Facciamo finta che tutto va bene. Dopo un’estate di litigi, il vertice di maggioranza si chiude con un comunicato che glissa su Ius Scholae, nomine Rai, balneari e autonomia. Parole vaghe anche sulla manovra senza coperture. Ma una «svista» rivela le distanze sull’Ucraina
Politica. «Totale sintonia su tutti i dossier», dice un comunicato preparato prima dell’incontro. Ma una «svista» rivela le distanze sull’Ucraina
Antonio Tajani e Giorgia Meloni - foto Ansa
Il comunicato conclusivo di un vertice di maggioranza tanto atteso quanto lungo, tre ore buone con i tre leader più Maurizio Lupi intorno al tavolo, è di quelli che si potrebbero scrivere alla vigilia e poi diffondere senza cambiare niente. Il summit non era convocato per chiarire e dipanare ma per chiudere, almeno ufficialmente, la guerriglia estiva. Questo e solo questo voleva la premier e questo è stato. Ecco dunque le varie e troppo ripetute attestazioni di granitica unità, indefessa determinazione nell’arrivare a fine legislatura portando a termine riforme e programma, addirittura «totale sintonia su tutti i dossier a partire dalla politica estera». Su un solo punto la premier, nella prolusione introduttiva, è tassativa: «Basta insistere con richieste impossibile in manovra come quota 41 o le pensioni minime a mille euro. Così si illudono i cittadini». E l’inevitabile delusione diventa un boomerang.
È Meloni stessa a dettare i tre punti credibili in una legge di bilancio «seria ed equilibrata»: «Taglio delle tasse, sostegno a giovani, natalità e famiglie, interventi per le imprese che assumono». Di pensioni non si parla.
Tajani, che prima del vertice aveva riunito lo stato maggiore azzurro, arriva combattivo. Non su qualche singola questione ma in generale. Rivendica il suo ruolo centrale nella trattativa sin qui vincente sulle deleghe per il commissario Fitto, la cui indicazione il Consiglio dei ministri ufficializzerà subito dopo il vertice. Reclama quella postazione centrale che il compagno di eurogruppo Weber, presidente del Ppe, già gli riconosce parlando senza mezzi termini di «governo Meloni-Tajani». Nel merito però il leader azzurro non si sottrae all’imperativo della premier: dal vertice bisogna uscire sbandierando una ritrovata unità. Anche a costo di una inaudita reticenza, di una conclusione che fa leva solo sulla vaghezza e più spesso sul rinvio.
L’INCIDENTE si verifica proprio sul punto su cui è d’obbligo glissare per quanto possibile, la
Leggi tutto: Destre nella palude. La pace è sulla carta, tutto il resto è rinvio - di Andrea Colombo
Commenta (0 Commenti)Israele e l'Occidente. Dietro l’escalation in Cisgiordania c’è assai di più della «lotta al terrorismo» palestinese o iraniano. C’è il progetto di arrivare all’annessione della West Bank e di tutte le terre bibliche di Giudea e Samaria
L'esercito israeliano pattuglia le strade durante l'attacco al campo profughi di Nur Shams vicino la città di Tulkarm in Cisgiordania foto di Issam Rimawi/Getty Images
Israele è uno «stato canaglia» o fuorilegge che minaccia la pace mondiale? Si direbbe che lo è diventato, violando per decenni le leggi internazionali e stando anche a quanto scrive in una recente lettera indirizzata al premier Netanyahu lo stesso capo dei servizi dello Shin Bet, Ronen Bar. Avvisando del pericolo rappresentato dai coloni israeliani armati, Bar afferma che «le armi ai civili sono state distribuite legalmente dallo stato israeliano».
Le forze armate israeliane, finanziate e rifornite a piene mani dagli Usa ma anche dagli europei e dall’Italia, hanno per altro inquadrato i coloni in una nuova unità la Desert Frontier Unit che recluta i suoi membri tra i più estremisti della destra israeliana. Dietro l’escalation in Cisgiordania c’è assai di più della «lotta al terrorismo» palestinese o iraniano. C’è il progetto di arrivare all’annessione della West Bank e di tutte le terre bibliche di Giudea e Samaria.
