La notifica. Da guru anarcoide dei nuovi media a ricercato speciale per decine di
crimini commessi sulla sua piattaforma. Dubbi sulla "consegna"
Mosca, fogli con il logo di Telegram lasciati per protesta davanti all’ambasciata di Francia - foto Afp
Tanti e tali rimangono i misteri, che a tre giorni dall’arresto in un aeroporto francese qualcuno comincia a chiedersi se in fin dei conti Pavel Durov abbia deciso di consegnarsi spontaneamente assieme ai segreti del sistema di messaggi Telegram che lui stesso ha creato con il fratello Nikolaij una decina d’anni fa, che nel corso del tempo gli ha portato prima ricchezza e poi popolarità, e che lo ha esposto a problemi diventati più grandi del suo status: quello di guru anarcoide dei nuovi media.
UN PONTE DELLE SPIE FAI DA TE, ponte aereo in questo caso, jet privato partito da Baku e atterrato sabato sera a Bourget, scalo minore di Parigi, fra le braccia dei gendarmi. Mandato di arresto per concorso in decine di reati commessi sulla sua piattaforma, accuse vaghe al punto da costringere l’Eliseo a intervenire sul caso: l’arresto è in linea con un’inchiesta in corso, non si tratta di decisioni politiche, ha scritto ieri pomeriggio il presidente, Emmanuel Macron.
È raro che un capo di stato tratti in prima persona le vicende di un singolo cittadino. Con Durov sono in due ad averlo fatto in poche ore. Sempre ieri, prima di Macron, il portavoce del Cremlino aveva smentito le voci su un incontro con Vladimir Putin la settimana scorsa in Azerbaigian. Nessun commento, però, sull’ipotesi, circolata anche quella con insistenza, che Durov avesse chiesto di vedere di persona Putin.
Destino ammaccato di un figlio della nomenklatura sovietica, trentanove anni, muscoli da star del fitness, infanzia fra San Pietroburgo e Torino, le città in cui il padre aveva insegnato filologia, e passaggio poco più che adolescente dagli studi in lingue straniere al grande business dei tempi moderni: internet, la rete globale, la stella nascente dei social network, merce che in Russia può rovesciare in pochi mesi la vita di un giovanotto ambizioso, com’era accaduto con le scarpe da basket negli anni Novanta.
Telegram, l’app inviolabile che ha sconfitto l’Nsa e il mistero dell’atterraggio a Parigi
L’IDEA DI COSTRUIRE Telegram, una fortezza digitale a prova di intrusioni esterne, l’aveva avuta nel 2011 dopo un incontro con i servizi segreti. Quelli gli chiedevano l’identità di oppositori iscritti a VKontakte, la versione russa di Facebook grazie alla quale era entrato nel 2006 nell’universo dei nuovi milionari. Lui gli aveva opposto il dito medio in sensi figurato e pratico. Estromesso da Vkontakte, abbandonata la Russia, Pavel aveva messo al lavoro Nikolaij. Un progetto romantico: tenere gli apparati degli stati autoritari fuori dagli
Leggi tutto: I segreti di Durov. Parigi prova a violare la fortezza Telegram - di Luigi De Biase
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Nella foto: Una manifestazione studentesca di fronte al palazzo del Parlamento di Giacarta in Indonesia @Adi Weda, Ansa Oggi un Lunedì Rosso in bilico tra movimento e stasi. Si muovono gli attivisti della sinistra francese mentre sembra in stallo il processo di nomina di un nuovo governo del paese. il manifesto è stato al raduno estivo del movimento politico radicale La France Insoumise e ne racconta l’organizzazione e le istanze. Dovrebbe muoversi e invece resta fermo, il movimento pacifista tedesco. Sono le riflessioni dell’editorialista del Süddeutsche Zeitung, pubblicate sul nostro giornale, che si interroga sul silenzio della società, in Germania e in Europa, di fronte a un processo sfrenato di riarmo che investe tutto il vecchio continente. Sta per passare dalla stasi al movimento invece il mondo della scuola, con la riapertura ormai alle porte. Se l’impianto valoriale sembra già ben definito, patria, disciplina e made in Italy, la qualità dell’insegnamento rischia di essere inficiata dal precariato a livelli record. Per iscriverti gratuitamente a tutte le newsletter del manifesto vai sul tuo profilo e gestisci le iscrizioni. https://mail.google.com/mail/u/0/#inbox/FMfcgzQVzNvVHBVqDBvdbVLbZJvHBvrN
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Archiviate le Olimpiadi, a Parigi partono finalmente le consultazioni per formare il nuovo governo. Macron è deciso a sbarrare la strada a la France insoumise e prova a spaccare il Fronte popolare. Pretende quella «maggioranza assoluta» che i suoi hanno già perso
Vedo rosso. Si alza la diga contro il Nfp. La coalizione del presidente, Ensemble, pronta a votare la sfiducia a un governo con ministri insoumis
Lucie Castets con Manuel Bompard, Marine Tondelier e Olivier Faure arrivano all’Eliseo foto Ansa
Un governo con dei ministri della France Insoumise sarebbe vittima di una «censura immediata»: così si sono espressi i principali leader della coalizione macronista, in conclusione della prima giornata di colloqui voluti da Emmanuel Macron con le forze politiche, in vista della formazione del nuovo governo.
