Se fossimo a “Porta a porta” si potrebbe fare un plastico, ma noi non abbiamo questi mezzi. Proviamo comunque a fare un riassunto di massima.
C'è bisogno di sinistra? Molti lo pensano, ma come e su quali idee-forza potrebbero riaggregarsi le diverse espressioni oggi in campo?
La situazione è in divenire: i fuorusciti dal PD hanno costituito il Movimento Art.1 Democratici e Progressisti e stanno definendo i propri orientamenti; Sinistra Italiana e Rifondazione Comunista hanno svolto i loro congressi nelle settimane scorse; c’è Civati con il suo Possibile; i Comunisti Italiani; e c’è Pisapia con il suo “Campo progressista”. Senza contare altre realtà (non vogliamo dimenticare nessuno), alcune più locali e “intrecciate”, come L'altra Faenza” e L'altra Emilia Romagna che hanno preso spunto anche dall'esperienza de L'Altra Europa.
Cosa pensano di fare le varie parti di questo arcipelago di forze?
Ancora prima di pensare ad una rappresentanza elettorale – sulla quale inciderà la legge elettorale – come pensano di conquistare consenso sociale e su quali contenuti?
Come rispondere ad una frammentazione – sociale prima ancora che politica – che porta alla disillusione verso i cambiamenti desiderabili, alla caduta della partecipazione sociale oltre che al voto; una frammentazione che può dare spazio a pulsioni di destra, come accade negli USA e in Europa, dalle quali l'Italia non è certo immune?
Non è compito di questo sito indicare strategie o individuare interlocutori privilegiati, ma sollecitare confronti e approfondimenti. Possiamo e vogliamo farlo.
Ospitiamo spesso interventi di esponenti nazionali di diversi orientamenti, appartenenti comunque all’area politico-culturale della sinistra. Ma forse è più utile sentire cosa pensano, e cosa intendono fare, coloro che qui, nei nostri territori, fanno in qualche modo riferimento a questo schieramento.
Vorremmo in sostanza che si aprisse un confronto libero, aperto e ampio: ci piacerebbe che a cogliere questo invito fossero tutti coloro che sentono di avere qualcosa da dire, a partire dagli esponenti del Movimento 5S (che pensiamo non possa continuare a proclamare l'autosufficienza), ma anche esponenti del PD (che magari non siano solo “renziani” e liberisti). Poi anche, e soprattutto, vorremmo che esprimessero le loro opinioni i tanti uomini e donne che non hanno un’appartenenza organizzata, pur riconoscendosi in valori e contenuti progressisti. Persone provenienti dal mondo della sinistra, ma anche da quello cattolico, dell'associazionismo, del volontariato.
In un periodo nel quale, da più parti, si pensa “all'uomo solo al comando” (cosa che a nostro parere non è di sinistra), forse è meglio tornare a chiederci non cosa stanno facendo per noi i capi delle sinistre, ma piuttosto cosa facciamo noi per la sinistra?
Dopo l'importante intervento di Giuseppe Casadio, auspichiamo che altri se ne aggiungano.
di Giuseppe Casadio
La lettura del "Manifesto art. l - Movimento Democratici e Progressisti" e le dichiarazioni dei presentatori (Speranza, Rossi, Errani ... ) rappresentano; oltre che un atto politico in sé innovativo, una attenzione ai temi del lavoro (art. 1), da tempo inusitata nella politica italiana.
Per questo motivo, da ex-responsabile delle politiche del lavoro della CGIL, ho avvertito lo stimolo a trarre un bilancio dell'ultimo ventennio, sulla base delle mie personali esperienze, e sperando di non annoiare troppo. In ogni caso, come sempre, la lettura non è un obbligo, se non la si ritiene interessante.
Da anni ci sentiamo ammannire una paradossale manfrina secondo cui il mercato del lavoro italiano sarebbe da decenni sclerotizzato, ingessato da regole pressoché preistoriche, difese contro tutti e a tutti i costi da un sindacato incapace di comprendere gli epocali cambiamenti in corso.
La realtà è pressoché opposta; da un ventennio a questa parte si è prodotto un profluvio di norme, aggiustamenti, piccoli o grandi strappi, accordi stipulati fra questo o quello dei vari governi succedutisi e soggetti .sociali presuntivamente rappresentativi, spacciati ogni volta come la grande riforma da tempo attesa. Risultato: un groviglio irrazionale e caotico che costituisce oggi terreno fertile per quasi ogni abuso in danno dei lavoratori, giovani ma non solo.
