Sindacati convocati a Palazzo Chigi per una legge di bilancio che sembra blindata. Cgil e Uil: “Nessun pregiudizio, ma preoccupati per il futuro del Paese”
Dovevano vedersi la scorsa settimana, ma poi l’incontro è slittato ad oggi a causa di uno stato influenzale della presidente del consiglio Meloni. Un rinvio che riduce ulteriormente lo spazio di trattativa, se mai ci sarà, per modificare una legge di bilancio che per Cgil e Uil presenta più ombre che luci a differenza della Cisl che trova nel testo grande soddisfazione.
Il giudizio di Landini e Bombardieri è ben noto e lo sciopero generale indetto per il prossimo 29 novembre conferma che la manovra va nella direzione contraria a quella auspicata dai due leader sindacali, convinti che il governo “infliggerà al Paese sette anni di austerità” con la perdita del potere d’acquisto di lavoratori e pensionati causata da un’inflazione da profitti, con la crescita della precarietà e del lavoro nero e sommerso, con i tagli ai servizi pubblici, a partire da sanità, istruzione, trasporto pubblico ed enti locali.
Per non parlare dei rinnovi contrattuali per il pubblico impiego, che coprono appena un terzo dell’inflazione, il taglio del cuneo fiscale (con perdite per molti) pagato dagli stessi
Leggi tutto: Il tavolo - Manovra, quanto margine di trattativa?
Trump incombe sulla Cop29. L’equipe del tycoon avrebbe già pronte le carte per far uscire gli Usa dall’Accordo di Parigi. Defezioni, trattative sui pozzi di petrolio, frattura tra Nord e Sud del mondo: la Conferenza sul clima si apre domani a Baku sotto i peggiori auspici
Previsioni del tempo La conferenza sul clima di Baku, in Azerbaijan, si apre lunedì tra defezioni importanti - assenti tra gli altri Biden, Modi, Trudeau e von der Leyen -, accordi sui pozzi di petrolio e frattura tra Nord e Sud del mondo. Mentre il prossimo presidente americano avrebbe già pronte le carte per far uscire gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi
Marcia degli attivisti per il clima a Washington
Cop29 inizia con cupezza. Il ventinovesimo round negoziale sul contrasto al riscaldamento globale promosso dalle Nazioni Unite apre le porte domani nella capitale azera Baku. Le agenzie battono da giorni gli annunci relativi alle defezioni dei più importanti leader globali, mentre la vittoria elettorale del negazionista climatico Donald Trump incombe come uno spettro su tutto il processo. Ma i negoziatori hanno un solo vero tema di cui parlare: i soldi. Non arriveranno annunci eclatanti su altri dossier da queste due settimane, e sul tema della finanza andrà valutato il successo o il fallimento della Conferenza.
FACCIAMO UN PASSO indietro. L’agenzia Reuters, citando fonti del New York Times, ha fatto sapere due giorni fa che l’equipe di Trump avrebbe già pronte le carte per far uscire gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi – la più importante intesa globale sul contrasto alla crisi climatica. Non è una notizia inattesa: già durante il suo primo mandato il tycoon prese la stessa decisione. Quella volta, però, si convinse quasi alla fine del quadriennio, e i democratici rientrarono nell’Accordo appena riconquistata la Casa Bianca. Stavolta Trump ha la possibilità di tirare fuori il secondo emettitore globale fino ad (almeno) il 2028.
Va detto che Cop29 non navigava comunque in acque tranquille. Non solo la Conferenza del 2015, ma anche la Cop26 di Glasgow del 2021 appare lontanissima. Oggi è la guerra a occupare le menti dei leader globali. La sintesi l’ha offerta, involontariamente, la presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen. Rispondendo a una domanda poche settimane fa, ha spiegato che nella formazione della sua seconda squadra di governo il criterio chiave non è stato il clima, ma «sicurezza e competizione». Ovvero, guerra contro la Russia e dazi contro la Cina.