Anzi tra gli arabi c’è chi parla di un «terrorismo israeliano sostenuto dallo stato» con l’obiettivo di spaventare le popolazioni locali palestinesi, distruggere le loro proprietà e trasferirle in enclave isolate e assediate.
Al massacro di oltre 40mila abitanti di Gaza, si è aggiunto il massacro della Cisgiordania che come scriveva ieri Chiara Cruciati è la vera posta in gioco per Israele. La guerra a Gaza sta facendo da copertura per le costanti violenze e la continua espansione israeliana nella Cisgiordania occupata. Il ministro delle finanze israeliano di estrema destra, Bezalel Smotrich, ha annunciato nuovi progetti per espandere gli insediamenti nei territori palestinesi occupati, ignorando il diritto internazionale e il recente verdetto della Corte internazionale di giustizia secondo cui la presenza di Israele in quelle aree è illegale.
Israele persegue da decenni una politica di espansione in Cisgiordania, ma i vari governi hanno usato tattiche diverse. La coalizione di estrema destra oggi al potere ha accelerato il processo di occupazione della terra araba, con l’obiettivo di formalizzare quella che da tempo è una realtà di fatto.
Per terra e cielo, invasa mezza Cisgiordania
Altro che due popoli e due stati, formula logora e sfiancante che serve soltanto alla diplomazia occidentale per trarsi d’impaccio ed eludere le
Leggi tutto: Complici di uno Stato fuorilegge - di Alberto Negri
Commenta (0 Commenti)Medio Oriente. Operazione israeliana a Jenin, Tulkarem e Tubas. Dieci combattenti uccisi, campi devastati. Ordinato il coprifuoco per 80mila persone
Una madre fermata e in attesa di essere identificata dall’esercito israeliano durante l’operazione scattata a Jenin foto di Alaa Badarneh/Ansa
L’operazione militare lanciata ieri racconta una storia lunga sei decenni: è la Cisgiordania il vero obiettivo di Israele, non Gaza. Di Gaza non sa che farsene: territorio tra i più ricchi e liberali prima del 1948, dalla Nakba è una terra disastrata, definitivamente annichilita dall’assedio totale iniziato nel 2007. Dentro ci vivono 2,2 milioni palestinesi, praticamente lo stesso numero della Cisgiordania ma in un fazzoletto di terra infinitamente più piccolo. Ariel Sharon nel 2005 ordinò il ritiro di esercito e coloni non perché spinto da un inatteso desiderio di pacificazione, e difatti l’occupazione non è finita, si è solo resa invisibile.
Apparizioni improvvise, «da remoto»: bombardamenti a tappeto e confini sigillati. Si ritirò perché Gaza non interessa. La Cisgiordania è un’altra cosa: è «Giudea e Samaria», così la chiamano le autorità israeliane; è terra destinata a Israele, così la pensa l’ultradestra messianica oggi al governo. È l’obiettivo: confiscare più terra possibile con meno palestinesi possibile e realizzare un’annessione di fatto, come ora dice anche la Corte internazionale di Giustizia. Con buona pace della soluzione a due stati che riempie la bocca delle cancellerie occidentali.
In questi due anni di governo di ultradestra il progetto è stato portato avanti con l’ausilio dei coloni – in apparenza civili che operano per conto loro, in realtà braccio armato dell’autorità – e dai raid militari quasi quotidiani dentro le città (652 i palestinesi uccisi dal 7 ottobre). Ieri si è raggiunto un nuovo apice, con 80mila palestinesi prigionieri a Jenin, Tulkarem e Tubas e un assalto per terra e per cielo.
VENTIDUE ANNI FA l’invasione delle città cisgiordane avvenne in piena Seconda Intifada. La vita si fermò, la quotidianità divennero i funerali, gli scontri armati, i coprifuoco, gli arresti di massa e gli assedi, con due città simbolo della brutalità della risposta alla sollevazione palestinese: la Chiesa della Natività a Betlemme e la Muqata, il palazzo presidenziale, a Ramallah. Nella prima avevano cercato riparo 230 palestinesi, tanti combattenti; nella seconda viveva Yasser Arafat, leader dell’Olp e dell’Autorità nazionale palestinese.