LA CRISI ISTITUZIONALE avviatasi dopo lo scioglimento dell’Assemblée Nationale voluto a giugno da Macron, sembra quindi ben lontana dall’essere risolta. Le legislative di luglio hanno sancito la vittoria del Nfp, arrivato in testa ma ben al di sotto di una maggioranza assoluta in parlamento. La coalizione macronista, dal canto suo, ha perso quasi 80 deputati rispetto allo scrutinio del 2022, che pure era stato considerato disastroso: Macron aveva perso la maggioranza assoluta in parlamento.
Con una Camera tripartita tra il Nfp (maggioranza relativa), Ensemble (la coalizione di Macron) e l’estrema destra del Rassemblement National, il presidente della Repubblica ha inizialmente affermato che «nessuno ha vinto» le elezioni, prima di imporre un’unilaterale «tregua olimpica». Finora, Macron ha fatto orecchie da mercante agli inviti dei leader della sinistra francese di nominare la prima ministra proposta dal Nfp, Lucie Castets.
Dopo aver ricevuto i rappresentanti della sinistra guidati da Castets, è stato il turno dei leader di Ensemble e dei Républicains, cioè i gollisti di destra che hanno rifiutato di unirsi all’avventura di Éric Ciotti, ormai alleato di Marine Le Pen. Secondo quanto riportato dall’Agence France-Presse, davanti ai «suoi» il presidente della Repubblica ha sostenuto che il risultato delle legislative «non è una smentita completa» del proprio campo politico. Per questo, ha detto, l’obiettivo è la ricerca di una «soluzione istituzionalmente stabile», ovvero una che permetta la creazione di «un governo stabile e sicuro».
Castets su pensioni e salario minimo: «Guai a rinnegare le promesse fatte»
Immediatamente, il primo ministro dimissionario Gabriel Attal ha riecheggiato le parole di Macron in un messaggio ai deputati di Ensemble, pubblicato dai media francesi. Secondo Attal, la volontà dell’inquilino dell’Eliseo «è quella di far emergere una
Commenta (0 Commenti)A Gaza, indisturbato, Israele continua a bombardare: ieri altri quaranta palestinesi uccisi. In Egitto la trattativa per il cessate il fuoco slitta di altri due giorni: ormai nessuno più ci crede. A Chicago i delegati democratici pro Palestina allontanati dal palco: non vogliono sentirli
Striscia di sangue. Benyamin Netanyahu non rinuncia al controllo del confine tra Gaza e l’Egitto. Secco no di Hamas. Si riaffaccia la risposta di Hezbollah e iraniani alle uccisioni compiute da Tel Aviv a luglio
Gaza. Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant sul Corridoio Filadelfia - Ansa
Guidata dal capo del Mossad David Barnea e dal generale Eliezer Toledano, una delegazione israeliana è partita ieri per il Cairo per preparare i colloqui sulla tregua a Gaza e lo scambio di prigionieri con Hamas, che dovrebbero tenersi domenica. Al Cairo era atteso anche il capo della Cia Williams Burns. La notizia non deve creare illusioni sulla possibilità di arrivare in tempi stretti al cessate il fuoco. La trattativa resta incagliata sulle ultime condizioni poste da Benyamin Netanyahu, macigni che nelle intenzioni del premier dovranno garantire il controllo israeliano, almeno parziale, dei Corridoi Filadelfia e Netzarim a Gaza. Secondo la stampa americana, Israele intende alzare otto torri o punti di osservazione sul Filadelfia, al confine tra Gaza e l’Egitto. Gli Usa ne propongono due. Un esito che Hamas non intende accettare perché la mancata uscita completa da Gaza delle forze di occupazione israeliane segnerebbe la sua sconfitta e darebbe a Netanyahu la vittoria militare che insegue anche a scopo politico.
