CUORE DI TENEBRA. La premier potrà entrare nel palazzo del potere della Ue solo da una porta laterale
Dal “sondaggione interno” delle politiche europee Giorgia Meloni è uscita in piedi, anche se meno trionfante di quanto non racconti. Ha perso voti e neanche pochi, 600mila e rotti, ma ha guadagnato punti percentuali, come partito e come coalizione. Non ha fatto lo strapieno come chiunque si trovasse a palazzo Chigi quando si aprivano le urne in Europa ma non è neppure finita a gambe all’aria come chiunque governi oggi nella stessa Europa. Si dichiara soddisfatta e lo è davvero. Solo che per lei le elezioni non erano solo un sondaggione privo di conseguenze concrete, salvo esiti clamorosi come quello francese. La posta in gioco è a Bruxelles e Strasburgo: su quel tavolo l’elettorato le ha servito carte ambigue che la costringono in una situazione che richiederà maestria.
«IL RESPONSO DEI CITTADINI impone che l’Europa guardi più verso il centrodestra: questo è quel che i cittadini chiedono», afferma fingendosi sicura Meloni. Sulla carta potrebbe anche aver ragione. Nei fatti non è così. Ursula von der Leyen, leader pronta a tutto come pochi altri, capace di volteggiare con aristocratica ineleganza passando dal Green Deal al riarmo, dall’apertura a destra al cordone sanitario contro la destra, guarda ai numeri, tiene conto del veto del Pse e dei Liberali, indisponibili a sostenerla se intavolerà trattative con i Conservatori, trae le conseguenze. Ora vuole «costruire un bastione contro gli estremisti».
Conte chiama Elly: «Avanti col dialogo». Toninelli prova a guidare il dissenso
A tal fine dialogherà prima di tutti con i Socialisti però «lasciando le porte aperte ad altri». Non allude però a quella che sino a ieri sembrava l’amica del cuore «davvero europeista», Meloni Giorgia, ma ai Verdi, i quali peraltro si sono già detti prontissimi a
Leggi tutto: Meloni resta in piedi in casa ma perde lo scettro europeo - di Andrea Colombo
Commenta (0 Commenti)EUROSHOCK. Per quanti sforzi facciano popolari e socialisti a fornire una versione edulcorata della cronaca, la vittoria delle destre estreme è un risultato clamoroso di fronte alla stori
L’Unione europea, con le sue scelte politiche di fondo, ha opposto un argine debolissimo alla destra più nera e questo argine è stato travolto dal voto di ieri. Il simbolo della disfatta è Emmanuel Macron che con la sua resa travestita da rilancio replica la condotta irrazionale che ha avuto sulla guerra in Ucraina.
Il destino del parlamento francese da qui a poche settimane appare segnato e con esso, tristemente, quello del cuore politico del continente. I partiti dell’estrema destra entrano da padroni di casa nell’Unione, una casa che non hanno contribuito a costruire e che hanno sempre provato a demolire.
Agli esiti neri di queste elezioni fa da contraltare la quinta quasi immobile dell’emiciclo di Strasburgo. Dove von der Leyen si proclama vincitrice e prova a raccontarsi come alternativa a quella destra estrema che ha contribuito a gonfiare. Il risultato elettorale è come una scossa potente che sul momento crepa l’edificio senza abbatterlo. L’equilibrio dell’europarlamento in fondo sembra cambiare poco.
La vecchia alleanza tra popolari, liberali e socialisti potrebbe avere i voti sufficienti per riproporsi imperterrita, indifferente al terremoto. Ma non si potrà fare finta di niente. Perché l’Europa unita si regge, ancora, sugli stati che la compongono: la Francia, come la Germania dove i neonazisti raggiungono Scholz, ne è dunque un pilastro sul punto di crollare.
Per quanti sforzi facciano popolari e socialisti a fornire una versione edulcorata della cronaca, la vittoria delle destre estreme è un risultato clamoroso di fronte alla storia. Partiti xenofobi e razzisti, in molti casi apertamente nostalgici e neo fascisti superano di slancio e travolgono formazioni che sono state l’architrave dell’Europa per ottant’anni. È un D-day – celebrato appena l’altro giorno – ma al contrario.
Il risultato italiano, con un’affluenza più bassa di quella media dell’Unione, è solo una conferma per Meloni e non un trionfo. Più chiaro il successo di Schlein che supera le migliori previsioni. Così come fanno abbondantemente Verdi e Sinistra, trainati – vedremo oggi – dai consensi per Ilaria Salis. Una luce, dentro un tunnel nerissimo.