L’operazione iniziata ieri ricorda Scudo Difensivo, 2002. Un’azione coordinata, lanciata in piena notte, che travolge la Cisgiordania settentrionale e i campi profughi negli ultimi anni alcova alla rinnovata lotta armata palestinese, Jenin, Tulkarem, Tubas. Poche ore dopo, nel primo pomeriggio, colonne di soldati a piedi sono penetrate a Shuafat, il campo di Gerusalemme.
Negoziato e bombe senza preavviso. Nella Striscia la tregua può attendere
I coprifuoco, gli ultimatum dell’esercito che danno tre ore ai residenti del campo di Nur Shams per andarsene, il ministero degli esteri che evoca l’«evacuazione» del nord della Cisgiordania ricordano anche altro. Fanno pensare a Gaza, modalità simili, stesso obiettivo: ridurre la popolazione palestinese in spazi sempre più
Leggi tutto: Per terra e cielo, invasa mezza Cisgiordania - di Chiara Cruciati
Commenta (0 Commenti)Francia. «Incontrerò chiunque lavori per il paese»: dopo il niet a Melenchon (celebrato da Confindustria) l’agenda del presidente sembra vuota. «Nessun governo che prolunghi le sue politiche»: persino i socialisti presentano il conto
Il presidente francese Emmanuel Macron - foto Ap/Aurelien Morissard
Oggi Emmanuel Macron riceve il presidente tedesco Franz-Walter Steinmeier per la cerimonia di apertura dei Giochi Paraolimpici a Parigi. Ieri, accanto al taoseach Simon Harris, primo ministro irlandese, il presidente ha affermato che all’Eliseo «la porta è aperta» a «coloro che vogliono lavorare per gli interessi superiori del paese» e «i lavori continuano» per trovare una coalizione che possa governare la Francia, con un parlamento diviso in tre blocchi.
INTANTO MACRON INCASSA l’espressione di sollievo del Medef (la Confindustria francese): il presidente del padronato, Patrick Martin, si è detto «rassicurato» per il niet del presidente all’ipotesi di un governo guidato dalla candidata della sinistra Lucie Castets, sospettata di voler “disfare” tutta la politica pro-business messa in opera negli ultimi sette anni. Il secondo round delle “consultazioni”, ieri, è stato modesto: hanno salito i gradini della cour d’honneur dell’Eliseo i rappresentanti del gruppo Liot (oltremare e territori), che rivelano che ci sarà una decisione sul primo ministro a breve, nel fine settimana, di ritorno dal viaggio in Serbia, venerdì. Poi c’è stato un pranzo con François Bayrou, del MoDem (il gran manitou della coalizione macronista), che ha criticato la centralità del dialogo con i partiti privilegiato da Macron. Oggi dovrebbero presentarsi i Républicains, che hanno già presentato un «patto legislativo» in una ricetta molto maison, senza aperture alle altre forze politiche, nell’illusione di preservare le (poche) chances di Laurent Wauquiez come candidato alle presidenziali del 2027 – l’ossessione di tutti i leader che mina la politica francese.
MISTERO SUGLI INVITI delle consultazioni, nessuna certezza per gli ex presidenti François Hollande e Nicolas Sarkozy, come sulle «personalità che si sono distinte al servizio dello stato» evocate alla vigilia da Macron. Circolano voci su possibili candidati, soprattutto personalità “tecniche” (come Didier Migaud, già presidente della
Commenta (0 Commenti)La notifica. Da guru anarcoide dei nuovi media a ricercato speciale per decine di
crimini commessi sulla sua piattaforma. Dubbi sulla "consegna"
Mosca, fogli con il logo di Telegram lasciati per protesta davanti all’ambasciata di Francia - foto Afp
Tanti e tali rimangono i misteri, che a tre giorni dall’arresto in un aeroporto francese qualcuno comincia a chiedersi se in fin dei conti Pavel Durov abbia deciso di consegnarsi spontaneamente assieme ai segreti del sistema di messaggi Telegram che lui stesso ha creato con il fratello Nikolaij una decina d’anni fa, che nel corso del tempo gli ha portato prima ricchezza e poi popolarità, e che lo ha esposto a problemi diventati più grandi del suo status: quello di guru anarcoide dei nuovi media.