Il premier israeliano non manca di astuzia. Mandando la delegazione al Cairo si mostra disponibile al cessate il fuoco come gli chiedono gli alleati americani e le famiglie degli ostaggi a Gaza. Allo stesso tempo ribadendo con forza le sue ultime condizioni in nome della sicurezza di Israele – accolte in parte da Washington – tranquillizza i partner di governo di estrema destra che premono per la rioccupazione permanente di Gaza. Rispondendo a David Ignatius del Washington Post che scrive di un Netanyahu più «flessibile» rispetto a qualche giorno fa, un funzionario del governo ha precisato che il primo ministro non ha cambiato idea in alcun modo sul controllo israeliano dei due corridoi a Gaza.
Dall’Irgun ai coloni di oggi, l’obiettivo è scacciare i palestinesi dalle loro terre
L’onere della ricerca di un via d’uscita alla paralisi in atto è dell’Amministrazione Usa. Secondo il quotidiano qatariota al Araby al Jadeed, il segretario di stato Antony Blinken avrebbe proposto che l’Egitto partecipi alle forze internazionali che, nei disegni di Washington, dovrebbero sorvegliare il Corridoio Filadelfia in accoglimento delle pressioni di Israele che comunque avrebbe la supervisione della striscia di terra di 14 chilometri che divide Gaza dall’Egitto. Altre fonti dicono che la gestione di sicurezza del valico di
Commenta (0 Commenti)Spiagge. Viaggio nell’Adriatico sul veliero di Goletta verde tra mucillagini e turismo tutto incluso
La spiaggia di Rimini vista dall’alto foto Ansa
Goletta Verde, lo storico veliero di Legambiente che dal 1986 monitora lo stato di salute dei mari italiani, quando salpa per Rimini affronta la sua tappa adriatica più importante. In quel territorio, infatti, si concentrano le più grandi contraddizioni ambientali del paese.
Sulla costa romagnola è insediato uno dei più significativi bacini turistici italiani, proprio dove il Po sfocia in mare, dopo aver raccolto i rifiuti della più grande concentrazione industriale italiana, di quella zootecnica (secondo i dati più recenti forniti dall’Istat nelle regioni padane si concentrano il 67% dei bovini e il 90% dei suini allevati in tutta Italia) e di quella di una agricoltura intensiva che fa uso massiccio di fertilizzanti (per l’azoto rappresenta il 62% e per il fosforo il 58% del dato nazionale).
Fu durante le grandi eutrofizzazioni degli anni ’80 che un importante movimento per la salvezza dell’Adriatico strappò la legge che eliminava il fosforo dai detersivi, individuato come responsabile dell’anomalo sviluppo di micro alghe, che degradandosi azzerano l’ossigeno in mare. È interessante ricordare che le industrie dei detersivi si opposero alla legge con pubblicità a reti unificate che ammoniva: donne (guarda caso proprio loro) senza fosforo sparirà il bianco dai vostri bucati. Quasi gli stessi toni usati oggi dalle imprese fossili contro le rinnovabili. Tutto però si fermò lì e del progetto di ridurre i nutrienti, provenienti da allevamenti e agricoltura intensivi, si smise di parlare.