A chi voglia ragionare con buona coscienza, può risultare utile una sintetica rassegna delle tappe fondamentali di tale devastazione, senza reticenze e senza tecnicismi, pur valendosi - chi scrive - della esperienza di coordinatore (per quasi un decennio) delle politiche del lavoro per conto della Segreteria Confederale della CGIL.
Una breve stagione di autentico riformismo: il primo governo Prodi.
Sconfitto il primo governo Berlusconi, insediatosi nel 1996 il primo governo Prodi, si sviluppò una fase molto costruttiva, perfino entusiasmante, di confronto fra le forze sociali e con il governo. I temi del lavoro furono fra gli argomenti centrali.
Ne scaturì un primo importante accordo, condiviso da tutte le parti in causa, che introdusse elementi reali di flessibilità. Fu superato il tradizionale divieto assoluto di "intermediazione di manodopera", che finiva sempre più per alimentare forme di lavoro irregolare o il ricorso smodato al lavoro straordinario. In particolare fu introdotto nel nostro ordinamento il "lavoro interinale", ma la norma stessa che introduceva l'istituto nel nostro ordinamento, prevedeva anche alcune specifiche condizioni per la sua concreta attivazione: che l'istituto fosse funzionale essenzialmente al reperimento, da parte delle imprese, di profili professionali di livello medio alto che dovesse essere la contrattazione collettiva nell'impresa a verificare la sussistenza delle condizioni per ricorrervi; che il costo del lavoro interinale, per l'impresa, fosse più alto del costo del lavoro ordinario a parità di inquadramento professionale (+4% destinato alla formazione e all'aggiornamento di quei lavoratori).
Contestualmente fu varato il decreto legislativo che responsabilizzava, per la prima volta, Regioni ed Enti Locali nella organizzazione
Leggi tutto: Il mercato del lavoro in Italia: in un ventennio un profluvio di norme.
Commenta (0 Commenti)Segnaliamo l'appello, molto critico sulla bozza di legge urbanistica regionale. promosso da
Ilaria Agostini, Pier Giovanni Alleva, Rossanna Benevelli, Jadranka Bentini, Antonio Bonomi, Paola Bonora, Sergio Caserta, Piero Cavalcoli, Pierluigi Cervellati, Mauro Chiodarelli, Vezio De Lucia, Paolo Dignatici, Marina Foschi, Mariangiola Gallingani, Michele Gentilini, Giulia Gibertoni, Giovanni Losavio,Tomaso Montanari, Cristina Quintavalla, Ezio Righi, Giovanni Rinaldi, Piergiorgio Rocchi, Edoardo Salzano, Maurizio Sani, Sauro Turroni, Daniele Vannetiello
pubblicato sul manifesto Bologna, oltre che sul manifesto cartaceo, a seguito della giornata seminariale svolta a Bologna il 3 febbraio "Fino alla fine del suolo".
LEGGI TUTTO SU il manifesto bologna
La giunta dell’Emilia-Romagna il 27 febbraio ha deliberato il disegno di una nuova legge urbanistica regionale, proponendolo all’approvazione dell’Assemblea legislativa. Secondo l’assessore alla programmazione territoriale Raffaele Donini, che l’ha presentata, la nuova legge sarebbe fondamentale per affermare il principio del consumo di suolo a saldo zero, promuovere la rigenerazione urbana e la riqualificazione degli edifici, semplificare il sistema di disciplina del territorio, garantire la legalità. Sono slogan che mascherano l’obiettivo essenziale del disegno di legge, ovvero l’impianto di un regime privilegiato a favore delle iniziative immobiliari private.
Proclamando risparmio di suolo e qualificazione urbana, la legge va in senso opposto. Il limite del tre per cento posto all’espansione dei territori urbani, già in sé molto elevato, è aggiuntivo, non alternativo all’ulteriore occupazione di suolo che i piani urbanistici ammettono. E l’«addensamento» indiscriminato, concepito e ribadito come unico modo della rigenerazione urbana, non promette qualità, ma ecomostri.
La realizzazione di nuovi insediamenti residenziali, produttivi, commerciali, e le operazioni di addensamento e rigenerazione urbana mediante la demolizione e ricostruzione di edifici o di interi isolati, sarebbero esenti da qualsiasi condizionamento e disciplina urbanistica cogenti, e interamente rimesse ad «accordi operativi» congegnati a esclusivo vantaggio della parte privata.
