Governo. Dl con misure prive di urgenza e senza omogeneità. Ignorato Mattarella e anche il presidente della Camera, Fontana
La conferenza stampa a Palazzo Chigi dopo il consiglio dei ministri - Palazzo Chigi
Il decreto Omnibus licenziato ieri dal consiglio dei ministri è talmente disomogeneo da essere peculiare anche per il livello medio dell’esecutivo. Nell’ultimo atto del governo prima della pausa estiva ci sono indicazioni fiscali e quelle sul trasferimento dei puledri, fondi post crollo a Scampia e fondi per i festival «identitari».
QUELLO CHE NON È peculiare è, invece, il metodo che Meloni e il suo esecutivo stanno portando avanti dall’inizio della legislatura. Ricorso continuo ai decreti, esautoramento del ruolo delle Camere con i parlamentari che devono solo ratificare quanto deciso altrove, tempi contingentati per la discussione nelle commissioni, emendamenti dell’opposizione respinti in blocco, richiesta della fiducia. Sul primo punto si era più volte espresso il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ma anche quello della Camera, Lorenzo Fontana, aveva chiesto alla premier, in una missiva, di ridurre l’eccesso della decretazione d’urgenza.
Il resto sta nelle cronache parlamentari di questi mesi e questo decreto non fa eccezione. Dovrà essere approvato entro 60 giorni. La metà di questi saranno persi tra chiusura delle Aule e lenta ripresa dei lavori (dopo la prima settimana di settembre). Rimarrà quindi solo un mese.
Se i partiti di opposizione da mesi denunciano questo tipo di pratica (solo a luglio sono stati approvati nove decreti, dati Openpolis), quelli della maggioranza brindano: il multiforme provvedimento accontenta tutti. Nel dl ci sono «mance» elettorali e territoriali. Pensando alle regionali in Campania del 2025, il ministro alla Cultura Sangiuliano, e tutta Forza Italia, si sono intestati i fondi per i 2500 anni dalla fondazione di Napoli. Ma per Sangiuliano la rivendicazione diventa occasione per l’ennesima gaffe: «La nascita del Comitato nazionale Neapolis 2500 – dice il ministro – è un’iniziativa che ho fortemente voluto, è un doveroso riconoscimento alla storia di Napoli». Sulla quale però dimostra di essere confuso dato che sui social scrive: «Celebriamo i due secoli e mezzo» della città. Come nella migliore tradizione a farne le spese è il social media manager, di cui «sono state accettate le dimissioni».
Un messaggio ai giovani: andatevene
FORZA ITALIA, che
Leggi tutto: Decreto Omnibus: mance a pioggia, i nodi a settembre - di Luciana Cimino
Commenta (0 Commenti)FANNO PENA. Le commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera licenziano il testo governativo. Si suicidano altri due detenuti. Un uomo in sciopero della fame si è impiccato in cella a Biella, un altro nel bagno del Tribunale di Salerno. Il nuovo crimine della «rivolta» è perseguito sia negli istituti penitenziari che nelle strutture per rifugiati con protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati
Il carcere di Regina Coeli a Roma - Getty Immages
L’ultima possibilità di correggere almeno un po’ il furioso ddl governativo sulla «Sicurezza» nelle commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia della Camera, prima del suo approdo il Aula fissato per il 10 settembre, si è inabissata proprio mentre si registravano i suicidi di altri due detenuti – 65 dall’inizio dell’anno, a cui vanno aggiunti 7 agenti penitenziari: un uomo di 55 anni di origine albanese, in sciopero della fame per ottenere il trasferimento in un carcere più vicino ai suoi familiari, si è impiccato nella sua cella a Biella e un altro si è suicidato nel bagno del Tribunale di Salerno. Nelle stesse ore a Potenza un giovane migrante di 19 anni è morto nel Cpr, ucciso o per colpa di qualcuno – secondo la stessa procura che ha aperto un fascicolo – che non lo ha preso in cura, perché appena qualche giorno fa il ragazzo aveva tentato di togliersi la vita ingerendo pezzi di vetro. Paradossalmente però la macchina repressiva contro la protesta che si è scatenata subito dopo – «rivolta», secondo la «nuova fattispecie delittuosa» introdotta nel codice penale con l’articolo 18 del disegno di legge Piantedosi -Nordio-Crosetto – era perfettamente oliata.
NELLE COMMISSIONI l’opposizione ha tentato di ridurre il danno ma gli emendamenti hanno trovato un muro, e così nei 28 articoli del ddl Sicurezza compaiono ben 13 nuove fattispecie di reato più un certo numero di aggravanti, alla faccia del sovraffollamento penitenziario. E se all’articolo 18 ci si inventa il reato di rivolta in carcere, con pene da 1 a 5 anni di reclusione per chi non obbedisce agli «ordini impartiti» anche mediante «resistenza passiva», all’articolo 19 la stessa fattispecie si estende anche alle strutture di accoglienza per minori stranieri non accompagnati e per rifugiati titolari di protezione internazionale.
