«I poteri dello Stato rispettino i limiti». Di fronte a una maggioranza che rompe gli argini e criminalizza chi non si allinea, il presidente Mattarella è costretto a intervenire ancora. Con sempre maggiore chiarezza: «Ho promulgato anche leggi che non condividevo, ma era il mio dovere»
Un messaggio al governo che sconfina. E il presidente sottolinea: «Ho promulgato leggi che ritenevo sbagliate, era mio dovere»
«Ciascun potere e organo dello Stato deve sapere che ha limiti che deve rispettare. Gli organi dello Stato non sono fortilizi contrapposti che cercano di strappare territorio l’uno all’altro. Essere arbitro significa ricordare a tutti i limiti delle proprie attribuzioni e delle sfere in cui operano e ciò vale per il potere legislativo, esecutivo e giudiziario». Con i modi inappuntabili di sempre e la puntigliosa attenzione alla correttezza istituzionale che gli è propria, rispondendo alle domande degli studenti nell’evento organizzato dall’Osservatorio giovani editori, Sergio Mattarella picchia durissimo. E prosegue sullo stesso tono: «È importante che nessun organo dello Stato abbia troppo potere. Il contenimento nei propri limiti è fondamentale così come il controllo esercitato dagli organi imparziali, che indicano i limiti di ciascun potere».
NON SONO PAROLE estemporanee. Mattarella dice quel che aveva già deciso di dire a prescindere dalle domande degli studenti. Per pronunciare le parole più importanti della giornata si attacca a una domanda che in realtà era quasi su altro. Ma nelle scelte del presidente nulla è mai casuale. Tre giorni fa, dopo l’invasione di campo di Elon Musk, aveva optato per una dichiarazione ufficiale fortissima proprio perché pubblicata sul sito del Quirinale ed era stata questa “solennità” a mandare fuori dai gangheri la premier. Il giorno dopo aveva dato una mano a Raffaele Fitto, appoggiando la sua contrastata corsa alla vicepresidenza della Commissione europea, per dimostrare che il Colle non è mai di parte se non a favore dell’interesse del Paese.
Lo ripete anche agli studenti: «La dialettica politica deve tener conto dell’interesse nazionale». Ma per staffilare il governo, la sua tendenza a dilagare molto oltre i propri limiti istituzionali, la sua pretesa di dettare legge agli altri organi dello Stato, preferisce una sede rigorosamente informale. In modo da lanciare un segnale preciso ma senza esasperare la polemica.
I SEGNALI IN REALTÀ Sono due, perché il capo dello Stato si sofferma anche e a lungo sul ruolo della stampa e dell’informazione: «L’informazione non è un prodotto: è un bene essenziale. La libertà di informazione è l’ossigeno della vita democratica. Ma servono regole per difendere i cittadini da notizie artefatte. Serve consapevolezza per rimuovere il rischio che le notizie siano filtrate da preconcetti o algoritmi». È anche questo un messaggio rivolto però a un intero sistema politico che sempre più si basa sulla manipolazione delle informazioni permessa dai social e dal controllo sui social. Forse è una coincidenza che parole simili siano spese pochi giorni dopo la durissima replica a un tycoon che partecipa da protagonista al controllo dell’informazione sui social. Forse però, anzi probabilmente, non lo è affatto.
