L’accordo europeo per il bis di von der Leyen e i “top jobs” esclude Meloni. Ma lei spinge per entrare. Punta a rinviare le decisioni a dopo le elezioni in Francia. E mette sul piatto i suoi voti, segreti, per la Commissione
VENGO ANCH'IO. Cena tardiva per le nomine. Ppe, Pse e liberali su von der Leyen, Costa, Metsola e Kallas. Ma non sfideranno i franchi tiratori. Il tentativo dei vincitori nelle urne di dividere in due il mandato alla guida del Consiglio
Gadget elettorali per Ursula von der Leyen, esposte durante il vertice del Ppe a Bruxelles - foto Ansa
C’è chi pensa subito che tutto andrà liscio perché i nomi in fondo sono sul tavolo e senza alternative, chi sperava nella partita della Francia alle 21 per chiudere senza fare notte la partita delle nomine per i ruoli di vertice. Chi invece ha molto da perdere, quindi anche molto da guadagnare, e sa che questo è il suo momento. Giorgia Meloni, innanzitutto, capo di governo del più grande dei paesi Ue guidato da nazionalisti e sovranisti.
Arriva nella capitale europea all’ora di pranzo, mentre il vertice informale dei leader dei Ventisette è programmato per cena e inizia una girandola di incontri, in un hotel a due passi dalla Grand Place, centro turistico di Bruxelles. Il posto si chiama Amigo, proprio come l’amico Viktor Orban, legame mai rinnegato. Ma la presidente del Consiglio italiana incontra anche l’ex premier polacco Mateusz Morawiecki, che fa parte della stessa famiglia politica dei conservatori e riformisti europei (Ecr). Da lui arriva la conferma di una trattativa con i lepenisti, e quindi con tutte le forze di destra nazionalista e populista – Orban compreso – per formare un gruppo comune al Parlamento europeo.
Perché sarà nell’aula di Strasburgo, probabilmente il 17 o il 18 luglio, che colui (o quasi certamente colei) che avrà ricevuto l’incarico dal Consiglio europeo dei prossimi 27 e 28 giugno a Bruxelles, dovrà poi essere eletto. A maggioranza assoluta, ovvero superando quota 361 deputati, schivando le insidie dello scrutinio segreto, che porta con sé una quota di franchi tiratori tale da non far stare troppo tranquilla la maggioranza Ppe-socialisti-liberale a quota 400. E sarà proprio lì che si peserà la forza della destra europea, vincitrice della tornata elettorale del 9 giugno a partire dalle Francia, ma non essenziale alla maggioranza parlamentare europea.
LO FA NOTARE il premier polacco Donald Tusk nel corso del pre-vertice Ppe, parlando in realtà di Meloni, la più quotata per un appoggio esterno per la riconferma di Von der Leyen. «Penso non sia il mio ruolo cercare di convincere Meloni», afferma. «Se capisco bene ora abbiamo una
Commenta (0 Commenti)G7. Durante la conferenza stampa conclusiva Meloni nega arretramenti da parte dell'esecutivo su aborto e comunità lgbtqia+. Eppure i fatti raccontano un'altra storia
Giorgia Meloni al G7 di Borgo Egnazia, foto Ansa
«In questi due anni non ci sono stati passi indietro rispetto a questioni come il diritto all’aborto o sui diritti Lgbt», parola di Giorgia Meloni in conclusione del G7. Se la legge 194 non è stata toccata (ma si è trovato il modo di pagare i pro vita nei consultori attraverso i fondi del Pnrr e non si è intervenuto per rendere accessibile l’aborto dove nei fatti è negato), sul diritti arcobaleno le parole della premier gridano vendetta. Lo scorso 17 maggio (giornata mondiale di lotta all’omolesbobitransfobia) l’Italia insieme ad altri otto stati (come Ungheria, Romania, Bulgaria) non ha firmato il testo Ue sui diritti Lgbtqia+. Rispetto alla Rainbow Map, redatta da Ilga-Europe (documento annuale atto a fotografare la vita delle persone queer in 48 Paesi), il nostro si colloca al 36esimo posto. La posizione italiana è evidenziata in rosso anche nella mappa di Tgeu, relativa ai diritti delle persone transgender.