Commenta (0 Commenti)EUROPEE. Estrema destra all’assalto tra ripuliti e impresentabili Data in testa in 9 Paesi su 27, potrebbe eleggere oltre un quarto degli eurodeputati, con 200 seggi, una quarantina in più di adesso
Pulizie al Parlamento europeo foto Getty Images
Stasera si conosceranno i risultati del voto europeo, che si è svolto nei 27 paesi della Ue e che configurerà per 5 anni e 720 deputati (15 in più di quello in uscita) un parlamento comune che però, a differenza di quelli nazionali, non ha l’iniziativa legislativa, anche se ha ottenuto più poteri con le ultime revisioni dei Trattati. 360 milioni di iscritti, ma una partecipazione che dal 1979 – il primo voto europeo – è stata sempre in calo, dal 70% fino al 40% del 2014, mentre nel 2019 si è registrata una piccola ripresa, al 51%, che potrebbe però non venire confermata. Nessun partito ormai difende l’opzione “exit”, dopo il fiasco Brexit, ma nei fatti, si tratta di 27 elezioni nazionali, che solo in seconda battuta ridisegneranno il panorama politico europeo.
Non ci sono circoscrizioni transnazionali.
Tutti votano con il sistema proporzionale, ma in giorni diversi, in Estonia era possibile per corrispondenza dal 3 giugno, giovedì 6 in Olanda, venerdì in Irlanda e Repubblica ceca, nel week end tutti gli altri, molti sul solo giorno di domenica. Le regole sono diverse, in Belgio, Austria, Malta e Germania votano a 16 anni, a 17 in Grecia, gli altri a 18 (ci sono 2 milioni di giovani al primo voto). I paesi eleggono un numero diverso di deputati, in rapporto con la popolazione con correzioni (6 per i più piccoli, Cipro, Malta, Lussemburgo, 76 per l’Italia, 81 per la Francia, 96 per la Germania).
«La politica resta un affare nazionale» afferma il giurista Alberto Alemanno, professore a Hec di Parigi, «manca una sfera pubblica europea, il prisma resta quello nazionale, anche se i grandi temi sono europei». I 17 milioni di cittadini europei che vivono in un paese diverso da quello di nascita pesano poco. Nel 2019 c’era stato un gran parlare di liste transnazionali, ma quest’anno il progetto è rimasto nel cassetto, non è più evocato da nessuno e persino i partiti che hanno una aspirazione federalista la stanno tenendo ben nascosta, travolta dall’ondata “sovranista” in corso. In Francia, nei volantini elettorali, neppure i più europeisti (Ps, Ecologisti, i liberali di Renaissance) hanno stampato il riferimento ai gruppi di appartenenza a Strasburgo.
Da domani, cominceranno le trattative per la formazione dei gruppi
Leggi tutto: Estrema destra all’assalto tra ripuliti e impresentabili - di Anna Maria Merlo
Commenta (0 Commenti)Sulle elezioni europee pesano anche i conflitti in corso e le posizioni assunte dalle forze politiche. Il contributo di Fabrizio Coticchia, Università di Genova
In occasione delle elezioni europee del 2024 il tema bellico ha assunto un peso notevole per il voto di molti cittadini di ogni Stato membro, di coloro che decideranno come votare anche valutando le posizioni assunte dai governi, dai partiti politici e dai singoli candidati circa le guerre in corso e le politiche che l’Unione dovrebbe adottare in materia.
In Italia nei programmi elettorali le posizioni dei partiti vanno da coloro che chiedono lo stop immediato all’invio di armi agli Stati in guerra come Ucraina e Israele, a chi si pronuncia per la creazione di un esercito europeo, da chi vuole aumentare le spese militari a chi chiede norme molto più severe per l’export delle stesse.
Fabrizio Coticchia, professore ordinario di Scienze politiche e internazionali all’Università di Genova da noi interpellato sottolinea che tendenzialmente per le elezioni i temi di politica estera non sono così cruciali come i temi di politica interna ed economici, o come l’immigrazione. Allo stesso tempo, però, “quando ci sono delle crisi rilevanti, come quelle ora in essere e tra loro collegate, anche i fattori internazionali giocano un peso e un ruolo. Lo vediamo anche nella modalità con la quale i partiti stanno elaborando la loro campagna elettorale anche rispetto al tema della
Leggi tutto: La guerra nelle urne - di SIMONA CIARAMITARO
Commenta (0 Commenti)Tre missili su una scuola dell’Onu a Nuseirat, diventata rifugio di 6mila sfollati: almeno 40 palestinesi uccisi, tra loro donne e bambini. Israele rivendica il raid per colpire «20 o 30 miliziani», senza dare prove. E come nella strage a Rafah le armi sono statunitensi
NEL MUCCHIO. Raid israeliano nel campo di Nuseirat. Tel Aviv: l’obiettivo erano «20 o 30 miliziani». Statunitensi le armi della strage, come a Rafah. Altri paesi si aggiungono alla proposta di tregua che Biden attribuisce a Israele, ma che Bibi nega
Sangue rappreso nella scuola Onu di Nuseirat dopo il bombardamento israeliano - Ap/Jehad Alshrafi
Cintura di fuoco, così i palestinesi chiamano dal 7 ottobre i bombardamenti a circolo, come fossero un vortice, o un tornado. È questa l’espressione che hanno usato ieri alcuni dei sopravvissuti ai raid israeliani sulla scuola al-Sardi nel campo profughi di Nuseirat, nel centro di Gaza: una cintura di fuoco.