QUEST’ANNO IL VIAGGIO di Goletta Verde ha qualche intento in più. Vuole verificare quanto è stato fatto per mettere in sicurezza la popolazione a poco più di un anno dall’alluvione che colpì la Romagna e accertare se si intende far passare l’Emilia Romagna dall’uso delle fonti fossili a quelle rinnovabili e da gran consumatrice di energia a risparmiatrice.
Niente prevenzione. Il governo: assicuratevi
Durante la navigazione sorprendono i colori anomali del mare. Sull’azzurro prevalgono larghe chiazze verdi-marrone, striate di bianco: è la mucillagine. Anni di ricerche hanno stabilito che non ha origine antropica, ma è un
Leggi tutto: Le contraddizioni ambientali lungo la costa romagnola - di Massimo Serafini
Berlino obbedisce alla Nato. Per fronteggiare la minaccia Putin, in Germania arrivano gli euromissili di nuova generazione. Il cancelliere Scholz conferma la scelta «tormentata e inevitabile», sfidando l’ala sinistra della Spd che insiste sul rischio nucleare
A volte ritornano. Sicurezza minacciata da Putin, la Germania mantiene la promessa fatta a Washington. In arrivo i nuovi Tomahawk. Il cancelliere sfida l’ala sinistra dell’Spd: scelta «inevitabile e tormentata»
Un missile Tomahawk di nuova generazione in una base Usa
All’inizio era solo una promessa più o meno azzardata a Washington, fatta da Olaf Scholz in perfetta autonomia senza consultare nessuno – alleati di coalizione compresi – a eccezione del suo inner-circle. Poi è diventata una scelta ufficiosa del governo, seppure ribadita soltanto nel recinto protetto delle interviste sui media o negli incontri ufficiali alla cancelleria federale.
Ora è l’«inevitabile e tormentata» decisione che la Germania sarà costretta controvoglia ad assumere nel nome della sicurezza Nato mai così minacciata da Putin, da far ingoiare ai dirigenti della Spd ben prima della campagna elettorale per il voto nazionale del 2025, in cui Scholz sarà nuovamente lo “Spitzenkandidat” socialdemocratico.
PER LA PRIMA VOLTA il cancelliere difende il ritorno degli euromissili sul suolo tedesco fra le mura del suo partito. Invitato a visitare la la sezione Spd di Dresda, ieri Scholz ha scandito l’assoluta necessità di installare i “Tomahawk” nucleari Usa per salvaguardare la pace. «Abbiamo bisogno di un deterrente affinché la guerra non scoppi mai. Tutti devono sapere che il prezzo di un attacco alla Germania sarebbe altissimo e in questo momento incombe la minaccia missilistica della Russia. Dobbiamo fare di tutto per proteggere la popolazione» sottolinea il leader Spd.
Prima di dribblare la madre di tutte le domande preceduta dalla inevitabile premessa. Secondo l’ultimo sondaggio Civey un tedesco su due è convinto che gli euromissili porteranno all’escalation del conflitto con Mosca. Critici soprattutto i cittadini della Germania dell’Est che fra 10 giorni vanno alle urne. «Che ne pensa il cancelliere?» incalzano i cronisti. Scholz glissa, nonostante sia a Dresda, capitale della Sassonia, Land della ex Ddr dove fino al 1989 l’unico nemico atomico erano i “Pershing” di Reagan puntati sulle città del Patto di Varsavia, e sebbene a vincere le elezioni locali (così indicano i sondaggi) il 1 settembre saranno precisamente le due forze politiche più contrarie al riarmo nucleare: i fascio populisti di Afd e i nazionalisti di sinistra dell’Alleanza Sahra Wagenknecht.
Dieci anni di controllo (mancato) delle armi
«PER DECENNI LA GERMANIA ha perso la sua capacità di difesa dagli attacchi aerei» tiene a precisare Scholz ai compagni di partito senza addentrarsi troppo in quel lasso di tempo che coincide con con il periodo in cui lui spiccava fra gli accesi sostenitori del disarmo. All’epoca «l’unica via per ottenere la pace».
Dov’è finito il movimento pacifista?
Adesso invece l’architrave del leader Spd è «il rafforzamento della Nato continuando a dedicare il 2% del nostro Pil alla difesa. Uno sforzo enorme ma non
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