Non a caso a partire da Maurizio Gasparri, con i ministri a ruota, è iniziata lo scorso gennaio un’ispezione al centro Careggi di Firenze per rivedere, in senso restrittivo, su scala nazionale i protocolli sui farmaci bloccanti della pubertà, terapie che consentono di fermare (in modo reversibile) i cambiamenti fisici legati all’adolescenza nei giovani trans e non binari. E ancora. Tra i primi provvedimenti del governo Meloni, l’intervento del ministero dell’Interno sulle prefetture perché si allineassero alla pronuncia della Corte di Cassazione del 2022, bloccando le trascrizioni degli atti di nascita dei bambini di coppie omogenitoriali. Materia controversa che ha visto pronunce opposte in
Leggi tutto: Diritti, due anni di politiche del governo smentiscono la premier - di Adriana Pollice
Commenta (0 Commenti)Nelle conclusioni del G7 sparisce il riferimento all’«identità di genere», dopo la cancellazione della parola «aborto». La presidenza italiana riesce ad annacquare la dichiarazione sui diritti e i “Grandi” sul viale del tramonto si adeguano. Parola d’ordine: «Non cambia niente»
SFOLLAGENDER. Nel comunicato finale cancellati i passaggi più avanzati del 2023 Tolta «l’identità di genere» invisa alle destre. Imbarazzo di Biden
Una estesa del vertice del G7 a Fasano foto Ap
Tra gli ulivi e le suite a 5 stelle di Borgo Egnazia, tra il panem (con pomodoro) dello chef Bottura e i circenses affidati alla voce di Andrea Bocelli, Giorgia Meloni ha fatto anche molta politica. Non solo con le decine di photo opportunity e strette di mano con i leader di decine di paesi fuori dal G7 (dal Papa a Lula, da Milei a Erdogan a Modi) che lei ha voluto invitare in Puglia. Ma nelle due direzioni che la contraddistinguono: asse ferreo con Biden sul sostegno all’Ucraina (con annesse critiche al sostegno cinese a Mosca) e conservatorismo spinto sui diritti civili.
IL COMUNICATO FINALE firmato ieri dai 7 Grandi segna una vittoria della premier italiana: la parola «aborto» non compare nel testo, mentre c’era in quello del precedente G7 di Hiroshima. Gli sherpa italiani l’hanno spuntata, dopo una lunga notte di discussioni, col risultato che nel documento ci si limita a richiamare gli impegni del vertice del 2023, e cioè l’«accesso universale ad adeguati e fruibili servizi sanitari per le donne, inclusa la salute sessuale e riproduttiva». L’anno scorso, con la presidenza giapponese, si parlava di «accesso all’aborto legale e sicuro e alle cure post-aborto».
Retorica bellicista, confini e affari: il G7 formato Italia
Francesi e canadesi avrebbero voluto fare un passo avanti rispetto a un anno fa, col sostegno di Biden. E invece l’Italia ha posto il veto, impedendo ogni
Commenta (0 Commenti)Opposizioni in piazza contro le riforme della maggioranza. Che se passeranno toglieranno al parlamento ogni funzione. Già oggi per la destra le camere sono solo un teatro per le risse. Dopo l’ultima, particolarmente grave, a Montecitorio arrivano le sanzioni. Lievi
ULTIMO SPETTACOLO. Comitati, sindacati e partiti si ritrovano a Montecitorio. Appuntamento il 18 giugno
La manifestazione contro l'autonomia differenziata a piazza Montecitorio - Ansa
La piazza si riempie in maniera quasi spontanea, dopo le intimidazioni e alle aggressioni in aula degli ultimi due giorni. Ma, e questa è la prima notizia, finisce per rappresentare la convergenza delle opposizioni dentro e anche fuori dal Parlamento. È una composizione variegata che non si vedeva da anni, che si indigna contro le violenze della maggioranza e tira le fila del lavoro che mesi costituzionalisti e militanti stanno facendo su autonomia differenziata e premierato. Sono piccole delegazioni e gruppetti rappresentativi, non è di certo una manifestazione di massa quella che si ritrova di fronte alla Camera. Ma questa rappresentanza ampia e plurale trova il modo di coesistere e parlarsi. Primi passi dopo anni di camere stagne e bolle omogenee.