«Ho tentato di ricordare alla maggioranza di governo, in preda ad una furia ideologica, – riferisce la capogruppo M5S in commissione giustizia Valentina D’Orso – che i destinatari di questa norma sono soggetti liberi, non detenuti, ospiti di quelle strutture finalizzate all’accoglienza e all’integrazione. Come si può pensare che possano essere applicate anche a loro quelle
Commenta (0 Commenti)L'ARMA BIANCA. Per fronteggiare i disordini dell’ultradestra il governo annuncia «un esercito permanente specializzato in servizio pubblico»
Scontri tra polizia e militanti dell’ultra-destra a Manchester foto Getty Images
«Quelli che hanno partecipato a queste violenze sentiranno tutta la forza della legge». «Tutte le persone di buon senso dovrebbero condannare questo tipo di violenza». «Avremo un esercito permanente di ufficiali specializzati in servizio pubblico in modo da avere abbastanza agenti per affrontare questo problema». Sono alcune delle dichiarazioni rilasciate dal primo ministro laburista Keir Starmer, a proposito della prima crisi interna seria di ordine pubblico da lui affrontata da quando è salito al potere un mese fa. Ieri ha presieduto un’unità speciale anticrisi.
È un’altra estate di riots, un fenomeno abbastanza periodico in società liberoscambiste e scarsamente politicizzate come quelle anglosassoni: nel 2011 fu soprattutto il proletariato urbano nero che gridava la propria emarginazione, in questi giorni è la povertà bianca di provincia, razzista e fascista a urlare il proprio odio nei confronti dell’altro incarnato dal migrante, soprattutto quello musulmano. E questi riots sono essenzialmente islamofobici.
LA PROVINCIA del Regno Unito brucia in seguito a false informazioni diffuse online secondo cui il sospettato accoltellatore che ha ucciso tre ragazze a una lezione di danza per bambini a Southport lunedì scorso, era un migrante musulmano. Il giorno successivo orde di energumeni attaccavano una moschea della cittadina del Merseyside, con scontri in cui vari agenti di polizia restavano feriti. La polizia ha finito per rivelare il nome del presunto colpevole, il diciassettenne Axel Rudakubana, nato in Gran Bretagna (Galles) da genitori ruandesi. Ma i disordini hanno continuato a dilagare in tutta la provincia del paese: a Belfast, nell’Irlanda del Nord, a Bristol nel sud-ovest dell’Inghilterra, a Londra e in numerose città delle Midlands e del nord come Blackpool, Hull, Leeds, Manchester, Middlesbrough, Stoke-on-Trent e Sunderland.+
Ancora grazie, signora Thatcher
I DISORDINI hanno preso una piega ancora più sinistra domenica a Rotherham, una città afflitta da tensioni razziali a seguito di un
Commenta (0 Commenti)Nella foto: Manifestanti assaltano un centro di accoglienza per richiedenti asilo, a Rotherham, in Gran Bretagna @GettyImages
Oggi un lunedì rosso che interroga il labile confine tra vero e falso.
La verità è sempre un punto di vista o si può restare ancorati ai fatti? Ne ha pagato le spese l’atleta algerina Imane Khelif travolta da una bufera mediatica che ha preteso di determinare la sua identità sessuale e il suo diritto alla competizione sportiva.
Ma anche la verità storica sullo stragismo è, ad ogni ricorrenza, minata dalle sfumature politiche che di volta in volta la interpretano. Si confrontano qui tre livelli: storico, politico e giudiziario.
Il punto fermo, e forse più scomodo, è la matrice neofascista. Fascismo che nonostante i buoni propositi aleggia minaccioso sul presente d’Europa.
Ne sono un esempio i riot e pogrom anti migranti che hanno scosso la Gran Bretagna. Anche quelli partiti da una fake news.
Per iscriverti gratuitamente a tutte le newsletter del manifesto vai sul tuo profilo e gestisci le iscrizioni.
Leggi ultimo numero«Combatto per la libertà di ogni donna», la pugile algerina Imane Khelif batte la rivale ungherese e conquista la semifinale. Un pugno alla campagna di fake news agitata dalle destre. L’Iba offre un premio in soldi a Carini, che rifiuta. Il Cio: «Basta odio»
BULLI E PUPA. Imane Khelif batte ai punti l’ungherese Luca Hamori che aveva accettato di buon grado di essere la rappresentante del castello di cartone della destra mondiale dopo lo stralunato ritiro dell’altra sfidante, la “nostra” Angela Carini
Era dai tempi di Rocky e Ivan Drago che il pugilato non ci consegnava storie del genere. Imane Khelif batte ai punti l’ungherese Luca Hamori che aveva accettato di buon grado di essere la rappresentante del castello di cartone della destra mondiale dopo lo stralunato ritiro dell’altra sfidante, la “nostra” Angela Carini. E già questo secondo atto solo lo sceneggiatore di Rocky avrebbe potuto scriverlo. Hamori ha dovuto accettare la sconfitta.