IL PRESIDENTE RISPONDE a domande precise, tornando però su temi che negli ultimi tempi aveva già toccato più volte ma stavolta in modo ancora più esplicito. «Il presidente non promulga solo le leggi che gli piacciono. Mi è capitato più volte di promulgare leggi che non condividevo affatto perché questo era il mio dovere. Il presidente non promulga solo leggi di evidente incostituzionalità, non basta un dubbio altrimenti usurperei i compiti della Corte costituzionale». In dieci anni di mandato, quelle leggi firmate “controvoglia” sono state certamente molte e partorite da governi di segno opposto. Ma oggi è impossibile evitare che vengano in mente per prime quelle sull’immigrazione del governo in carica che
Leggi tutto: L’altolà di Mattarella: ogni potere resti dentro i suoi limiti - di Andrea Colombo
Commenta (0 Commenti)La Corte costituzionale smonta la legge sull’autonomia differenziata firmata dal ministro della Lega. È illegittima nei suoi punti essenziali: non c’è un diritto delle regioni alla secessione e il parlamento non va tagliato fuori. Referendum in forse, ma governo già sconfitto
La decisione Censurati i due pilastri della legge: la cessione alle regioni di tutte le materie previste nel Titolo V, l’esclusione del Parlamento sui Lep. La devoluzione, in particolare, deve riguardare «specifiche funzioni» e deve anche essere giustificata. La Corte resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione, qualora venissero censurate con ricorso da altre regioni
Roma, la sede della Corte Costituzionale – Mauro Scrobogna/LaPresse
La legge Calderoli sull’autonomia differenziata è incostituzionale nei suoi due cardini: la devolvibilità alle regioni di tutte le materie previste dal Titolo V della Carta, nonché le modalità di determinazione dei Lep che escludono il Parlamento dalle decisioni in materia. In più altre norme vanno «interpretate» e attuate in una direzione diversa da quella su cui si stava muovendo il governo. Lo ha detto la Corte costituzionale in un lungo e articolato comunicato in cui ha annunciato le proprie decisioni, che saranno motivate sul piano giuridico nella sentenza che verrà pubblicata ai primi di dicembre.
Una sentenza che «smonta» la contestata legge targata Lega e apre scenari politici ancora da decriptare. Questioni inedite si aprono anche per la Cassazione, chiamata a decidere se vi siano ancora gli estremi per celebrare il referendum abrogativo della legge e, se sì, come riformulare il quesito.
IL COMUNICATO, diffuso ieri nel tardo pomeriggio, spiega che la Consulta «ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata», cosa che permette al governo di salvare la faccia. Tuttavia la Corte, dopo un preambolo sui principi solidaristici e unitari della Costituzione repubblicana, spiega che «ha ravvisato l’incostituzionalità dei seguenti profili della legge», con un elenco impietoso, visto che riguarda i cardini del provvedimento.
In primis il fatto che possano essere devolute intere materie o anche tutte e 23 le materie previste dall’articolo 117 della Carta, «laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata». In effetti l’articolo 116 comma 3 parla di «forme e condizioni particolari» di autonomia di competenze.
IN SECONDO LUOGO il fatto che in tutti i suoi passaggi la legge Calderoli abbia messo nelle mani del solo governo la determinazione dei Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) che, insiste il comunicato, «concernono i diritti civili e sociali». In particolare la legge Calderoli affida a uno o più decreti legislativi la determinazione dei Lep, sui quali il Parlamento può solo esprimere un parere; a ciò si aggiunge che la legge delega sia «priva di idonei criteri direttivi». In più, le successive modifiche ai Lep sono affidate a dei semplici dpcm, decreti della presidenza del Consiglio – di pandemica memoria – su cui le Camere non possono nemmeno dare un parere.
GIÀ L’ABBATTIMENTO dei due pilastri della legge Calderoli è una Caporetto per il governo Meloni; come se non bastasse i giudici hanno indicato che
Leggi tutto: Autonomia, la Corte smonta lo «spacca Italia» di Calderoli - di Kaspar Hauser
Commenta (0 Commenti)Fratello grande Il Capo dello Stato dopo i tweet contro i giudici: «Chi fa parte di governi amici non ci dia prescrizioni». Il miliardario lo sfida: non mi fermo. Il precedente del 2022, quando il Colle frenò le critiche a Meloni della Francia. Nel 2023 il monito del presidente contro gli oligarchi del web che concentrano poteri e «non vogliono regole». L’Anm: perchè il governo non reagisce? Anche questi sono confini da rispettare. Schlein: i sovranisti italiani si fanno dare la linea da un magnate Usa
«L’Italia sa badare a se stessa nel rispetto della sua Costituzione» e nessuno dall’estero «può impartirle prescrizioni». Sergio Mattarella replica con ferma durezza a Elon Musk, che in due tweet – tra martedì e ieri- aveva scritto «questi giudici devono andarsene», per poi definire i magistrati italiani «un’autocrazia non eletta che prende le decisioni».