CI SI (RI)VEDE oltre le transenne di Montecitorio, e anche questa è una notizia: da anni alle proteste non è consentito arrivare di fronte al parlamento. L’infrastruttura della manifestazione è costituita dalla «Veglia laica per la Repubblica» convocata dai Comitati per il ritiro di ogni autonomia differenziata e il Tavolo No Ad. Ma, appunto, la mobilitazione si allarga. E ci si ritrova di fronte all’inconsueta mescolanza di bandiere: c’è l’Flc Cgil e l’Usb coi Cobas, i Giovani democratici e gli studenti di Cambiare rotta, Rifondazione e il M5S. «Questa battaglia non si vince solo nelle aule parlamentari anche là dentro, si è superato ogni limite come dimostra aggressione squadrista al deputato Leonardo Donno», dice Nicola Fratoianni.
LE OPPOSIZIONI parlamentari invitano a ritrovarsi martedì prossimo alle 18 a piazza Santi Apostoli, quando l’aula riprenderà l’esame del ddl. L’allarme viene raccolto dal presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo: «In questa settimana è saltato tutto – dice Pagliarulo – Hanno dedicato un francobollo al fascista Italo Foschi, Roberto Vannacci ha inneggiato alla X Mas e dei criminali sono stati trasformati in santini, la cosa è stata subito ripresa in aula dal deputato leghista Domenico Furgiuele. E poi le orribili chat del portavoce del ministro Francesco Lollobrigida, Paolo Signorelli». «Altro che patrioti, questi stanno spaccando la patria», dice il deputato del Pd Marco Sarracino. Per la Cgil c’è Maurizio Landini.
Autonomia, finisce in rissa: pugni in testa al 5S Donno
«Il messaggio che mandiamo oggi è molto chiaro – dice Christian Ferrari della segreteria nazionale del sindacato – Se non si fermeranno, saremo noi a fermarli. Siamo pronti a partire subito con firme per referendum abrogativo». A questo punto, tocca agli studenti di di Osa e Cambiare rotta tracciare un link tra le intimidazioni in parlamento e le repressioni di piazza: «Noi le manganellate le abbiamo già prese sulla nostra pelle – dicono – sappiamo cosa significa». Quando si aggiungo i parlamentari del Movimento 5 Stelle dicono di esserci per manifestare «contro questo folle provvedimento che spacca l’Italia e nega i servizi essenziali a milioni di cittadini, va avanti dentro e fuori dai palazzi istituzionali». I deputati denunciano «la gravità della prepotenza con cui la maggioranza prova a reprimere il libero dissenso parlamentare delle opposizioni, culminata nell’aggressione squadrista contro il deputato Donno».
«DOPO LE AGGRESSIONI fisiche della maggioranza in Parlamento non possiamo accettare che anche il paese sia ostaggio di questo clima di intimidazioni continue – scrivono Pd, M5S, Avs e +Europa in un comunicato congiunto – Il governo Meloni sta forzando la mano e prova a minare le basi democratiche della nostra Costituzione, procedendo a colpi di maggioranza verso l’approvazione dello Spacca-Italia e del premierato».
Elly Schlein, che già dai giorni scorsi aveva detto ai suoi di prepararsi a una nuova fase dopo le elezioni europee, è altrettanto netta: «C’è un serio problema quando cominci ad assistere a ripetute intimidazioni, aggressioni verbali e fisiche – scandisce la segretaria Pd – Hanno iniziato intimando il silenzio alla nostra capogruppo Chiara Braga, dicendole di stare zitta, hanno continuato facendo per tre volte il simbolo della Decima Mas, e hanno proseguito ulteriormente con l’aggressione squadrista a danno del deputato Donno. Quindi è chiaro che c’è un problema, questo non è un clima in cui si può lavorare in questo Parlamento e si sta dando un pessimo spettacolo al paese».