Il mondo riprende a girare per il verso giusto, i buoni vincono, o almeno si leccano le ferite in attesa dei prossimi scontri. Ce ne saranno. Avremmo potuto tirare fuori anche il campione dei nazisti Max Schlemmer battuto da Joe Louis nel 1938, e almeno altre dieci o cento storie in cui il pugilato ha incrociato dentro il ring i destini del mondo. Ma forse è troppo per un quarto di finale di pugilato femminile alle Olimpiadi. Eppure i nazisti a questo gioco perdono sempre, hanno sempre perso.
È una certezza. Usciamo dall’incredibile vicenda di fake news russe, vittimismo italiano, culture war grondanti di woke e gender, bullismo razzista contro una pugile algerina senza colpa alcuna se non quella di essere com’è, malafede senza vergogna contro qualsiasi rispetto delle regole sportive, quasi un tentativo di colpo di stato mentale con social e televisioni, Elon Musk e Borgonovo, Jk Rowling e Larussa.
Manipolazione politica dei corpi
Oggi per fortuna Imane non era sola, aveva dietro di sé gli algerini e i nordafricani (che sono venuti a tifarla in massa dal vivo portando le bandiere). La sosteneva pur ad esempio il buonumore scanzonato di chi ha scritto sui social post sulla «poliziotta picchiata dall’algerina», rovesciando la retorica fetida della destra che aveva
Leggi tutto: Sul ring la resistenza al peggio - di Alberto Piccinini
Commenta (0 Commenti)«Le radici del postfascismo stragista sono a pieno titolo nel governo italiano». L’affondo dei familiari delle vittime della strage di Bologna scatena il vittimismo di Meloni. E Mattarella resta solo nel denunciare con chiarezza la bomba neofascista e le complicità dello stato
L'ANNIVERSARIO. Il messaggio da Parigi: «Da Bolognesi parole gravi e pericolose» Scontro duro anche con il Pd. Schlein: «Operazione deplorevole». Mattarella e la bomba: «Strategia eversiva neofascista per aggredire la libertà degli italiani»
Botta, risposta e furiosa polemica tra il presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna Paolo Bolognesi e la premier Giorgia Meloni. Il quarantaquattresimo anniversario della bomba che provocò 85 morti e oltre 200 feriti diventa così l’ennesimo episodio di scontro sulla memoria repubblicana. Ad aver infiammato la premier sono state queste parole dette da Bolognesi: «Le radici di quell’attentato affondano nella storia del postfascismo italiano: Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale oggi figurano a pieno titolo nella destra italiana di governo». E ancora, sulla stretta attualità: «La separazione delle carriere dei magistrati era un progetto della P2», cioè della loggia massonica che secondo gli inquirenti di Bologna avrebbe organizzato e finanziato la strage.
DURA LA REPLICA di Meloni, che si dice «profondamente e personalmente colpita» da quelli che ritiene «attacchi ingiustificati»: «Sostenere che le “radici di quell’attentato oggi figurano a pieno titolo nella destra di governo”, o che la riforma della giustizia varata da questo governo sia ispirata dai progetti della loggia massonica P2, è molto grave. Ed è pericoloso, anche per l’incolumità personale di chi, democraticamente eletto dai cittadini, cerca solo di fare del suo meglio per il bene di questa Nazione». In apertura anche un altro passaggio controverso, là dove si parla della strage «che le sentenze attribuiscono a esponenti di organizzazioni neofasciste». Un giro di parole poco prima utilizzato anche dal presidente del Senato Ignazio La Russa. La verità, in sostanza, è solo giudiziaria, non necessariamente anche storica: sembra una sfumatura, ma è quasi mezzo secolo che l’equivoco prospera.
Un passo indietro rispetto a quanto sostenuto dal ministro degli Interni Matteo Piantedosi nella sua intervista uscita ieri sul Corriere della Sera, in cui la definizione è netta: «Strage neofascista». A voler essere precisi, però, anche in questo discorso manca un particolare: la partecipazione di pezzi dello stato, a partire da Federico Umberto d’Amato, forse il poliziotto più celebre della storia italiana. Un passaggio che troppo spesso viene dimenticato.
AD OGNI MODO, le parole di Meloni hanno scatenato diverse reazioni, a partire da quella della segretaria del Pd Elly Schlein: «Fare la vittima attaccando il presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime nel giorno in cui si commemorano gli 85 morti e i 200 feriti dell’infame strage neofascista alla stazione di Bologna è un’operazione deplorevole», ha detto. E
Leggi tutto: Strage di Bologna, Meloni attacca i parenti delle vittime - di Mario Di Vito
Commenta (0 Commenti)