UN PONTE DELLE SPIE FAI DA TE, ponte aereo in questo caso, jet privato partito da Baku e atterrato sabato sera a Bourget, scalo minore di Parigi, fra le braccia dei gendarmi. Mandato di arresto per concorso in decine di reati commessi sulla sua piattaforma, accuse vaghe al punto da costringere l’Eliseo a intervenire sul caso: l’arresto è in linea con un’inchiesta in corso, non si tratta di decisioni politiche, ha scritto ieri pomeriggio il presidente, Emmanuel Macron.
È raro che un capo di stato tratti in prima persona le vicende di un singolo cittadino. Con Durov sono in due ad averlo fatto in poche ore. Sempre ieri, prima di Macron, il portavoce del Cremlino aveva smentito le voci su un incontro con Vladimir Putin la settimana scorsa in Azerbaigian. Nessun commento, però, sull’ipotesi, circolata anche quella con insistenza, che Durov avesse chiesto di vedere di persona Putin.
Destino ammaccato di un figlio della nomenklatura sovietica, trentanove anni, muscoli da star del fitness, infanzia fra San Pietroburgo e Torino, le città in cui il padre aveva insegnato filologia, e passaggio poco più che adolescente dagli studi in lingue straniere al grande business dei tempi moderni: internet, la rete globale, la stella nascente dei social network, merce che in Russia può rovesciare in pochi mesi la vita di un giovanotto ambizioso, com’era accaduto con le scarpe da basket negli anni Novanta.
Telegram, l’app inviolabile che ha sconfitto l’Nsa e il mistero dell’atterraggio a Parigi
L’IDEA DI COSTRUIRE Telegram, una fortezza digitale a prova di intrusioni esterne, l’aveva avuta nel 2011 dopo un incontro con i servizi segreti. Quelli gli chiedevano l’identità di oppositori iscritti a VKontakte, la versione russa di Facebook grazie alla quale era entrato nel 2006 nell’universo dei nuovi milionari. Lui gli aveva opposto il dito medio in sensi figurato e pratico. Estromesso da Vkontakte, abbandonata la Russia, Pavel aveva messo al lavoro Nikolaij. Un progetto romantico: tenere gli apparati degli stati autoritari fuori dagli
Leggi tutto: I segreti di Durov. Parigi prova a violare la fortezza Telegram - di Luigi De Biase
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Nella foto: Una manifestazione studentesca di fronte al palazzo del Parlamento di Giacarta in Indonesia @Adi Weda, Ansa Oggi un Lunedì Rosso in bilico tra movimento e stasi. Si muovono gli attivisti della sinistra francese mentre sembra in stallo il processo di nomina di un nuovo governo del paese. il manifesto è stato al raduno estivo del movimento politico radicale La France Insoumise e ne racconta l’organizzazione e le istanze. Dovrebbe muoversi e invece resta fermo, il movimento pacifista tedesco. Sono le riflessioni dell’editorialista del Süddeutsche Zeitung, pubblicate sul nostro giornale, che si interroga sul silenzio della società, in Germania e in Europa, di fronte a un processo sfrenato di riarmo che investe tutto il vecchio continente. Sta per passare dalla stasi al movimento invece il mondo della scuola, con la riapertura ormai alle porte. Se l’impianto valoriale sembra già ben definito, patria, disciplina e made in Italy, la qualità dell’insegnamento rischia di essere inficiata dal precariato a livelli record. Per iscriverti gratuitamente a tutte le newsletter del manifesto vai sul tuo profilo e gestisci le iscrizioni. https://mail.google.com/mail/u/0/#inbox/FMfcgzQVzNvVHBVqDBvdbVLbZJvHBvrN
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