«Scenderemo con i tricolori in piazza il prossimo 18 giugno – le fa eco Giuseppe Conte dal M5S – E ci ritroveremo con le altre forze di opposizione per ribadire il nostro no all’autonomia differenziata, a questo clima intimidatorio, a queste aggressioni». Martedì, nelle stesse ore, al senato si voterà sul premierato. Tutti, in questa piazza di fine primavera, mostrano di conoscere bene la profonda relazione tra il disegno autoritario della riforma Meloni e quello che accresce le disuguaglianze del progetto di Calderoli
Commenta (0 Commenti)Non è Giorgia Meloni, adesso è Le Pen a disegnare gli equilibri dell’Europa in nero. Incontra Salvini, diventato un partner minore, e parla di gruppo unico delle destre nell’europarlamento. Spiazzando Fratelli d’Italia. Il prossimo voto in Francia può rafforzarla ancora
DETTA MARINE. Esclude le dimissioni dopo le legislative, agita la teoria degli opposti estremismi e tende la mano a Glucksmann e ai Républicains
Il discorso di Emmanuel Macron; a sinistra la riunione dei Républicains davanti alla sede del partito a Parigi chiusa da Eric Ciotti - foto Ansa
Ieri è iniziata la campagna elettorale più breve ma “storica” di Francia, con l’estrema destra alle porte del potere. Emmanuel Macron è sceso in campo, escludendo le dimissioni dopo le legislative: «Non voglio dare le chiavi del potere all’estrema destra nel 2027», alle prossime presidenziali, per questo «voglio un governo che possa agire per rispondere alle esigenze» e alle inquietudini espresse dal voto delle europee, che ha causato un terremoto politico, l’estrema destra al 40%, i partiti «estremisti» al 50% (il calcolo del presidente viene fuori sommando Rassemblemente national e France insoumise). Era l’impegno preso sette anni fa – non dare più nessuna ragione di votare per l’estrema destra – che si è fracassato sul risultato elettorale delle europee.
AL PAVILLON Cambon Capucines, non lontano dall’Eliseo, il presidente ha spiegato prima di tutto le ragioni dell’imprevisto scioglimento dell’Assemblée nationale: la Francia era in «un’equazione politica intenibile», di fronte a un «blocco», «pericoloso» per il paese, con la minaccia di una mozione di censura per l’autunno contro il governo. Lo scioglimento deve portare a «un chiarimento». Macron, che resta un «ottimista» e dichiara di non voler cedere allo «spirito della sconfitta», si rivolge ai cittadini-elettori, facendo appello all’«etica della responsabilità», nella «battaglia di valori esplosa in piena luce», che deve interrogare ogni cittadino.
ERA NECESSARIO chiamare di nuovo in causa gli elettori, non si può voler «un governo senza il popolo» e non si può «dissolvere il popolo», afferma. Delinea un progetto che
Leggi tutto: Macron scende in campo in cerca di un centro - di Anna Maria Merlo, PARIGI
Commenta (0 Commenti)L’azzardo elettorale di Macron contro l’onda nera manda in tilt gli schieramenti. Il leader dei Repubblicani rompe il tabù e apre a Le Pen, ma il suo partito alza le barricate. Estrema destra divisa. A sinistra il “fronte popolare” alla prova delle liste. La Francia rischia un salto nel buio
FRONTE RETRO. Eric Ciotti apre all’accordo con il Rassemblement National.I vertici insorgono: «Irricevibile, lasci la presidenza del partito». La destra implode. Mentre i sondaggi danno il ‘delfino’ Bardella in crescita vertiginosa
Eric Ciotti e Marine Le Pen - foto Ansa
La destra è implosa. L’annuncio della convocazione di elezioni legislative anticipate, la bomba lanciata da Emmanuel Macron la sera della sconfitta alle europee, ha già un primo risultato: Les Républicains, il partito erede del gollismo, è scoppiato. Il segretario, Eric Ciotti, ieri a metà giornata, ha annunciato la nascita di un’alleanza del «blocco di destra», un «blocco nazionale» con il Rassemblement national. Accordo confermato in serata dal delfino di Marine Le Pen, Jordan Bardella, che parla di varie decine di deputati repubblicani pronti a sostenerlo. Per Ciotti l’obiettivo è «preservare il gruppo Lr all’Assemblée nationale», che ora ha 61 deputati (e soprattutto salvare il suo seggio, visto che nella sua circoscrizione a Nizza il Rn è sopra il 30%).
IMMEDIATA REAZIONE di buona parte dei leader della destra classica, che rifiutano l’intesa elettorale con l’estrema destra, che nella versione di Ciotti potrebbe permettere a Lr di tornare al potere dopo 12 anni di astinenza. Ma è una scelta che contraddice la storia del movimento che con Jaques Chirac sconfisse Jean-Marie Le Pen nel 2002 con più dell’80% dei voti.
Una democrazia dimezzata in un Paese diviso
I senatori Lr, che non subiranno conseguenze dal voto del 30 giugno e 7 luglio che riguarda solo l’Assemblée nationale, guidano la carica: accusano Ciotti di aver
Leggi tutto: Roulette francese. Le Pen manda in tilt i repubblicani - di Anna Maria Merlo, PARIGI
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