Migranti Von der Leyen scrive ai leader europei: «Hub per i rimpatri nei paesi terzi». Ma la stessa Commissione frena: «Serve una nuova legge»
Che l’accordo tra Roma e Tirana sui migranti le piacesse non ne ha mai fatto mistero. «E’ in linea con il diritto comunitario» aveva detto a dicembre Ursula von der Leyen, poco più di un mese dopo l’annuncio fatto a Palazzo Chigi da Giorgia Meloni insieme al primo ministro albanese Edi Rama. Ora che quel patto è diventato realtà e che i primi sedici migranti egiziani e bengalesi arrivano in Albania (lo sbarco è previsto per questa mattina nel porto di Schenjin) la presidente della Commissione Ue scrive ai leader europei in vista del consiglio europeo di domani chiedendo di lavorare per l’apertura di «hub per i rimpatri al di fuori dell’Ue, soprattutto in vista della nuova normativa sul rimpatrio». Hub da realizzare nei paesi terzi con i quali l’Ue ha accordi. Il protocollo Italia-Albania può quindi diventare un modello da seguire perché, spiega von der Leyen, «con l’avvio delle operazioni saremo anche in grado di trarre lezioni da questa esperienza nella pratica». Tanto più che la Commissione conta di arrivare entro l’anno prossimo a una revisione del «concetto di paesi terzi sicuri».
SU QUESTO PUNTO difficilmente la presidente della Commissione troverà forti opposizioni tra i capi di stato e di governo. Di hub per i rimpatri fuori dai confini europei, per dire, aveva parlato la scorsa settimana anche il premier ungherese Viktor Orbán nella sua veste di presidente di turno dell’Unione. Anche se va detto che quello che von der Leyen sembra avere in mente è molto diverso dal protocollo Italia-Albania che prevede il trasferimento nel Paese delle Aquile di migranti salvati in mare, persone quindi che non hanno mai messo piede in Italia. La necessità di von der Leyen sembra essere invece quella di trasferire in paesi terzi persone che già si trovano sul territorio dell’Unione. Non a caso ieri proprio un portavoce della Commissione ha preso tempo spiegando che, «al momento» la possibilità di rimpatriare in maniera forzata i migranti in paesi terzi «non è legalmente possibile». Perché questo accada, ha spiegato, «la legge Ue deve regolamentare il rimpatrio forzato in un paese terzo che non sia il paese di origine».
QUELLO DI DOMANI e venerdì è comunque un consiglio europeo che si annuncia tutt’altro che tranquillo, tanto che il tema immigrazione rischia di essere escluso dalle conclusioni del vertice. La possibilità di un fallimento è tale che Giorgia Meloni ha convocato un vertice con il premier olandese Dick Schoof e quello danese Mette Frederiksen proprio per
concordare una linea comune. Alla riunione, fissata prima dell’avvio dei lavori del consiglio, dovrebbero partecipare anche i premier di Polonia, Austria e Grecia mentre per ora non è prevista la partecipazione di Francia e Germania. E si tratta di assenze pesanti.
A dividere sono soprattutto i tempi di attuazione del Patto su immigrazione e asilo approvato a dicembre. Alcuni leader europei vorrebbero accelerarne l’entrata in vigore (lo spagnolo Pedro Sanchez, ad esempio, per far fronte alla pressione migratoria sulle Canarie chiederà di anticiparla all’estate del 2025 senza aspettare, come previsto, quella del 2026 ed è anche contrario agli hub per i rimpatri nei paesi terzi). Di contro c’è il blocco dei paesi che si sono opposti al Patto, primo fra tutti l’Ungheria. A non piacere è soprattutto l’obbligo, previsto dalle nuove norme, di redistribuire i migranti tra gli Stati membri nel caso il numero degli sbarchi sia tale da provocare una situazione di crisi con prevista una sanzione di 20 mila euro a migrante per chi rifiuta l’accoglienza.
Ma sul tavolo c’è anche la questione dei richiedenti asilo che dopo essere sbarcati si sono spostati verso il Nord Europa. I cosiddetti «dublinanti» che i paesi nordici in particolare chiedono a Italia e Grecia di riprendere e che sono tra i motivi che hanno portato la Germania a sospendere temporaneamente Schengen ripristinando i controlli alla frontiera.