Ai comuni sarebbe tassativamente vietato disporre una disciplina urbanistica cogente per i nuovi insediamenti e per la «rigenerazione» di parti urbane. Esautorati dai poteri di pianificazione urbanistica e obbligati a raggiungere l’accordo con i privati entro scadenze brevi e perentorie, i comuni non avrebbero modo di impedire né selvagge intensificazioni in aree urbane già congestionate, né lo sparpagliamento di strutture commerciali, stabilimenti industriali, insediamenti residenziali attorno ai centri urbani. E per di più sarebbero defraudati di contributi oggi dovuti per questo genere di iniziative dai privati proprietari, che la proposta di legge intenderebbe invece esonerare, in tutto o in parte secondo i casi.
Le implicazioni per le centinaia di comuni di minore dimensione nella nostra regione, e per sistemi insediativi policentrici o diffusi, come nelle realtà montane, sono totalmente ignorate.
Sostanzialmente invariata resterebbe invece la condizione delle trasformazioni diffuse del patrimonio edilizio esistente. L’adeguamento di abitazioni, capannoni, uffici e negozi alle esigenze di famiglie e attività economiche resterebbe soggetto alle consuete e non sempre razionali limitazioni disposte dalla disciplina urbanistica ed edilizia, e ai consueti oneri.
L’autentico intento dalla proposta legge sta dunque nell’impianto di un doppio regime urbanistico, in cui le iniziative immobiliari poste in atto da imprese di costruzione e promotori godrebbero di privilegi e arbitrio inusitati, lasciando le esigenze di famiglie e attività economiche soggette ai vecchi dispositivi, del cui rinnovamento è in certa misura avvertita la necessità, ma non sono nemmeno intravisti i modi.
Con queste finalità il disegno di legge non esita a porsi in frontale contrasto con l’ordinamento nazionale, e violare con ciò la Costituzione. La diffusione di leggi analoghe in altre regioni andrebbe a soverchiare i fondamentali istituti di tutela e disciplina del territorio nel nostro paese, dalla periferia riuscendo in ciò che ripetuti tentativi parlamentari hanno fallito.
Non serve una nuova legge urbanistica regionale. La legge 20/2000, dall’origine mal compresa, peggio attuata e poi variamente pasticciata, ha certamente bisogno di una robusta rielaborazione, ma per fermare il dispendio di suolo e qualificare il territorio, in particolare quello urbano, servono buone politiche di cui i comuni siano attori principali, con rinnovati strumenti e nel quadro di solidi riferimenti nel piano territoriale regionale e nei piani di area vasta. La consegna del territorio agli interessi della speculazione fondiaria va in senso del tutto opposto.
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Nell'agosto scorso, dopo una lunga e controversa gestazione, è entrata in funzione la Casa della salute di via della Costituzione a Faenza (presso il centro commerciale "La Filanda"). Non sono però rientrate le perplessità politiche (qui il Comunicato de "L'Altra Faenza") e si sono aggiunte le lamentele e le osservazioni critiche dei cittadini e degli utenti.
Pubblichiamo qui di seguito una lettera di Marcella Morelli.
Al Dottor Giovanni Malpezzi
Sindaco del Comune di Faenza, con delega alla sanità pubblica
Al Dottor Marcello Tonini Direttore Generale Ausl Romagna
e p.c. Dott.ssa Marisa Bianchin, direttore distretto sanitario
dott. Davide Tellarini, direttore Ospedale Civile di Faenza
alla stampa locale
oggetto: analisi del sangue a Faenza
Egregi signori,
indirizzo la mia lettera ad entrambi perché penso che siate entrambi responsabili della infausta scelta di aprire una Casa della Salute (presso la quale ora si effettuano anche i prelievi per le analisi del sangue) nell'estrema periferia di Faenza e cioè presso il Centro Commerciale La Filanda in via della Costituzione.
Per chi, come me, si muove in bicicletta era gia abbastanza scomodo e assurdo andare a ritirare i referti in via Zaccagnini dopo aver fatto i prelievi all'Ospedale Civile. Ora, grazie a voi, tutto e ancora più difficile anche a detta degli automobilisti.
Dalle dichiarazioni che avete rilasciato alla stampa al memento delle vostre rispettive nomine, sembrava proprio che la sanità pubblica e il benessere dei cittadini fossero in cima ai vostri pensieri.
Chi o che cosa vi ha fatto cambiare rotta tanto da farvi decidere di spendere un mucchio di soldi pubblici per affittare locali tanto decentrati e vuoti da anni in quello che e il più grande flop commerciale dell'area faentina?