Un disinteresse globale che si riflette nel lungo elenco di defezioni. Non sorprende l’assenza di Xi Jinping e Vladimir Putin. Ma dall’elenco dei presenti mancano anche lo statunitense Joe Biden, l’indiano Narendra Modi, il canadese Justin Trudeau. A sorpresa non ci sarà nemmeno Ursula Von Der Leyen. Discorso a parte per Emmanuel Macron e Olaf Scholz. Il primo non parteciperà, si legge sulla stampa europea, anche in polemica con il governo azero che ospita i colloqui.
La Francia è infatti il maggior alleato europeo dell’Armenia, nemico storico dell’Azerbaijan. Il secondo aveva invece previsto di partire alla volta di Baku, ma ha deciso di rimanere a Berlino per via della crisi che ha investito la sua coalizione di governo. Tra le poche presenze che parrebbero certe, tra i leader di peso dello scenario globale, rimarrebbero il leader britannico Keir Starmer, lo spagnolo Pedro Sánchez, il turco Recep Tayyip Erdogan. Anche Giorgia Meloni dovrebbe esserci, mentre il brasiliano Lula Ignacio da Silva non può volare a causa di una piccola emorragia cerebrale, ma potrebbe parlare tramite video.
I PADRONI DI CASA ci hanno messo del loro per abbassare le aspettative. Elnur Soltanov, uno dei massimi dirigenti della macchina negoziale, è stato filmato segretamente da un gruppo di attivisti sotto copertura mentre usava il suo ruolo per mercanteggiare accordi su nuovi pozzi petroliferi. Il 90% delle esportazioni azere consistono in idrocarburi – molto del loro gas arriva ad esempio in Italia – e la scelta di prendersi la presidenza di Cop29 si inserisce nella linea da anni adottata dai petrostati: impadronirsi dei negoziati per sabotarli. Tutti segnali che lasciano intendere come il problema non sia certo solo Trump: anche con una Kamala Harris vincente il meccanismo delle Cop sarebbe
Leggi tutto: Trump incombe sulla Cop29, accordo di Parigi a rischio - di Lorenzo Tecleme
Commenta (0 Commenti)Donne e bambini Nuovo rapporto dell’Onu: il 44% sono minori, la maggior parte aveva tra i 5 e i 9 anni. Tel Aviv: «Non ci sarà nessun ritorno a nord»
Un gruppo di palestinesi piange i bambini uccisi in un raid israeliano a Deir al-Balah – AbdelKareem Hana/ Ap
Soprattutto donne e bambini. Sull’ormai abituale bollettino della morte a Gaza si è pronunciato ieri l’ufficio dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i diritti umani (Ohchr), con un nuovo rapporto: il 70 percento delle morti accertate nei primi sei mesi dell’invasione israeliana a Gaza erano donne e bambini. La maggior parte di loro aveva tra i 5 e i 9 anni, e complessivamente i bambini ammazzati sono il 44 percento delle vittime totali. Incrociando le informazioni fornite dai vicini delle case bombardate – i pochi rimasti -, dai familiari, dalle Ong locali e dal personale delle Nazioni unite sul campo con i dati sui registri ospedalieri, il rapporto documenta che la vittima più giovane era un bambino di appena un giorno. Tutto questo nella «sconsiderata noncuranza» di Israele, come denuncia Volker Turk, alto commissario Onu per i diritti umani. Turk ha esortato Tel Aviv a rispettare gli obblighi internazionali, ricordando che ci sono mezzi e modi per «limitare e prevenire le sofferenze umane in tempi di conflitto armato».