Ma il miliardario fresco di nomina nella squadra di Trump, che aveva messo nel mirino i giudici italiani sul caso Albania, sente l’amica Meloni e replica a stretto giro: «Continuerò a esprimere le mie opinioni tutelate dal Primo emendamento e della Costituzione italiana». Tra i due tweet anti-giudici, era riuscito a scriverne un altro per definire la ong Sea-Watch un’«organizzazione criminale».
LA REPLICA DI MATTARELLA, pur senza citare Musk, è molto diretta. E arriva circa due ore dopo il terzo tweet di Musk, quello sull’autocrazia. «Chiunque, particolarmente se, come annunziato, in procinto di assumere un importante ruolo di governo in un Paese amico e alleato, deve rispettarne la sovranità e non può attribuirsi il compito di impartirle prescrizioni».
Nel suo messaggio, il capo dello Stato ricorda che già nell’ottobre 2022, quando Meloni vinse le elezioni, aveva utilizzato le stesse parole per replicare alla ministra francese Laurence Boone, che aveva annunciato una sorta di «vigilanza» sull’operato del governo di destra centro. «L’Italia sa badare a stessa» ripete il Capo dello Stato esattamente due anni dopo rivolgendosi a Musk, appena nominato capo del Dipartimento per l’efficienza del governo americano.
NEPPURE DOPO IL SECONDO tweet del miliardario vicino a Trump, da palazzo Chigi e dintorni nessuno aveva sentito il bisogno di dire qualcosa. Ci ha pensato il Quirinale che, sempre nel rispetto delle sovranità di tutti i paesi, da tempo avverte dei rischi democratici rappresentati da individui e imprese multinazionali che nello scenario globale pesano più dei singoli stati.
Parlando alle alte cariche dello Stato a fine dicembre 2023, Mattarella aveva evocato 1984 di Orwell, ricordando per i giganti del web «l’esigenza di regole per evitare che pochi
Leggi tutto: Mattarella in campo contro Elon Musk: «L’Italia bada a se stessa» - di Andrea Carugati
Commenta (0 Commenti)Dirottare alla Difesa i Fondi per le aree povere dell’Unione, un terzo del budget europeo. La Commissione von der Leyen punta tutto sugli armamenti, ancor di più dopo il ritorno di Trump. Incaricato per la Coesione è l’italiano Fitto, ieri sotto esame. Il Pd vuole farlo passare
Svolta a destra Il Financial Times rivela: dei 379 miliardi per ridurre i divari è stato impiegato solo al 5%. Quella posta potrebbe finire in armi
ll drone VTOL Leonardo AWHERO esposto con un elicottero AW149 durante il Farnborough International Airshow 2024 – GettyImages
L’angolo di attacco per rilanciare la Ue e, al tempo stesso, rispondere all’indifferenza Usa accentuata dalla vittoria di Trump è accelerare sulla difesa comune europea. Ieri all’Eliseo il nuovo segretario della Nato, l’olandese Marc Rutte, ha lanciato un messaggio a Trump, ricordando all’isolazionista che «la guerra della Russia all’Ucraina è una sfida anche per la sicurezza Usa». Mentre a Strasburgo l’estone Kaja Kallas, candidata alla carica di Alta rappresentante per la politica estera e la difesa, ha ripetuto che la Ue deve sostenere l’Ucraina «fino a quando sarà necessario».
