoluzione democratica della Siria del nord, esperienza oggi in bilico, tra le incursioni belliche di Ankara e le incognite del nuovo potere centrale di Al Jolani.
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