PROSEGUENDO nella più totale negligenza delle regole e delle istituzioni internazionali, Israele commenta il rapporto delle Nazioni unite derubricandolo a «informazioni non verificate», nelle parole della missione diplomatica israeliana a Ginevra, e prosegue nell’inflizione di sofferenze che da oltre un mese investe il nord della Striscia. Almeno una ventina di palestinesi uccisi e oltre un centinaio feriti, soltanto nelle ultime 24 ore. Al Jazeera riporta che ieri un attacco aereo dell’esercito israeliano ha colpito le aree orientali di Gaza City e un altro ha abbattuto un’abitazione nel campo profughi di Jabaliya, a nord. Ancora a Jabaliya, diversi palestinesi sono rimasti feriti in un bombardamento israeliano all’ingresso della scuola Halima al Sadia, che ospita alcuni sfollati. La distruzione delle infrastrutture civili non accenna a rallentare: l’agenzia di stampa palestinese Wafa registra almeno quattro vittime nell’attacco a una casa nel quartiere di Al Manshiya, a Beit Lahiya.
ANCHE IL RESTO della Striscia continua a essere bersaglio dell’esercito israeliano, che pure avrebbe istituito nel centro e a sud la «zona umanitaria», dove si rifugiano la
Leggi tutto: La strage di Gaza, altro che terroristi - di Enrica Muraglie
Commenta (0 Commenti)Usa, il vincitore Trump si prepara a fare a pezzi lo Stato e i suoi rivendicano la famigerata agenda “Project 2025”:
«È tutto vero, la realizzeremo». Tra i vinti volano gli stracci, il capro espiatorio Biden non fa autocritica. Sanders e la sinistra dei democratici avanzano una spiegazione: i lavoratori vogliono un cambio, e hanno ragione
Stati uniti Biden e Harris promettono una transizione pacifica ma non si assumono responsabilità. Ci pensa la sinistra di Sanders e Ocasio-Cortez. Dopo averlo negato per mesi, ora l’entourage trumpiano rivendica l’agenda: è il Project 2025. Sms e mail dalle città democratiche: terapia gratis per superare il trauma e farne resistenza
Joe Biden alla fine del suo discorso alla Casa Bianca - foto Ansa
In campagna elettorale Donald Trump si è più volte distanziato dal «Project 2025», programma politico lanciato dalla super conservatrice Heritage Foundation, per ridefinire i ruoli istituzionali del governo federale. Ora che ha vinto, tutto il suo entourage più destrorso rivendica la validità di quel progetto.
Da quando ha fatto il suo discorso da vincitore, Trump non ha parlato pubblicamente; a gongolare e a rivendicare le posizioni più a destra ci ha pensato Matt Walsh, podcaster di estrema destra, che su X ha scritto: «Penso che possiamo finalmente dire che sì, in realtà il Progetto 2025 è l’agenda. Lol». Subito dopo l’ex consigliere della Casa bianca Steve Bannon nel suo podcast ha elogiato Walsh, così come ha fatto l’influencer di destra Benny Johnson, sempre su X: «È un onore per me informarvi che il Progetto 2025 è sempre stato molto reale per tutto il tempo». E anche Bo French, un funzionario repubblicano del Texas ha scritto su X: «Quindi ora possiamo ammettere che implementeremo il Project 2025».
MENTRE SI ATTENDE di capire in che modo The Donald vorrà mantenere le sue promesse elettorali, la parola è ancora del partito sconfitto. «In democrazia prevale sempre la scelta del popolo, e noi lo accettiamo: non si può amare il Paese solo quando si vince» ha detto Joe Biden nel suo primo discorso dopo la sconfitta, promettendo una «transizione dei poteri pacifica e ordinata», sottolineando che avrebbe «onorato la Costituzione» e ricordando alcuni dei successi della sua amministrazione.
Anche Kamala Harris, quando mercoledì pomeriggio si è rivolta ai suoi sostenitori, ha parlato di «transizione pacifica» e rispetto della costituzione, così come Nancy Pelosi e il comitato elettorale democratico, per rimarcare la differenza fra questa amministrazione e quella che l’ha preceduta e che la seguirà.