Non ci sono considerazioni logiche che giustifichino la scelta di questa soluzione che e sgradita ai cittadini e, mi dicono, anche ai medici di base.
Allora viene il forte dubbio che siamo in presenza di oscure manovre che nulla hanno a che fare con ii benessere dei cittadini.
Egregio dott. Tonini, al memento della sua nomina nel febbraio 2015, oltre a dichiarare la sua gratitudine al presidente della Regione Stefano Bonaccini che l'aveva chiamato a ricoprire il suo attuale incarico, lei espose alcuni punti del suo program ma fra cui "... una politica del rispetto energetico che permetta un corretto utilizzo degli spazi pubblici visto che spendiamo 8 milioni e mezzo di euro in affitti" (SetteSere 27-2-15). Lo ha dimenticato?
Anche il Caf Acli di Ravenna, a suo tempo, ha aperto una sede sempre nel medesimo centro commerciale, ma, forse perché sensibile ai disagi di molti dei suoi utenti, ha mantenuto anche la sede di via Cavour.
Così dovrebbe fare anche la Ausl di Faenza, almeno per i prelievi e cioè per alcuni giorni alla settimana mantenere i prelievi su appuntamento anche all'Ospedale con ritiro dei referti sempre all'Ospedale. Dalla Casa della Salute i referti possono essere inviati all'Ospedale via Internet e poi stampati per gli utenti (o no?).
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Commenta (0 Commenti)Persone, non intrusi. Parliamo di migranti con “Farsi prossimo”, associazione promossa dalla Caritas diocesana
Quanti luoghi comuni, quanti pregiudizi e autentiche falsità circolano sui migranti. Tanti, troppi. Al punto di contribuire al formarsi di un’opinione diffusa fondata più sul sentito dire piuttosto che sulla conoscenza di un fenomeno di indubbia rilevanza. Ciascuno può legittimamente pensarla a modo suo, ma risulta davvero difficile un confronto serio se si prescinde dalla realtà.
Una realtà che ben conoscono quelli di Farsi prossimo, una sorta di braccio esecutivo della Caritas diocesana. “In effetti – affermano il presidente Stefano Guerrini e Davide Agresti – non tutti hanno chiaro cosa si intenda per migranti. Questo termine indica in modo generico l’insieme delle persone che lasciano i rispettivi Paesi per ragioni che possono essere diverse: le guerre, i cambiamenti climatici, la miseria, la speranza di un futuro migliore”. La stessa speranza che ha spinto in passato milioni di italiani – e spinge tutt’oggi decine di migliaia di giovani – a fare le valigie e a recarsi lontano.
Vediamo di fare un po’ di chiarezza. “Il migrante mosso da ragioni economiche può in teoria far ritorno al suo Paese, non è un perseguitato politico e non ha diritto a particolari tutele. Gli ingressi in Italia sono ancora regolati dalla legge Bossi-Fini, quella che prevede il reato di clandestinità tuttora vigente. Negli ultimi anni le quote sono sensibilmente diminuite. Il rifugiato è invece chi è costretto a fuggire perché perseguitato per le sue idee, per la sua religione, per la razza o l’etnia alla quale appartiene. Lo status di rifugiato è riconosciuto e tutelato dal diritto internazionale e dalla Convenzione di Ginevra del 1951. Il richiedente asilo è la persona in attesa che le autorità competenti decidano la sua inclusione nel sistema di protezione”.
A chi compete decidere? “Circa la richiesta di asilo e al relativo status di rifugiato è la Commissione territoriale, nel nostro caso quella di Bologna - sezione di Forlì. Spetta invece
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Chi visita Berlin e´indotto piu´facilmente a stare a testa all´insu´che a guardare a terra, a meno che non si tratti di strisce pedonali, di opere dei „madonnari“, di tracce segnalate del „muro“ o di artisti di strada dalla fantasia molto sviluppata. Percio´, benche´ siano poco meno di 7.000, non e´raro che passino inosservate le „stolpersteine“, letteralmente „pietre d´inciampo“, sparse per tutta la citta´.
Simili ai sanpietrini, sono pietre con una placca di ottone delle dimensioni di 10x10 cm., che vengono collocate a terra sul marciapiedi o sulla strada, in ricordo di persone perseguitate dal Nazionalsocialismo.
Il progetto fu
Leggi tutto: Nella giornata della memoria: STOLPERSTEINE - di Franco Di Giangirolamo
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