Striscia di sangue Si riduce la distanza tra Israele e Hamas, cessate il fuoco possibile nei prossimi giorni. La tregua, si dice, potrebbe essere legata alla normalizzazione tra Tel Aviv e Riyadh
Una casa distrutta nel campo profughi di Al Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza – Omar Ashtawy/Ansa
Non era al Cairo ieri Benyamin Netanyahu, ma sul Jabal Sheikh (Monte Hermon), nelle alture del Golan occupate, a fare il punto della situazione lungo le linee di armistizio con la Siria abbondantemente superate dalle truppe israeliane – il 603° Battaglione del Genio dell’Esercito ha raggiunto villaggi a 20 chilometri da Damasco e girano voci di unità speciali alla ricerca dei resti di Eli Cohen, la spia israeliana giustiziata dalla Siria nel 1965 – dopo l’8 dicembre, quando Bashar Assad è fuggito dalla Siria mentre i jihadisti occupavano Damasco. Sul Jabal Sheikh, Netanyahu ha messo le cose in chiaro, confermando ciò che era stato palese a tutti nei giorni scorsi. Israele, ha annunciato, rimarrà sulla cima del monte «finché non verrà trovato un altro accordo (con la Siria) che garantisca la sua sicurezza». L’occupazione si espande, va ben oltre i 1200 kmq del Golan che Israele occupa dal 1967.
LA NOTIZIA DELLA PARTENZA del premier israeliano per la capitale egiziana, poi smentita, ha subito fatto il giro del mondo avvalorando le indiscrezioni su un accordo imminente (mediato da Egitto e Qatar) tra Hamas e il governo Netanyahu per una tregua temporanea a Gaza e lo scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri politici palestinesi. Accordo che sarebbe legato, dietro le quinte, alla normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia saudita. In sostanza, secondo le voci, Netanyahu si sarebbe
convinto a concedere il cessate il fuoco a Gaza di fronte alla prospettiva di uno storico trattato di pace con il più potente dei paesi del Golfo. Non pochi dubitano che questa normalizzazione sia davvero imminente. L’Arabia saudita nei mesi scorsi ha posto come condizione la nascita di uno Stato palestinese e non a una semplice tregua nella Striscia per l’avvio di rapporti diplomatici ufficiali con Tel Aviv. Adesso, scrivevano ieri il Jerusalem Post e Haaretz, Riyadh si accontenterebbe di una vaga promessa di Israele di considerare l’indipendenza palestinese.
Stando al Washington Post, il movimento islamista avrebbe messo da parte alcune delle sue condizioni più rilevanti e ora sarebbe pronto a un’intesa rinunciando, ad esempio, al ritiro dell’esercito israeliano dai Corridoi Netzarim e Filadelfia e dal nord di Gaza svuotato della sua popolazione dalle forze di occupazione. Si dice che l’intesa sia a portata di mano, raggiungibile entro qualche settimana se non addirittura nei prossimi giorni. Non c’è conferma da parte della leadership di Hamas. Tuttavia, nella Striscia la popolazione, stremata da quasi 15 mesi di offensiva israeliana, preme per la fine dei combattimenti. Anche questo avrebbe spinto Hamas ad ammorbidire le sue richieste, assieme, si dice, agli avvertimenti di Trump che minaccia bombardamenti a tappeto quando sarà alla Casa Bianca se non saranno rilasciati gli ostaggi israeliani, in particolare quelli in possesso anche della cittadinanza statunitense.
La proposta di accordo di cui si parla prevede una «pausa» di 60 giorni e uno scambio tra i circa 100 ostaggi israeliani a Gaza con 700 forse 1000 detenuti politici palestinesi, alcuni di primo piano, tra cui Marwan Barghouti, il «Mandela palestinese» in carcere da 22 anni. Netanyahu resiste, non vuole rilasciare detenuti condannati per azioni armate e attentati. Dall’altra parte Hamas ha bisogno della scarcerazione di prigionieri politici importanti per poter proclamare di aver resistito all’offensiva militare lanciata da Netanyahu e aver infine costretto Israele a trattare. È possibile che si raggiunga una intesa che preveda il trasferimento (l’espulsione) all’estero dei prigionieri palestinesi che saranno liberati.
IN OGNI CASO, il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ieri ha ripetuto che Israele continuerà a governare militarmente Gaza alla fine dell’offensiva. «Una volta sconfitta l’ala militare e il potere dominante di Hamas a Gaza, Israele controllerà la sicurezza a Gaza con piena libertà di agire, proprio come in Giudea e Samaria (la Cisgiordania occupata, ndr)», ha detto Katz lasciando intendere che, terminata la pausa, Israele tornerà all’attacco. Una minaccia che Hamas sta cercando di scongiurare, segnalando che non accetterà qualsiasi accordo.
Intanto il capo dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Abu Mazen oggi sarà al Cairo su invito dell’Egitto per discutere della tregua a Gaza. Il suo coinvolgimento è stato criticato da più parti, a partire da Hamas, perché in questi giorni la polizia agli ordini presidente palestinese sta conducendo una pesante campagna di arresti in Cisgiordania, in particolare a Jenin dove ha ucciso un comandante del Jihad islami. Hamas ha chiesto la sollevazione palestinese contro l’Anp.