«Eravamo dentro la scuola e all’improvviso siamo stati bombardati, le persone sono state fatte a pezzi – racconta Anas al-Dahouk ad al Jazeera – Questo edificio ospitava famiglie e giovani, non hanno dato nessun avvertimento».
La scuola al-Sardi è gestita dalle Nazioni unite, ma non è più una scuola dal 7 ottobre. Le aule sono piene di sfollati, circa 6mila, materassi e vestiti appesi fuori ad asciugare. La struttura è la stessa di tutte le scuole dell’Unrwa in Palestina, l’agenzia per i rifugiati palestinesi: vernice bianca e blu, i colori delle Nazioni unite, tre piani e una balaustra che corre lungo tutto l’edificio. Un modo per fare ombra, qui il sole picchia forte e il balcone coperto allontana i raggi dalle porte delle aule.
A SCUOLA i bambini di Gaza non ci vanno da otto mesi e come a ogni offensiva sono migliaia le famiglie che si rifugiano nei centri dell’Onu, siano scuole, magazzini, cliniche. Le pensano più sicure: sul tetto c’è scritto «UN» a caratteri cubitali. Da anni non sono più sicure, in questo attacco ancora di meno: sono 180 i centri dell’Onu colpiti dai bombardamenti israeliani.
L’altra notte è successo alle 1.30, tanti già dormivano o ci provavano. Tre missili, dicono i sopravvissuti, hanno sventrato il secondo e il terzo piano. La giornalista Hind Khoudary è entrata dentro e l’ha mostrato in video: le pareti che danno sull’esterno sono completamente saltate, le altre ancora in piedi sono annerite.
SANGUE RAPPRESO a terra, un enorme buco sul soffitto, gli oggetti personali degli sfollati – che ormai si limitano a materassi e vestiti – pieni di polvere. Un uomo raccoglie pezzi di corpi, i cadaveri non ci
Commenta (0 Commenti)La visita di Meloni con Rama ai nuovi campi in Albania è un’esibizione del modello italiano di deportazione dei migranti fuori dal territorio europeo. Condita da maniere forti e attacchi alla stampa. La «soluzione» fa proseliti nella Ue e rischia di imporsi dopo le elezioni
DEPORTO SICURO. Per la premier il denaro speso non è un costo ma un investimento. «Il protocollo sarà imitato. Farà da deterrenza alle traversate»
Rama e Meloni nel porto di Schengjin - LaPresse/Chigi
I centri in Albania apriranno il primo agosto. Lo ha promesso ieri la premier Giorgia Meloni durante la conferenza stampa con l’omologo Edi Rama, a margine del tour nelle strutture di Gjader e Shengjin. Lui altissimo, con la faccia seria, davanti alla bandiera rossa con l’aquila stampata sopra. Lei più piccola, con l’espressione concentrata, annuisce alle parole del partner politico o affila lo sguardo alle domande dei cronisti.
L’INCIPIT È UNA LUNGA tirata contro i giornalisti italiani. Per Rama hanno dipinto l’Albania come un narcostato, arrivando a Tirana con notizie già scritte. «È un sollievo vedervi qui sani e salvi, in quest’area che è il cuore della malavita albanese, dove agiscono clan legati al traffico di esseri umani, secondo quello che ha scritto un quotidiano del vostro paese», dice.
L’ironia che non riesce a dissimulare il fastidio per le inchieste sui presunti rapporti tra esponenti del suo governo e della criminalità organizzata albanese. Parla in italiano Rama «perché qui siamo in territorio italiano». E in questa lingua ripete una frase sentita altre volte: «La mafia non esiste». Lo direbbe la procura speciale secondo cui la criminalità di Tirana è organizzata su base familiare, senza la struttura gerarchica di Cosa nostra, Ndrangheta o Camorra.
Meloni rinnova la solidarietà all’amico, vittima della macchina del fango, e ripete che le critiche sono legittime, «per carità», ma i giornalisti devono stare attenti a non minare l’interesse nazionale quando in mezzo ci sono
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