MAGRA SODDISFAZIONE di stile, per un Paese che si è consapevolmente avviato verso l’autoritarismo. Dopo essersi assicurati Casa bianca e Senato (alla Corte suprema aveva pensato Trump già nel primo mandato), i repubblicani sono pronti a prendere il controllo della Camera: decine di seggi sono ancora impegnati in testa a testa troppo vicini per decretare un vincitore. Per i dem però, non sembra tirare una buona aria, neppure lì. Chiunque vincerà avrà una maggioranza risicata, ma se per i repubblicani sarebbe solo una facilitazione, per i Dem rappresenta l’unico appiglio.
«Mentre la leadership democratica difende lo status quo, il popolo americano è arrabbiato e vuole il cambiamento. E ha ragione», ha detto il socialista Bernie Sanders commentando la catastrofica sconfitta elettorale, dopo essere stato rieletto per la quarta volta come senatore del Vermont. Sanders ha sottolineato il distacco del partito dalla sua base: «Non ci deve sorprendere che un partito democratico che ha abbandonato la classe lavoratrice scopra che la classe lavoratrice gli ha voltato le spalle alle urne. All’inizio è stata la classe operaia bianca, ora anche i lavoratori ispanici e neri».
SANDERS HA PARLATO di «grandi interessi economici e consulenti ben pagati che controllano il partito democratico» e si è chiesto: «Impareranno qualche vera lezione dalla
Leggi tutto: Tra i dem volano gli stracci - di Marina Catucci NEW YORK
Commenta (0 Commenti)Donald Trump stravince le elezioni e ottiene Casa Bianca, Senato, Camera e voto popolare (la Corte suprema era già sua): c’è un uomo solo al comando, più un’ombra pluto-tech di nome Musk. Per i democratici è un massacro, per il resto del mondo l’inizio di un incubo
Potere assoluto Watch party tragico per i dem a Washington. E Kamala come Hillary non si presenta
Donald Trump sul palco del Palm Beach Convention Center dopo la vittoria
La mattina dopo il voto, Washington DC si è svegliata prolungando il silenzio inusuale che aveva avvolto la città già il giorno precedente. Se il concetto di silenzio può avere sfumature, a Washington DC sono state esplorate tutte: la città era insolitamente quieta, prima per il timore di disordini causati da Donald Trump in caso di vittoria – data per quasi certa – di Kamala Harris, poi per la sorpresa della sconfitta della candidata democratica, e infine per metabolizzare che, a differenza del 2016, Trump questa volta ha vinto a furor di popolo. Un fenomeno davvero inusitato, dato che nelle ultime otto elezioni il partito Repubblicano ha conquistato il voto popolare solo una volta, e per via di una guerra epocale.
LA NOTTE DEL VOTO nelle sedi dei watch party (le feste dove i sostenitori di un candidato si riuniscono per seguire insieme il conteggio dei voti stato per stato) organizzati dal partito Democratico, si è vissuta solo la prima delle tre fasi dell’elaborazione del lutto: la negazione. In una notte stranamente calda per i primi di novembre, il pullman blu con la scritta «Harris-Walz» sul quale hanno viaggiato i candidati dem per tutta la campagna elettorale, era stato parcheggiato all’interno del campus della Howard University, sede del principale tra tutti i watch party democratici, ed era preso d’assalto dai sostenitori che si facevano fotografie con il bus sullo sfondo.
Visto che lo spazio all’interno della Howard University era troppo esiguo per accogliere gli attivisti e i media di tutto il mondo accorsi per seguire la notte elettorale dalla parte della prima candidata nera alle presidenza degli Stati Uniti, all’esterno, nel giardino del campus, poco lontano dal pullman elettorale, era stato allestito un palco sul quale sarebbe dovuta salire Harris, per ringraziare della vittoria, salutando così anche chi era rimasto fuori dal magico perimetro.