NELL’INCONTRO con Rutte, Emmanuel Macron ha insistito sulla necessità non solo di «un’Alleanza forte» ma al suo interno di «una crescita di potenza» della Ue. Oggi al Collège de France, Macron discuterà di competitività europea con Mario Draghi, che nel suo recente Rapporto alla Ue ha dedicato ampio spazio allo sviluppo della difesa, valutando intorno ai 500 miliardi la spesa dal prossimo anno. Il commissario-candidato alla nuova carica sulla Difesa europea, il lituano Andius Kubilius, ha spiegato nella sua audizione di fronte al Parlamento europeo la scorsa settimana che la Ue deve «spendere di più» per la propria difesa, deve «creare un mercato europeo», certo «non per fare la guerra ma per mantenere la pace».
STA DI FATTO che gli europei, che gli americani hanno definito «scrocconi» perché non pagano abbastanza per l’ombrello Usa nella Nato (è stato posto un obiettivo del 2% del Pil ma si tende già ad alzare il livello), devono trovare i finanziamenti per questa politica. Ma i «frugali»
Leggi tutto: L’Ue cambia strada: i fondi coesione dirottati sulla difesa - di Anna Maria Merlo
Commenta (0 Commenti)«Arrivano i rossi». In campagna elettorale per le regionali, a Bologna la destra alza i toni. Contro gli antifascisti «violenti» e i centri sociali «da chiudere». Schierati con Casapound, Meloni e alleati coprono i pasticci di Piantedosi. E sposano l’aggressiva retorica trumpiana
Emilia Paranoica Chiusura di campagna elettorale anticipata per Meloni, Tajani e Salvini. La sfida è in Umbria. La Lega attacca: «Fino a ieri Bonaccini e Schlein erano autonomisti»
Maurizio Lupi, Matteo Salvini, Elena Ugolini e Antonio Tajani al comizio del centrodestra per le Regionali in Emilia Romagna
Sorpresa! I leader del centrodestra, a Bologna (salvo la premier in collegamento) per chiudere la campagna elettorale in Emilia-Romagna, si concentrano davvero sulla regione al voto. Sembra normale invece non era mai successo. La premier soprattutto aveva sempre insistito sui mirabolanti risultati nazionali del governo, addirittura, in Liguria, dedicando solo una fugace citazione alla regione.
IN EMILIA è tutt’altra musica. Salvini, accolto dal grido «Matteo, Matteo» quasi s’indispettisce: «Sì, mi chiamo così ma oggi da gridare c’è solo il nome di Elena». Al secolo la candidata Ugolini che la premier, in streaming perché la riunione con i sindacati si è prolungata troppo per il treno, dipinge con accenti che nemmeno nell’Iliade.
Non significa che la destra pensi di vincere: i sondaggi li conoscono anche loro. Però i tre leader non rinunciano a giocarsela e sanno che qui martellare troppo sulla propaganda del governo centrale sarebbe controproducente.
«DICONO che non abbiamo chance. Lo dicevano anche in Liguria e la mia, la nostra storia dice che i pronostici possono essere stravolti. Il clima è così surriscaldato perché hanno
Commenta (0 Commenti)Nella foto: Una bandiera americana via Getty Images
Oggi un Lunedì Rosso dedicato agli Stati Uniti.
Al centro, non solo la vittoria di Donald Trump, ma anche il ruolo di Elon Musk, protagonista di un’elezione che ha visto una cerchia di miliardari investire, di nuovo, sul tycoon: esponenti della classe che ha la maggiore (se non la piena) responsabilità dei disastri nei quali siamo immersi – dalla crisi economica a quella climatica alle guerre – ma che riescono a presentarsi come la via di uscita dal pantano.
Il clima, ora, è quasi di regolamento dei conti Trump ha sete di «vendetta» e il primo obiettivo saranno alcune istituzioni del paese e dei loro vertici.
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