«L’Ucraina non ha la forza per riconquistare i territori controllati dai russi». Per la prima volta Zelensky ammette che la via d’uscita dalla guerra non può essere militare. Ma chiede ancora armi
Giocoforza Il presidente ucraino sembra aprire al negoziato, poi ci ripensa: «Ce lo vieta la Costituzione». E chiede maggiore sostegno a Trump
«L’Ucraina non ha la forza per riconquistare i territori controllati dai russi» e potrà affidarsi solo alla «pressione diplomatica della comunità internazionale per costringere Putin a sedersi al tavolo delle trattative». Se a dirlo è Volodymyr Zelensky in persona vuol dire davvero che siamo a un momento di svolta. Ma attenzione: «Non rinunceremo ai nostri territori – aggiunge -, è la Costituzione ucraina che ce lo vieta».
Dunque, la domanda sorge spontanea: Zelensky si rassegnerà a cambiare la Costituzione oppure sta tentando nuove vie, come quella di chiedere garanzie di sicurezza dai paesi dell’Ue per affrontare il discorso dell’integrità territoriale nel futuro prossimo? Nel caso della seconda eventualità nessuno dei leader della Nato dubita che lasciare il Donbass, forse la Crimea definitivamente e chissà che altro a Mosca voglia dire cambiare le mappe una volta per tutte. Ma il vero punto è quanto la futura amministrazione statunitense tenga all’integrità territoriale ucraina a fronte di un cessate il fuoco permanente.
IN UN’INTERVISTA INSOLITA, organizzata sotto forma di video-incontro con i lettori di Le Parisien a fare le domande, Zelensky ha interpretato una parte ben diversa da quella a cui ci ha abituato negli ultimi tre anni di conflitto con la Russia. Ha parlato di difese aeree, ovvio, della barbara violenza del nemico e della sofferenza dei suoi concittadini. Ma per la prima volta ha ammesso in modo inequivocabile che la via militare non riparerà ai torti di guerra. «Putin deve essere messo al suo posto», ma non saranno le armate ucraine a farlo, se non altro perché non ne hanno la forza materiale. E quindi il leader ucraino chiede agli alleati di farsene carico: «Non dimenticate tutto ciò che è successo: i missili, l’occupazione delle nostre terre, i morti, l’esilio di 8 milioni persone e i milioni di sfollati interni. Putin è come un boomerang: ritorna finché non ottiene ciò che vuole. E per la prima volta in 30 anni ha trovato un paese che gli ha resistito».
MA QUESTA NARRAZIONE ora eroica della guerra in corso si scontra con la dura realtà del
campo di battaglia dove gli ucraini sono sulla difensiva ormai da mesi, se si eccettua la sortita vittoriosa nel Kursk. Del resto, secondo Zelensky, Putin starebbe facendo di tutto per riconquistare la regione, incluso impiegare i reparti nord-coreani forniti da Kim Jong-un. «La Russia non solo invia le truppe nordcoreane per assaltare le posizioni ucraine ma cerca anche di nascondere le perdite bruciando i volti dei soldati nordcoreani uccisi in battaglia» ha scritto sul suo profilo X il presidente, riprendendo una denuncia dei Servizi segreti militari ucraini (Gru) che parlano di «centinaia di morti coreani occultati». Il problema per gli ucraini, tuttavia, è che «nonostante le perdite, il nemico continua ad attaccare inviando ondate di uomini ed è in grado di adattarsi bene all’evoluzione del contesto».
NELL’INCONTRO CON I LETTORI del quotidiano parigino si è parlato anche di un’eventuale tregua. Zelensky ha sottolineato (probabilmente riferendosi al premier ungherese Orbán) che «nessun leader al mondo ha il diritto di negoziare senza l’Ucraina. Non abbiamo mai delegato nessuno» e sull’imminente arrivo di Donald Trump ha aggiunto che «vorremmo che gli Usa ci sostenessero di più. I nostri funzionari stanno già lavorando con lo staff del presidente Trump. Gli Usa sono e restano il nostro principale sostenitore. L’America può avere un’influenza su Putin». Ma se quest’influenza sarà quella che sperano a Kiev è presto per dirlo.
Da Mosca continuano a dichiarare di essere pronti a riportare le relazioni bilaterali con Washington alla «normalità». E intanto accusano l’Ucraina di terrorismo per gli sviluppi sull’indagine sull’attentato di lunedì al generale Igor Kirillov, ex-capo delle forze di difesa nucleare, biologica e chimica russe. Gli investigatori che si stanno occupando del caso e gli agenti dell’Fsb, hanno fatto sapere di aver già identificato un colpevole: un cittadino uzbeko nato nel 1995. L’uomo avrebbe confessato di esser stato reclutato dai servizi segreti ucraini per posizionare la bomba sul monopattino e parcheggiarlo di fronte al portone d’ingresso della casa del generale. Una volta completata l’operazione all’attentatore sarebbero stati corrisposti 100mila euro e un passaggio sicuro per un Paese dell’Europa occidentale.
SULLA DINAMICA dell’esplosione per ora convivono due versioni: la prima vuole che l’uomo avesse anche affittato un’auto sulla quale ha montato una telecamera che trasmetteva con una base dei servizi segreti ucraini a Dnipro. Quando gli agenti nella città fluviale ucraina hanno visto il generale uscire hanno attivato il meccanismo. La seconda versione, più semplice e, pare, confermata dalla presenza dell’uomo sul luogo dell’attentato, ipotizza che l’uzbeko sia rimasto appostato finché non ha visto Kirillov e ha azionato lui stesso il detonatore.