SU QUEL PALCO Harris non è mai salita, ed è rimasto appannaggio del mega schermo collegato con la Cnn, mentre la base continuava a festeggiare e a sventolare bandierine americane con aria festosa, anche quando era ormai diventato chiaro che per la candidata democratica si stava mettendo male. C’è voluto tutto il tatto dei giornalisti della Cnn che commentavano i risultati dal vivo per obbligare questa base a guardare in faccia la realtà: «A quest’ora, quattro anni fa, l’Arizona veniva assegnata a Biden facendo infuriare Trump – ha detto uno dei commentatori – Quest’anno la storia è molto diversa». Anche il partito ha parlato ai suoi elettori come per ammortizzare la caduta, annunciando che il «cammino verso la vittoria si sta facendo più sottile».
Nel tardo pomeriggio italiano Harris ha telefonato a Trump per congratularsi con lui.
HARRIS, COME HILLARY Clinton nel 2016, non si è presentata per rivolgersi ai
Commenta (0 Commenti)Code ai seggi, tensione, uffici degli scrutini guardati a vista da polizia armata (e a volte droni e cecchini): gli Stati uniti scelgono il presidente, sarà un lavoro lungo, Musk ha già acceso la macchina del fango social. Balzo dei consumi di alcool e droghe: è l’election anxiety
Elettorale americana Elon Musk fa campagna per Donald Trump da mesi, e ora che le elezioni sono arrivate, il suo comitato di raccolta fondi, American Pac, ha lanciato un gruppo su X per segnalare i famigerati brogli alle urne. I gruppi di estrema destra diffondono i loro piani anche su altre piattaforme e minacciano di «agire» qualora Trump non vincesse le elezioni
Proud boys sostenitori di Donald Trump a Bedminster, New Jersey – Getty Images
Da mesi il miliardario Elon Musk fa campagna per Donald Trump, e ora che le elezioni sono arrivate il suo comitato di raccolta fondi, American Pac, ha lanciato un gruppo sul social che l’imprenditore ha comprato e trasformato, X, ex Twitter, per segnalare i famigerati “brogli” alle urne.
L’Election Integrity Community, questo è il nome a dir poco orwelliano che è stato scelto, conta circa 50 mila membri, ed è il luogo in cui si possono «condividere potenziali episodi di frode elettorale o irregolarità riscontrate durante il voto alle elezioni del 2024».
DURANTE TUTTA LA CAMPAGNA, le forze dell’ordine federali e i funzionari elettorali dei due schieramenti hanno parlato costantemente delle minacce che gli operatori elettorali si sono trovati ad affrontare, mentre tentavano di svolgere dei compiti basici per organizzare il processo di voto.
Ora il giorno delle elezioni è arrivato, e il Team Trump, gli attivisti conservatori, i gruppi di pressione di destra e l’uomo più ricco del mondo, stanno conducendo una campagna di pressione coordinata e su più fronti per costringere gli scrutatori a eseguire gli ordini di Trump, spingendoli a rifiutarsi di certificare il risultato delle elezioni, se dovesse essere svaforevole a The Donald.
Per fare questo il piano è semplice e sotto gli occhi di tutti, e si basa sulle accuse infondate di frode elettorale e sulle incessanti bugie del tycoon su come i democratici gli stiano rubando le elezioni da due cicli elettorali.
Con il potere di X che amplifica, questa rete di sostenitori di Trump spera di costruire la narrazione di elezioni rubate su accuse non supportate, o basate su presunte prove che sono solo dei malintesi sulle funzioni fondamentali dell’amministrazione elettorale.
La repubblicana Liz Cheney, una delle voci critiche più accese nel Gop su Trump, la settimana prima del voto aveva predetto che «X sarà un canale importante» per quanti sostengono che le elezioni siano state rubate e ha definito la piattaforma un «pozzo nero» sotto la guida di Musk.
IN EFFETTI AMERICA PAC è diventato un luogo di
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